750 anni dalla nascita di Dante (1265 - 2015)
A livello didattico il problema che dobbiamo affrontare come docenti è quello di cercar di comprendere come un adolescente contemporaneo possa reagire o comunque porsi di fronte a un testo letterario, quale la Commedia, scritto più di sette secoli fa
Giustamente continuiamo a leggere Dante anche per la sua vitalità. Un critico letterario e dantista (Marco Santagata) ha affermato che un classico è vitale, al punto da sopravvivere alla scomparsa del proprio corpo (in AA.VV., Di fronte ai classici, BUR saggi, 2002, p. 227). Un classico è infatti un autore che ha lottato, e continua a farlo, contro il tempus edax (o tempo divoratore) di oraziana memoria, e soprattutto che continua a vincere questa impari battaglia (almeno fino a quando sarà letto e meditato) per la sua perenne attualità.
L’attualità di Dante è dovuta in primo luogo alla fascinazione che proviamo nel cominciare insieme a lui uno straordinario viaggio, uno storytelling (come oggi si suol dire) denso di colpi di scena, di luoghi inesplorati, di situazioni inimmaginate.
Il fascino deriva da due aspetti apparentemente contraddittori: il condurci in una realtà ultraterrena ignota con conseguenti arcane aspettative (il mondo cristiano dei morti) e nello stesso tempo trattare gli aspetti più importanti della vita terrena, di cui si sostanzia la vita dell’uomo: l’amore, la politica, la religione, la scienza, i vizi più perversi…
Un altro grande critico letterario (Harold Bloom) ha affermato che ciò che accomuna la Divina Commedia ad altre opere quali, per esempio, il Paradiso perduto di Milton, il Faust di Goethe, è la misteriosità, la … capacità di far sentire il lettore un estraneo a casa sua (in Il Canone Occidentale, Bompiani, 2000, p. 3). In effetti un senso di mistero ci accompagna per tutto il cammino, alla scoperta di qualcosa di in-audito (o “mai udito prima”, in senso etimologico) e di mai visto, proprio per l’eccezionalità del viaggio. È vero che Dante, nella sua esplorazione ultraterrena, si rifà a due viaggi esemplari di tal fatta, quello di Enea nell’Eneide di Virgilio e quello di San Paolo (Seconda lettera ai Corinzi, 12, 2-4), citandoli esplicitamente in Inferno, II, vv. 13 -30. Ma Dante reinterpreta in maniera del tutto originale l’oltretomba pagano, in particolare quello virgiliano, pur recuperandone vari elementi.
Nel cominciare lo straordinario viaggio della Commedia il lettore si sente subito coinvolto, sia per l’inizio in medias res, sia perché l’autore nel primo verso usa la prima persona plurale (Nel mezzo del cammin di nostra vita) anche se subito dopo restringe la situazione al proprio io (mi ritrovai in una selva oscura) usando la prima singolare; ma noi siamo già coinvolti perché la vita è quella di tutti noi stessi e ciò che è capitato a Dante potrebbe capitare a ciascuno di noi medesimi.
Il nostro adolescente dovrebbe essere teoricamente già coinvolto pure lui, ma, come sappiamo, molto dipende dalle strategie didattiche messe in atto e soprattutto, a mio avviso, dalla passione prima e dalla competenza poi con le quali riusciamo a comunicare il testo dantesco.
