Imparare facendo
L’esperienza quotidiana come motore del cambiamento
Alcuni anni or sono, negli Stati Uniti, uno studente di college affrontava l'esame di fisica per essere ammesso all'università. Il professore gli pose un solo quesito: «Come si può misurare l'altezza di una torre disponendo unicamente di un barometro?». Lesto lo studente rispose: «In tasca ho dello spago; salgo sulla torre, calo giù il barometro e poi misuro il tratto di corda». Il professore: «Bocciato!». Quel che l’esaminatore si aspettava da un aspirante studente di fisica è che ragionasse sul concetto di pressione: ogni 10,5 metri c'è un millimetro di pressione in meno; se ci sono 760 mm di mercurio alla base della torre e 757 in cima alla torre, questa è alta 31,5 metri. Lo studente fa ricorso e gli viene data una seconda possibilità di sostenere l'esame. Nuovo professore, ma stessa domanda: «Come misurare l'altezza di una torre con un barometro?» Lo studente scrive freneticamente per parecchi minuti poi risponde: «Ho trovato 21 soluzioni, ma non so quale sia la migliore». E comincia: «1° risposta: appoggio il barometro per terra alla base della torre e segno una tacca sul muro dove finisce il barometro, poi lo sposto sopra la tacca e traccio un nuovo segno... 2° risposta: aspetto che ci sia il Sole, misuro l'ombra del barometro e poi la confronto con l'ombra della torre... 3° risposta: salgo in cima alla torre con un cronometro e butto giù il barometro... 4° risposta, uso il sistema della pressione (le risposta che voleva l'altro professore)... 5° risposta... 6° risposta.... C'è poi una 21° soluzione: vado dal custode della torre e gli dico: “se mi dice quanto è alta la torre le regalo questo bellissimo barometro!”».
Narrato nelle pagine di “Il quark e il giaguaro”, di Murray Gell-Mann (premio Nobel per la fisica nel 1969 per aver scoperto le particelle elementari che battezzò “quark”), questo aneddoto illustra bene quello che nell’ambito delle neuroscienze si chiama «pensiero divergente». Una dote rara, sinonimo di non omologazione culturale, di libertà, al limite della stravaganza (tant’è che talvolta anziché valorizzarlo, il pensiero divergente viene visto con sospetto, come se chi affronta i problemi con originalità sia da guardare con sospetto… ma questa è un’altra storia). Per contro, troppo spesso si premia chi dà la risposta standard, quella che rientra nei parametri, quella che si va a spuntare con una crocetta.
Oggi più che in passato è necessario valorizzare il pensiero divergente, imprescindibile per affrontare la complessità dell’oggi e del futuro che aspetta le nostre ragazze e i nostri ragazzi: serve intensa connessione tra la somma delle nozioni apprese in classe e le questioni aperte, e problematiche, che incontriamo nella vita di tutti i giorni.
È la stessa direzione verso la quale punta la nuova valutazione, le cui linee guida raccomandano di mettere alunne e alunni di fronte a prove che già conoscono (le situazioni note), ma anche di proporre contesti nuovi, problemi che necessitano trovare soluzioni inedite e permettano di mobilitare risorse proprie, competenze o conoscenze acquisite anche in modo informale, al di fuori della scuola.
Mentre scrivo questi pensieri la semplice stazione meteorologica che ho nel mio piccolo giardino mi ricorda che a Torino non piove da oltre 100 giorni, giusto qualche goccia il 5 gennaio. Siamo ai primi di aprile e le statistiche dell’Arpa e del CNR confermano: nel nord Italia abbiamo appena vissuto uno degli inverni più asciutti e siccitosi di sempre (e anche decisamente tiepido!). «Davvero? Ma ogni volta che apro il rubinetto arriva tutta l’acqua che desidero, non è un vero problema. Posso ignorare la notizia e continuare a vivere come sempre».
