Booklist - L’indifferenza
Un percorso tra romanzi e racconti
L’intenso racconto di Marina Morpurgo permette di affrontare piste di lavoro diverse: l’analisi dei personaggi, delle loro emozioni e delle vicende che si trovano a vivere e la ricostruzione del periodo storico e sociale. C’è una dinamica nel racconto che mi ha particolarmente colpito: il passaggio da brevi episodi isolati di intolleranza che le protagoniste si trovano a vivere, alla campagna aggressiva e violenta della propaganda che trasforma gli ebrei italiani in avidi nemici del popolo, fino a giungere al Manifesto per la razza, alle leggi razziali, all’indifferenza degli ex amici e compagni che letteralmente spariscono, insieme alla loro vita di prima. «Aspettano visite, ma nessuno, o quasi, viene a suonare alla porta. È un ricordo brutto, difficile da cancellare. Nessuno che chiami per dire: “Non è giusto. Mi dispiace. Io non sono d’accordo. Ci manchi.” Anzi, quando incontrano per strada una ex compagna di classe, quella gira la testa dall’altra parte, e lo stesso fanno i suoi genitori. Nemmeno dalle maestre o dalle insegnanti arriva una parola di conforto. Che dolore. Forse si vergognano? O forse pensano che in fondo c’è una legge che dice che gli ebrei non appartengono alla razza italiana, che devono vivere separati, e se lo dice la legge non c’è niente da fare, sarà giusto anche se magari di primo acchito sembra ingiusto. Alle leggi si obbedisce, le ha firmate il Re d’Italia, no? E pazienza se sono le leggi di una dittatura, e non un volere espresso dal paese».
Quando venne chiesto a Liliana Segre quale parola si dovesse apporre sul Memoriale del binario 21 a Milano, lei scelse “INDIFFERENZA”, che significa solo fare finta che niente sia cambiato, fingere di non vedere, significa soprattutto scegliere di accettare in silenzio.
Il percorso che propongo quindi vuole indagare il processo attraverso cui una persona viene considerata diversa, viene disumanizzata e percepita prima come nemico e poi abbandonata al suo destino, e poco importa se pochi anni prima si andasse a scuola insieme, si giocasse insieme, si lavorasse insieme.
Entriamo in argomento
Prima di affrontare quanto accaduto nel 1938, vorrei ragionare con i ragazzi su quanto la costruzione del nemico, la creazione di una retorica basata sulla paura e sull’odio possano trasformare il nostro modo di vedere gli altri. Due albi illustrati sono particolarmente indicati.
Cane nero di Levi Pinfold (Terre di mezzo, Milano 2013)
Adatto per ragazzi più piccoli, l'albo racconta la reazione di una famiglia che al risveglio trova un gigantesco cane nero davanti alla porta, ciascuno di loro ne è terrorizzato e lo vede assumere dimensioni sempre maggiori, solo la bambina più piccola, che avrà il coraggio di uscire e di giocare con lui, riuscirà a vederlo per quello che è, un cane, e a farlo entrare nella loro famiglia.
Isola di Armin Greder (Orecchio acerbo, Roma 2008)
Più complessa ed espressionista è la storia che Armin Greder racconta nell’Isola: un pescatore raccoglie un uomo in mare. Visto con gli occhi degli abitanti dell’isola, il migrante diventa cattivo, pericoloso, un essere da nascondere e mettere in disparte, colui che fa affiorare ataviche paure e mette in pericolo la salvezza di tutti, così che si rende necessario il drammatico e iperbolico finale.
Porre i ragazzi davanti a testi così aperti e complessi, come i due albi che suggerisco, prevede che il docente guidi la discussione tramite domande mirate come:
Cosa vedi? (Cioè qual è l’aspetto che ti colpisce a una prima visione?)
Cosa noti? (Quali particolari ti colpiscono? Come le immagini dialogano con il testo?)
Quali domande faresti all’illustratore? Ai personaggi? Allo scrittore?
