Impariamo da Tino Faussone

L’aula delle soft skills

Tino Faussone, protagonista del libro La chiave a stella di Primo Levi, non si tira indietro di fronte alle difficoltà, ma le affronta a viso aperto, con un’innata fiducia nelle proprie capacità. La sua cassetta degli attrezzi, di cui la chiave a stella è l’emblema, contiene anche altri strumenti vincenti, quali la competenza, l’ingegno e la determinazione. Lasciamoci quindi guidare da Tino Faussone nel mondo delle soft skills.

Le soft skills si possono imparare

Si è molto discusso, e si discute ancora, se le soft skills facciano parte del patrimonio genetico e caratteriale di una persona, alla stregua di una dotazione a priori, o se invece si acquisiscano strada facendo, con l’esercizio. L’indole del soggetto, come pure il suo background familiare e socio-ambientale, incidono, senza dubbio, nello sviluppo di queste abilità; personalmente ritengo tuttavia, alla luce di tanti casi che ho avuto modo di osservare nel corso degli anni, che certe capacità comunicative, certe qualità relazionali e certe risorse operative si possano tranquillamente apprendere.

Prendere coscienza

Per rendere ancora più efficace l’acquisizione e il potenziamento delle soft skills, bisogna rendere le nostre classi consapevoli del processo educativo che mettiamo in atto e soprattutto dell’importanza cruciale dei risultati per la vita presente e futura.
A tal fine, aprirei una discussione preliminare sul tema dell’apprendimento, mettendo a confronto due brevi citazioni tratte dai romanzi di Italo Svevo.
La prima proviene dal celebre episodio della gita in barca che chiude il cap. VIII di Una vita. A partire dai tuffi in acqua dei gabbiani, pronti a gettarsi in picchiata sul pesce ignaro che hanno avvistato dall’alto, Macario proclama degli assiomi che non lasciano scampo agli “inetti”: «Chi non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono mai più. Chi non sa per natura piombare a tempo debito sulla preda non lo imparerà giammai e inutilmente starà a guardare come fanno gli altri, non li saprà imitare. Si muore precisamente nello stato in cui si nasce, le mani organi per afferrare o anche inabili a tenere». Le tesi che lo Svevo di Una vita affida al brillante avvocato, cugino di Annetta, esprimono la visione deterministica tipica del tardo positivismo fin de siècle, in cui si eclissa completamente l’idea propulsiva dell’evoluzione che stava alla base del pensiero darwiniano. Proprio perché le abilità sono doni di natura, che si possiedono o non si possiedono, e sono conferiti alla nascita, si esclude a priori qualsiasi possibilità di perfezionamento. In quest’ottica immobilistica, l’esercizio e l’imitazione non funzionano, si rivelano sforzi sterili, destinati a lasciare il tempo che trovano. Così, viene completamente vanificata qualsiasi strategia pedagogica; anzi, si mette in discussione l’ipotesi stessa di un apprendimento che valga a correggere i difetti e a migliorare le prestazioni.

Ma lo stesso Svevo nell’ultimo capitolo della Coscienza di Zeno ribalta questa visione, smentendo radicalmente le tesi di Macario. Nelle ultime considerazioni che annota nel suo diario a beneficio del dottor S., l’io narrante attesta, infatti, la sua avvenuta guarigione: «Egli crede di ricevere altre mie confessioni di malattia e debolezza e invece riceverà la descrizione di una salute solida, perfetta quanto la mia età abbastanza inoltrata può permettere. Io sono guarito! […] Ammetto che per avere la persuasione della salute il mio destino dovette mutare e scaldare il mio organismo con la lotta e soprattutto col trionfo. Fu il mio commercio che mi guarì e voglio che il dottor S. lo sappia». Qui non si parla di scuola, naturalmente (semmai di “scuola della vita”), ma si afferma comunque – ed è quel che conta – il principio evolutivo del mutamento: quali che siano le circostanze esterne che fungono da acceleratore della crescita, quando si agisce sotto la spinta di una forte motivazione si impara veramente, si progredisce, si acquista fiducia in sé stessi, si cambia. Lo Svevo della Coscienza riabilita, perciò, quella funzione pedagogica e quell’arte maieutica che lo Svevo di Una vita sembrava aver delegittimato.
Messi in cortocircuito, i due frammenti dell’opera sveviana dovrebbero favorire una presa di coscienza salutare: che l’impegno e l’esercizio sono sempre fruttuosi, che tutti, nessuno escluso, possono acquisire e potenziare le proprie abilità comunicative, relazionali e operative, superando le difficoltà iniziali e magari anche le resistenze derivanti da certa timidezza di carattere o riservatezza o insicurezza, che agiscono da freni inibitori nelle dinamiche di gruppo. D’altronde, a ben vedere, non è appunto su questo presupposto che si fonda la scuola? E non c’è, dopo tutto, cornice più propizia di un’aula scolastica per vincere, gradualmente (o tenere almeno sotto controllo), la paura di sbagliare e di essere giudicati.