Ed è quello che probabilmente hanno pensato in molti. Quanti sono invece “saltati sulla sedia”? Quanti hanno percepito la gravità della notizia e si sono chiesti: «Cosa posso fare?». Il ciclo dell’acqua lo conosciamo bene, si impara a scuola. Così come sappiamo che la neve accumulata d’inverno in primavera fonde lentamente, alimenta i torrenti e d’estate aiuta l’irrigazione dei campi. È nel sussidiario! Ci sono anche le spiegazioni di cosa è una falda acquifera…ma questo concetto è già più labile nei ricordi. Di sicuro ignoriamo come un acquedotto ripulisce l’acqua del lavandino della cucina (dove magari ho appena scolato dalla padella l’olio di frittura) o quanta acqua viene consumata dai cannoni spara-neve e quanto viene “maltrattato” il suolo ricoperto per alcune settimane l’anno di neve artificiale.
Quello che oggi deve accadere a scuola è il cortocircuito tra le nozioni che ricevo dai sussidiari e la vita intorno a me. Perché se tutto quel sapere non lo traduco in conoscenza da usare per comprendere quello che mi sta accadendo intorno allora andare a scuola serve a poco.
Quest’anno celebriamo il centenario della nascita di Mario Lodi, che da giornalista ho avuto l’occasione di intervistare più volte nei primi anni Novanta e da cui ho imparato moltissimo quando ho iniziato a scrivere i miei primi libri di scienza per bambini. In classe lui iniziava proprio dall’esperienza quotidiana. Un uovo, un bicchiere d’acqua, l’ingranaggio di una bicicletta, una lampadina, una cerniera lampo… una situazione, un gesto che fosse vivo e ben conosciuto dai bambini diventava l’incipit della lezione, che era una esplorazione collettiva di quel gesto e di quell’oggetto. Il gesto o l’oggetto veniva “smontato”, esplorato, compreso attraverso le parole di tutti. Il suo ruolo di maestro era porre nuove domande, fare posto alle opinioni di tutti (anche quelle apparentemente maldestre e non espresse in modo perfetto) e lanciare sfide. «Si può far stare in equilibrio un uovo fresco su un piatto senza ammaccare il guscio?» Per invogliare a fare con le mani, provare e riprovare, trovare soluzioni diverse, andare a cercare spiegazioni a zig zag nelle materie… per poi formalizzare il tutto con una narrazione che fosse anche fantasiosa, elegante, artistica, teatrale, emozionante.
(Volete sapere come far stare in equilibrio un uovo su un piatto senza intaccare il guscio? Basta appoggiarlo su un pizzico di sale o di zucchero)
In mezzo c’è anche la teoria ovviamente. Al momento giusto Lodi introduceva le nozioni di chimica, fisica, biologia, grammatica, sintassi, arte, narrativa, matematica… nella quantità adeguata alla situazione e collegandosi via via a quello che accadeva in classe. C’era anche il momento in cui si apriva il libro a pagina 54 e si studiava sul sussidiario. Ma come punto di arrivo, più per mettere in ordine che per imparare qualcosa di nuovo. Perché Lodi sapeva bene come un libro ti fornisce informazioni pregiate e verificate, ma è poi l’esperienza viva, personale e di gruppo, che porta alla conoscenza. Con un percorso che non evita le difficoltà, che pure ti mette in crisi o ti mette a confronto con argomenti “scomodi” (la guerra, la povertà, le disuguaglianze, la sessualità, gli egoismi…) e che partendo dalla vita quotidiana torna alla vita quotidiana stimolando il cambiamento: ho capito perché l’acqua è preziosa, ho capito come e dove la uso malamente; da domani agisco e faccio quello, questo e quell’altro. A questo punto il cambiamento non è una “foglia di fico”, non è una imposizione ma è una propria scelta interiore, robusta e durevole.