Quali simboli puoi riconoscere e qual è il loro significato?
Questo momento è importante per i docenti perché, se opportunamente condotto, fornirà già molti temi da approfondire.
Per quanto riguarda la ricostruzione del contesto storico, prerequisito necessario per la comprensione, suggerisco tre domande da cui partire:
Cosa sai dell’argomento?
Quali curiosità hai?
Come possiamo fare a soddisfarle?
Anche in questo caso la raccolta sommaria delle risposte darà indicazioni sulle reali conoscenze dei ragazzi, sulle loro mistificazioni, sulle curiosità e sulla consapevolezza degli strumenti da utilizzare.
Scuola secondaria di primo grado
Liliana Segre, Scolpitelo nel vostro cuore, Piemme, Milano 2018
Il capitolo “le leggi razziali” del libro di Liliana Segre inizia con il racconto di una cena. Sembra una sera uguale a mille altre, ma Liliana nota la fronte corrucciata del padre e la sua preoccupazione, all’improvviso una frase cade come un macigno: «Liliana non potrai più andare a scuola, sei stata espulsa». Segue il racconto del senso di rabbia, frustrazione e impotenza del padre e del vuoto alla gola che prende la bambina, costretta a lasciare scuola e amici e a frequentare un istituto privato e a sentirsi diversa. Le riflessioni di Liliana personaggio si sommano a quelle di Liliana autrice: «L’indifferenza, sì. A volte, quasi sempre, è più grave della violenza. […] Però, sta di fatto che la maggior parte delle persone che consideravamo amici, persone care, ebbene, non furono amici. Ci abbandonarono. Furono indifferenti. Voltarono la faccia dall’altra parte. Non capitava solo a noi, naturalmente. A tutti gli ebrei».
La biografia è breve e ben si presta alla lettura ad alta voce, alle riflessioni e condivisioni in classe, lo stile è scarno e asciutto, senza indugiare nella retorica. C’è la descrizione netta e precisa di ciò che le è successo, della sua storia e di quella della sua famiglia: ogni capitolo è chiuso da una foto che però celebra la vita e ricorda momenti felici.
Joseph Joffo, Un sacchetto di biglie, Rizzoli, Milano 2005
È ormai un classico, un libro da leggere in classe o da inserire nella biblioteca per la lettura individuale. Joseph e Maurice hanno dieci e dodici anni: la loro vita è stata tranquilla fino a quel momento. Anche in quel tragico 1941 le giornate si susseguono tutte uguali tra esplorazioni della città e interminabili partite di biglie; l’invasione tedesca, la guerra e le SS restano sullo sfondo o diventano parte di un gioco. A far capire a Joseph che nulla sarà più come prima ci pensa Kraber, un compagno di scuola, il bullo diremmo oggi, con il suo «sono i giudei che hanno fatto venire la guerra». Con le lacrime che gli rigano il volto, i pugni serrati e la rabbia che gli monta dal petto, il bambino si trova a pensare: «Ma cosa succede? Ero un bambino, io con delle biglie, delle manate, delle corse, dei giocattoli […] ero in primo luogo un bambino ebreo. Cosa vuol dire in primo luogo? Che cos’è un ebreo?».
L’ebreo è il responsabile della guerra, gli risponderà Kraber, che ha ora un’arma in più di vessazione: la stella gialla cucita sulla giacca di Joseph e Maurice e i manifesti di propaganda antiebraica attaccati per tutta Parigi.
Eppure persino le botte dei compagni sono un’onta migliore da sopportare dell’indifferenza dei professori, del rendersi improvvisamente conto di essere diventato un paria, un essere da mettere al margine, da perseguitare. I genitori, la sera stessa in cui vedono Joseph tornare a casa con i segni delle percosse sul viso, ben sapendo che nessuno o quasi lo ha difeso, decidono di mettere in salvo i bambini, di farli sparire, di far loro prendere il treno: «nella notte senza luce, nelle strade deserte dell’ora in cui stava per cominciare il coprifuoco, sparimmo nelle tenebre. Era finita con l’infanzia».