Il suo coinvolgimento sarà tanto maggiore quando a poco a poco gli faremo scoprire come la vicenda di Dante – personaggio, che si appresta ad affrontare numerose e difficili prove per risalire dal buio alla luce – sia un po’ la sua stessa vicenda di adolescente che deve superare una serie di prove altrettanto impegnative per passare dall’adolescenza alla maturità, o semplicemente da uno stato d’insoddisfazione e infelicità a una condizione di appagamento e di maggiore serenità. Il concetto di “prova da superare” che forgia l’animo, il carattere, la personalità è fondamentale nella Commedia, giacché si rifugge dalle facili scorciatoie, dalle quali l’adolescente-tipo si sente nel suo difficile cammino esistenziale fortemente attratto (alcool, “spinelli”, lo “sballo” in discoteca, o un più generico edonismo inconcludente). Si prefigura quindi un percorso diciamo “laico” di formazione, a fianco di quello religioso, che non può lasciare indifferente l’alunno nel momento del massimo bisogno di punti di riferimento della sua vita, i quali sono sempre stati la famiglia, la scuola nella figura dei docenti quali educatori, e io credo la letteratura in generale (come del resto la filosofia o l’arte) se permeata e fatta propria non a livello nozionistico ma formativo. Del resto qualcuno ha affermato che la letteratura intensifica la vita.
In una fase storica di crisi epocale della famiglia (si rileggano a questo proposito le pagine calzanti contenute nel capitolo XI – La rivoluzione culturale – del Secolo Breve di Hobsbawm) spesso al nostro adolescente non rimane che l’occasione educativa della scuola e in particolare delle materie umanistiche e dei classici.
Chi abbia letto una sola tragedia greca, una sola “invettiva” dantesca, un verso della Ginestra, saprà ascoltare, saprà riconoscere i propri limiti e il valore altrui, ma passivamente obbedire mai (Massimo Cacciari, in Di fronte ai classici, cit., pag. 29).
La grande forza di Dante credo sia anche la possibilità di far intravedere, in fondo a un lunghissimo tunnel, la luce.
Un poeta grandissimo come Petrarca, macerato com’è nella sua continua autoanalisi fra il costante proposito di una maggiore dedizione alla vita autenticamente cristiana in vista di una possibile salvezza nell’aldilà e un parallelo costante rinvio di tale decisione, attratto com’è dalle lusinghe mondane dell’amore per Laura, del conseguimento della gloria poetica, e così via, anche se incarna perfettamente l’indole di quello che sarà l’uomo moderno e non più medievale, non riesce a coinvolgere l’alunno a livello esistenziale, se non per la splendida e impeccabile corrispondenza fra contenuto e forma, per le magiche atmosfere evocate attraverso sapienti soluzioni formali di simmetrie e parallelismi che soli riescono a placare l’insoddisfazione perenne del suo animo.
Tutte queste raffinate operazioni poetiche riescono a coinvolgere solo parzialmente il nostro alunno, giacché quella macerazione interiore infinita rischia di non dare risposte definitive alle domande esistenziali di un animo in formazione. Il percorso dantesco appare allora più convincente per le possibilità di riscatto che offre, per la speranza che prospetta, per il raggiungimento di una meta definitiva e totalizzante; naturalmente a certe condizioni, ed è qui la forza educativa: condizioni dure, fatte di coraggio, sacrificio, di recupero delle facoltà razionali e della loro costante applicazione in un esercizio di rafforzamento del carattere che può essere l’antidoto ideale alla vacua apatia di molti giovani d’oggi.
Le pene dantesche per la loro originalità, ma anche crudeltà (e talvolta sadismo), rimangono impresse indelebilmente, ma servono a stigmatizzare comportamenti odiosi che trovano puntualmente riscontro nella nostra contemporaneità. Si pensi alla pena dei barattieri immersi nella pece bollente e a quanti di noi, inconsciamente, piacerebbe vedere molti politici contemporanei corrotti condannati a pene simili.
Un’ultima notazione. Noi viviamo in una società bisognosa di ripensare le regole generali dell’economia, della politica, della morale, una società che ha bisogno di riscoprire i valori dell’altruismo e della solidarietà anche fra entità nazionali, che ha bisogno di ridurre le disuguaglianza per ritrovare una convivenza pacifica o meno conflittuale; ebbene la Commedia dantesca è forse il più grande ambizioso profetico progetto di riforma morale della società. Più attualità di questa...
Referenze iconografiche: Wikimedia Commons