In questo percorso di sicuro i bambini si emozioneranno ed è FONDAMENTALE vivere a scuola (come in ogni altro luogo di apprendimento) momenti di meraviglia e di stupore: le neuroscienze hanno ormai ampiamente dimostrato come in quegli istanti nel cervello si diffondono molecole in grado di rinforzare il lavoro dei neuroni. Si creano nuove sinapsi che vanno a creare un alone favorevole nei processi di memoria e permettono quindi la creazione di un ricordo più radicato e denso. A differenza degli eventi banali e monotoni che invece tendono a essere dimenticati in fretta. “Accendere” questa ondata chimica migliora l’apprendimento e subito dopo cresce la voglia di imparare ancora. Al contrario la competizione, la paura del brutto voto e della punizione generano inutile stress, mentre il lavoro cooperativo (il gioco!) e la soddisfazione di aver sempre un traguardo (ognuno il suo, quello che può in quel momento) attivano il circuito virtuoso: mi impegno → sono ricompensato → ho voglia di impegnarmi ancora. Migliora l’attenzione, la capacità di concentrazione, l’inclinazione a cooperare… tutte iniezioni di autostima che saranno un vantaggio importante per affrontare le fatiche dell’adolescenza con più serenità (e avremo qualche adulto più equilibrato, tra l’altro)
Prima di Mario Lodi anche Maria Montessori aveva proposto strategie di apprendimento decisamente simili, Jean Piaget le descrive con precisione scientifica e per altre strade ci era arrivato anche Robert Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo come metodo pedagogico di riscatto sociale dei ragazzini svantaggiati e (all’epoca) trascurati dalla scuola di stato.
Le idee di questi grandi innovatori della pedagogia e dell’educazione oggi le ritroviamo paro paro in sigle cha vanno di moda, come materie STEM (o STEAM, con l’aggiunta di A di ARTS), metodologia IBSE (Inquiry-based Science Education, educazione scientifica basata sull’investigazione), approccio Learning-by-doing o la Outdoor education. Fa un po’ sorridere che per diffondere le buone idee pedagogiche si debba dar loro un nome esotico… tant’è: l’importante e che le bambine e i bambini possano esser pronti alla complessità del futuro che li aspetta.
Sono questi gli obiettivi che ci siamo posti nel progettare e realizzare «Quattro passi per il cambiamento», manuale di attività per l’educazione civica e l’educazione ambientale che affianca «Scintille», sussidiario delle discipline per le classi quarte e quinte della scuola primaria. Con il gruppo di lavoro di Book on a Tree (che ha curato anche le pagine «Saltelli», sotto la curatela di Pierdomenico Baccalario) dove abbiamo fatto tesoro del lavoro di ricerca in ambito di neuroscienze (ante litteram) di Piaget e Montessori e delle innovazioni educative di Baden-Powell e Lodi per aiutare i docenti a affrontare in modo strutturato a avvolgente le nuove sfide dell’educazione ambientale e dell’educazione alla cittadinanza che il MIUR qui in casa ma soprattutto le Nazioni Unite con l’Agenda 2030 pongono a tutti gli insegnanti e gli educatori del mondo.
Piero Angela, in un suo intervento intitolato Obbligati a capire, scrive: «Oggi noi viviamo in un mondo che è proprio il frutto delle trasformazioni che noi stessi abbiamo operato sull’ambiente. L’abbiamo dipinto noi, per così dire, il mondo in cui viviamo. Spesso senza neppure volerlo progettare così come è venuto fuori. Ora, però, dobbiamo viverci dentro, e siamo obbligati a capirlo. Proprio per evitare crisi e collisioni. Quindi la nostra cultura deve essere capace di comprendere e orientare queste trasformazioni. Per non esserne vittime. Infatti non basta essere intelligenti e colti: bisogna avere una cultura adatta al proprio ambiente. E al proprio tempo. Qualunque esso sia».
Referenze iconografiche: Halfpoint/Shutterstock