Riccardo Gazzaniga, Abbiamo toccato le stelle, Rizzoli, Milano 2018
Nel libro di Riccardo Gazzaniga c’è un’interessante carrellata di uomini, di donne, di sport che hanno lasciato il segno: a pagina 143 troviamo la storia di Gino Bartali, uno dei più famosi ciclisti italiani e, come scrive Gazzaniga, un campione nel senso più completo della parola. Bartali non aderì mai al fascismo e quando vinse il Tour de France nel 1938, invece di fare il saluto romano, si fece il segno della croce, cosa che avrebbe potuto costargli caro se non fosse stato il più celebre campione di ciclismo italiano. Dopo il 1943 entrò nell’organizzazione clandestina DELASEM (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei) e, tra il 1943 e il 1944, trasportò ogni giorno da Assisi a Firenze fotografie e altre carte necessarie per fabbricare documenti falsi destinati a centinaia di ebrei. Il racconto inizia nel momento di massima tensione: Bartali è convocato dai fascisti per un controllo in una Villa vicino Firenze, chiamata Triste per via delle grida che si possono sentire. È il quartier generale della banda Carità, dal nome del loro comandante il fascista Mario Carità, «una delle più crudeli formazioni fasciste specializzata in rastrellamenti, torture e infiltrazioni dentro a gruppi partigiani per arrestarne e ucciderne i componenti». Forse qualcuno ha parlato, forse ha tradito, Gino ha paura ma deve andare, ha un bambino piccolo, non può fuggire. Ecco che il racconto si muove a ritroso e quasi sembra di sentire il cuore del ciclista battere di terrore mentre Mario Carità, criminale fascista, lo scruta da capo a piedi e sembra leggergli dentro.
L’esempio di Bartali è quello di un uomo che ha scelto di non essere indifferente e di rappresentare appieno il significato della parola “campione”
Scuola secondaria di secondo grado
Katherine Kressmann Taylor, Destinatario sconosciuto, Rizzoli, Milano 2009
Il tema dell’indifferenza non può prescindere dal saggio di Hannah Arendt, La banalità del male (Feltrinelli, Milano 1964), ma questo breve romanzo epistolare, pubblicato per la prima volta in America nel 1939, illustra bene i principi teorizzati dalla filosofa tedesca: Il romanzo è ambientato nel 1932 nella Germania nazista: due amici, Martin tedesco e Max, ebreo americano, sono soci in affari, Martin torna in Germania per seguire gli affari in Europa, mentre Max prosegue il lavoro in America. Con il passare del tempo, parallelamente all’ascesa del Nazionalsocialismo, vediamo Martin cambiare e aderire alla dittatura, per opportunismo prima e per decisa scelta ideologica poi. Inevitabilmente i rapporti tra i due si raffreddano, fino all’inaspettato finale; si tratta di un racconto che in realtà indaga la complessità delle relazioni tra le persone e la vendetta. Alla fine l’interrogativo fondamentale è: chi è più colpevole? Martin che mette al bando, per convenienza, la sua amicizia con Max e rifiuta di aiutarne la sorella, di fatto consegnandola alle SA, o Max che matura la sua cerebrale vendetta, condannando Martin e l’intera famiglia ai campi di concentramento?
Primo Levi, Il sistema periodico, Einaudi, Torino 1975
In due racconti Fosforo e Oro Levi racconta in concreto cosa è cambiato nella vita di tutti i giorni, nello sguardo degli altri, nella sua consapevolezza di essere una persona che non esiste.