La chiave a stella

Chiarito che sviluppare le soft skills è possibile e che il luogo per eccellenza di un simile apprendistato è la scuola, il passo successivo consiste nell’illustrarle una ad una mostrandone qualche applicazione concreta. Ci può soccorrere in questo compito un romanzo che sembra quasi un prontuario delle abilità di cui ci stiamo occupando: mi riferisco a La chiave a stella (1978) di Primo Levi, emblematica celebrazione dell’homo faber. Levi guarda al lavoro in un’ottica che potremmo definire leonardesca, come soluzione ingegnosa di problemi e costruzione di progresso. Nel lavoro, così concepito, l’uomo si realizza e dà pieno compimento al proprio destino di essere superiore, dotato di volontà e di ragione. Tino Faussone, protagonista del romanzo, è un operaio specializzato nel montaggio di tralicci, di ponti, di gru, di torri e cisterne metalliche, contento della vita che fa e orgoglioso del proprio mestiere. Noto nell’ambiente per la sua perizia e affidabilità, a 35 anni egli ha già girato mezzo mondo, dall’Alaska all’India, dall’Africa alla Russia, istallando ovunque impianti e strutture. Ciascuno dei quattordici capitoli del romanzo racconta un caso, un episodio che è insieme un’esperienza di vita e una sfida tecnica impegnativa, talvolta anche rischiosa. Faussone appartiene alla categoria di persone che di fronte alle difficoltà non disarmano, non si tirano indietro, ma le affrontano a viso aperto, con un’innata fiducia nelle proprie capacità. A parte la cassetta degli attrezzi, di cui la chiave a stella è l’emblema, le sue vere armi vincenti sono la competenza, l’ingegno e la determinazione. Per questo, Tino Faussone può guidarci nel mondo delle soft skills. Ci soffermeremo, in particolare, sulle principali, indicando tra parentesi il titolo del racconto in cui emergono.

Comunicazione efficace

La prima qualità che si coglie di questo personaggio è la facilità di parola, la straordinaria efficacia comunicativa. Faussone è un narratore nato, capace di spiegare in maniera assolutamente chiara e accattivante le caratteristiche e le funzioni delle strutture che ha dovuto montare, nonché le procedure di installazione e le difficoltà incontrate. Lui sa che sta parlando con un chimico industriale (ovvero Primo Levi) e adatta le sue spiegazioni alle competenze professionali dell’interlocutore, tenendo sempre in perfetto equilibrio, nell’illustrazione dei suoi montaggi, l’estrema precisione dei riferimenti tecnici con l’accortezza di tradurli in immagini immediatamente comprensibili per chi non è del mestiere. La sua lingua, perciò, è un impasto vivacissimo di termini settoriali e di metafore ad alto potenziale icastico, di quelle cioè che restano impresse nella memoria di chi ascolta (e di chi legge).

Teamworking

Tino Faussone si trova spesso a lavorare da solo, in cima ai suoi tralicci e ai suoi derrick, ma altrettanto spesso ha a che fare con impresari, progettisti, capicantiere, collaudatori e maestranze varie. Fra l’altro, girando il mondo per l’istallazione di queste grandi strutture, deve intendersela con gente di tutte le risme, tenendo conto di mentalità e usanze anche molto diverse. Nel paese africano dove è andato a montare una gru da molo e un enorme carro-ponte, gli capita perfino di assistere, durante uno sciopero, a una specie di rito vudù ai danni del padrone («Meditato con malizia»). Non sempre, poi, la squadra di operai che lavora ai suoi comandi è omogenea: ad esempio, di quella che deve aiutarlo nel montaggio e nel posizionamento, al largo delle coste dell’Alaska, di un gigantesco traliccio per la trivellazione del fondale marino fanno parte un russo, un italo-tedesco e un pellerossa (Off-shore). Per lavorare fruttuosamente con una molteplicità così eterogenea di persone bisogna conoscere, evidentemente, i caratteri umani e possedere quel tanto di tatto e di elasticità che consente di trarre da ogni rapporto il miglior profitto possibile; e a Tino Faussone non manca la capacità di inquadrare i soggetti con cui si trova a interagire: ne dà prova il racconto intitolato Il ponte, dove egli elenca, sulla base della propria esperienza, ben cinque distinti tipi di progettisti.

Resistenza allo stress

Un’altra qualità che certo non fa difetto al protagonista de La chiave a stella è la capacità di resistere a situazioni stressanti. Quando, per dirne una, lo scimmiotto che assiste al montaggio di un derrick, approfittando del cantiere vuoto durante la pausa domenicale, aziona un bottone e gli svirgola la torre, lui non si perde d’animo e in quattro giorni la rimette in sesto (L’aiutante). Analogamente, affronta di petto le inadempienze di un capocantiere menefreghista, durante il montaggio di un traliccio di varo per la posa in opera dei piloni di un viadotto autostradale (Il vino e l’acqua), e si «fa forza» quando deve misurarsi con le gelide acque dell’Alaska, coi venti e le maree, per il trasporto e la posa in verticale dello smisurato derrick petrolifero (Off-shore). Ma la sua prova più ardua di resistenza allo stress è senz’altro la saldatura dei dischi traforati all’interno di una colonna alta trenta metri, facendo appello a tutte le sue risorse psicofisiche per non lasciarsi vincere dalla claustrofobia (Clausura).

Problem solving

L’errore del progettista nel sistema di separazione dell’acido dal vapore acqueo all’interno della colonna di distillazione dell’impianto chimico pone un bel problema da risolvere: la rimozione, dalla zona inferiore, degli anelli di ceramica che si erano frantumati al passaggio del vapore e ostruivano la bocca della colonna, formando un corpo compatto (Clausura). Ma di complicazioni e imprevisti se ne incontrano diversi nel romanzo di Primo Levi, risolti di volta in volta in maniera ingegnosa. Anzi, se il padrone della ditta per cui lavora il nostro montatore lo manda spesso e volentieri all’estero, a realizzare le strutture metalliche che danno i maggiori pensieri, è proprio perché lui se la sa «sbrogliare più o meno bene in tutte le situazioni» (La ragazza ardita).

Capacità di pianificare

Il fatto è che Tino Faussone conosce fin troppo bene tutte le «malizie», cioè i segreti, del mestiere, per cui sa sempre come va eseguito un determinato lavoro e quali sono, in particolare, le avvertenze e le precauzioni da prendere affinché tutto proceda per il meglio e l’impresa vada a buon fine. Si veda, per esempio, come dispone il tiraggio dei cavi del ponte sospeso (Il ponte). Nell’ammaraggio, poi, del derrick al largo delle coste dell’Alaska (Off-shore), stante la complessità dell’operazione, non solo viene pianificato in dettaglio ogni passaggio, ma si stabilisce anche cosa fare in caso di condizioni ambientali avverse o di qualche imprevisto.

L’addestramento scolastico alle soft skills

Tino Faussone appartiene a un’epoca in cui certe abilità si acquisivano in gran parte con l’esperienza lavorativa: era il tirocinio, talvolta aspro, della vita. Oggi, invece, lo sviluppo delle soft skills figura tra i compiti istituzionali della scuola, non meno dei contenuti disciplinari o delle competenze di cittadinanza. E, obiettivamente, la scuola costituisce, per questo aspetto, una palestra ideale, insostituibile ed efficace. Certo, tra le materie curriculari non ce n’è nessuna che si chiami Teamworking, Planning o Problem solving, ma le soft skills sono il naturale corollario di ogni didattica disciplinare.

Referenze iconografiche: Wirestock Creators/Shutterstock

Giuseppe Langella

Già professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e direttore del Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita”, è presidente della “Società italiana per lo studio della modernità letteraria” (Mod). Da sempre attivo nel campo dell'aggiornamento scolastico, promotore di corsi e pubblicazioni di didattica della letteratura, è coautore per Sanoma, insieme a Pierantonio Frare, Paolo Gresti e Uberto Motta, della Letteratura italiana Amor mi mosse (2019).