Nel 1942 Levi ottiene un nuovo misterioso lavoro come chimico dopo un colloquio all’Hotel Suisse con il commendatore, un uomo pragmatico e opportunista poco attento nei confronti del regime (chiama l’hotel “Suisse”, senza italianizzare il nome in “Svizzera” come voleva la nuova legge contro i nomi stranieri) ma che tratta Levi con la stessa curiosa fretta di molti italiani “ariani” (con le virgolette nel testo) nei confronti degli ebrei. Una fretta non causale che risponde a uno scopo ben preciso: in tempo di difesa della razza, con un ebreo si poteva essere cortesi, magari aiutarli, ma non «era consigliabile intrattenere con lui rapporti umani, non compromettersi a fondo, in modo da non essere costretti a mostrare comprensione e compassione». Fosforo è soprattutto la storia d’amore non corrisposto per Giulia e la presa di coscienza, attraverso quell’amore, di essere un diverso: Giulia e il suo fidanzato sono «un goi, e lei una goia, secondo la terminologia atavica: e si sarebbero potuti sposare. Mi sentivo crescere dentro, forse per la prima volta, una nauseabonda sensazione di vuoto: questo dunque voleva dire essere altri; questo il prezzo di essere il sale della terra».
«Il fascismo aveva operato su di noi, come su quasi tutti gli italiani, estraniandoci e facendoci diventare superficiali, passivi e cinici» scrive Levi in Oro, storia di sette amici torinesi sfollati a Milano che ignorano, o vogliono ignorare, quanto succede nell’Europa: «la nostra ignoranza ci concedeva di vivere, come quando sei in montagna, e la tua corda è logora e sta per spezzarsi, ma tu non lo sai a vai sicuro». Con il finire del 1942, i sette ragazzi acquistano una nuova coscienza politica, guidati dagli antifascisti che erano rimasti nel silenzio per vent’anni, si separano e affrontano la guerra partigiana. Levi viene catturato e, in prigione, deve scegliere se confessare di essere partigiano, ed essere immediatamente ucciso, oppure di essere ebreo ed essere inviato nei campi di concentramento in Germania.
Il racconto successivo, Cerio narra poi della fame patita nel campo di concentramento di Auschwitz e dell’amicizia con Alberto, uomo che mai si abbandonò alla rinuncia, al pessimismo, allo sconforto e che insegnò a Levi la necessità di essere astuti.
Primo Levi, Lilít e altri racconti, Einaudi, Torino 1981
La storia di Avrom è il racconto di una rocambolesca fuga e della lotta per la sopravvivenza di un bambino ebreo polacco, che immediatamente capisce come fosse meglio non aspettare i tedeschi chiuso in casa, come avevano deciso di fare i suoi genitori, e prima fa il ladro, poi diventa la mascotte della caserma italiana a Leopoli, poi giunge nel Canavese, si finge cristiano e diventa partigiano.
Laurel Holliday (a cura di), Ragazzi in guerra e nell’Olocausto. I loro diari segreti, Marco Tropea Editore, Milano 2008
Una storia che, almeno in parte, apre alla speranza e racconta cos’è la guerra per i bambini e i ragazzi è il libro curato da Laurel Holliday in cui sono raccolti diari di bambini e adolescenti dai ghetti, dalle grandi città invase e bombardate dai tedeschi.
Sabina Fedeli e Anna Migotto, #AnneFrank. Vite parallele, 2019
A chiudere questa veloce carrellata una docu-fiction uscita nelle sale italiane per soli tre giorni ma che merita la visione in classe; ho visto questo film con la mia classe e ne siamo usciti in silenzio, ciascuno riflettendo su quanto fino ad allora avevamo letto, sulle esperienze di ciascuno. Il lunedì in classe poi la riflessione è partita da domande come:
Cosa ti ha colpito del film?
Quale strategia narrativa hai apprezzato?
Quale connessione con altri testi hai potuto fare?
Per quale motivo gli altri sono stati indifferenti?
Quale filo unisce le donne che compaiono nel film?
Ed è stato a quel punto che Leonardo se ne è uscito con: «Professoressa mi sa che tutti rischiamo di poter essere indifferenti, no?»
Referenze iconografiche: lolloj/Shutterstock