I dati a scelta: senza filo, niente volo

Una riflessione sulle regole in ambito didattico

Nel romanzo Strade blu. Un viaggio dentro l’America, William Least Heat-Moon descrive due ragazzi che fanno volare i loro sgargianti aquiloni a farfalla dal filo ben teso e letteralmente “scolpisce” una frase: «Senza filo, niente volo».
Non so se l’autore volesse dare a quell’immagine il senso che io le ho dato. Quello che so per certo è che la musica di quelle quattro parole mi è entrata nel cuore, accompagnandomi nel corso degli anni di insegnamento e indicandomi quale dovesse essere, incorniciata dai contenuti disciplinari che mettevo in gioco, la direzione esatta del mio fare educazione scolastica.

Sperimentare sé stessi attraversando le regole

Dimensione emotiva dell’apprendimento e condivisione delle regole

S.I. Greenspan (L’intelligenza del cuore) ci insegna che «sono le emozioni, e non la stimolazione cognitiva, a determinare l’architettura delle mente».
Ma una cosa sono le parole, un’altra sono i sentimenti. E un’altra ancora i comportamenti. Perché farsi carico della qualità della relazione comporta assumere azioni orientate all’autenticità, alla lealtà, alla reciprocità della condotta.
In questo quadro le regole devono essere condivise e valere per tutti, a cominciare da quelli che ne sono i depositari: gli adulti. Il loro rispetto rappresenta la prova tangibile che ciò che avviene all’interno di un rapporto viene preso sul serio e non viene lasciato al libero arbitrio di ciascuno, la dimostrazione che se ne vuole cogliere il valore, anche affettivo, il segno che tutti gli dedichiamo la massima attenzione, il massimo ascolto.
Nella scuola secondaria la dimensione affettiva segna ancor più decisamente la relazione tra insegnante e studente a causa del frequente slittamento nel registro sovrapposto della relazione adulto/adolescente. E in questo quadro le regole assumono un ruolo decisivo, posto che la loro osservanza, così come la loro trasgressione, rappresentano il più evidente banco di prova di come ciascuno dei nostri ragazzi, animato dal desiderio di distinguersi, vive il conflitto tra bisogno di attaccamento e bisogno di autonomia, influenzando così non solo il modo di apprendere e i risultati dell’apprendimento, ma anche l’idea che ci si fa delle relazioni umane, del proprio presente e del proprio futuro.
Dunque, regole, da condividere.

Regole e trasgressione: il vero esperimento è ciò che vuoi dire

Senza filo, niente volo. Non puoi volare se non sei ancorato a un punto che ti tiene ben stretto, grazie al quale il vento ti consentirà di spiccare il volo, di crescere e imparare a librarti senza perdere i contatti con la base. Non un volo “tanto per volare”, dunque, come quando il palloncino scappa inavvertitamente dalla mano della bambina di Banksy, ma un guizzante volteggiare ormeggiato a un dettaglio, a un’occasione, a una circostanza.
Tuttavia, è bene sottolineare che l’attenzione non va focalizzata sul filo che trattiene l’aquilone, ma sul volo che in quel modo possiamo sperimentare. Perché, se è vero che senza il filo l’aquilone non può alzarsi in volo, è altrettanto vero che, senza l’esperienza del volo il filo smarrirebbe compito e valore.
Ecco il punto: la regola rappresenta soltanto la cornice che ci permette di esporre il nostro disegno. Perché una regola che non abbia una finalità espressiva è come una cornice senza quadro. Solo vuota retorica.

Tenere il filo ben teso per creare qualità

L’aquilone, per volare, ha bisogno di un bel colpo di vento e di un polso saldo che lo spinga nella giusta direzione. Lo notiamo chiaramente in classe. A volte, quando siamo troppo vicini al margine del caos (l’espressione è di M. Crichton, Il mondo perduto), sentiamo la necessità di contenere l’eccessivo disordine. Altre volte, invece, quando ne siamo troppo lontani, siamo i primi a inserire nel sistema un qualche elemento di turbolenza per riaccenderne il potenziale creativo.
Su quel sottile crinale occorre “tenere il filo ben teso” e provare a fondere, in proporzioni che non saranno mai date una volta per tutte:

  • quella dose di caos che consenta a ciascuno di mettere liberamente in gioco il proprio stile;
  • sufficiente ordine affinché quello stile individuale, proprio in quanto rispetta la base condivisa di regole, risulti comprensibile a tutti, possa farsi largo e riesca infine a far percepire, controllare e valutare la sua specifica qualità.

Stiamo parlando di uno spazio di continua e reciproca trasformazione dove ciascuno, nessuno escluso, possa esprimere al meglio la propria qualità in termini di differenza. Dove le regole sono fornite non soltanto come vincoli protettivi rispetto al disordine, ma come opportunità per esprimere le eccezioni.
Perché, se è vero che anche la più sorprendente delle improvvisazioni necessita di un preciso quadro di riferimento, di un rigoroso ordine simbolico, è altrettanto vero che il semplice rispetto di quel quadro non garantirà nulla in termini di qualità.
Le regole non rappresentano quindi un ostacolo alle proprie possibilità espressive, bensì un lato della loro tutela, offrendo un’occasione al differente manifestarsi della qualità di ognuno. Quel poco di uguale che deve valere per chiunque e che fa sentire ognuno parte di un progetto che lo travalica dovrebbe così consentire a ciascuno di far giocare quel tanto di differente che vive delle scelte che lo caratterizzano.
Se è vero dunque che, anche a scuola, regole e compiti non dovranno mai mancare, certo non rappresenteranno il fine ma solo un mezzo, tra gli altri, per perseguire il vero obiettivo, che è quello della scoperta della qualità di ognuno.

Scegliere procedimenti e dati per definire la propria qualità

Punti chiave e “gradi di apertura” della prova scritta d’esame

Che cosa e come
Nella prova scritta di Economia aziendale all’Esame di Stato, viene oggi richiesto un utilizzo sistematico di quella che potremmo chiamare metodologia della scelta, che nelle tracce più recenti ha riguardato non solo la determinazione dei dati da inserire nei documenti richiesti, ma anche i procedimenti di progettazione e organizzazione del proprio lavoro.
La traccia, infatti, si presenta generalmente aperta (anche nella sua parte centrale obbligatoria), consentendo in parte di scegliere:

  • il grado di estensione e di complessità da far assumere alla propria elaborazione;
  • il percorso ritenuto più adatto al fine di rispondere alle consegne, nonché le relazioni tra le diverse parti della prova.

Decisiva, a questo proposito, risulta la lettura attenta del testo, al fine non solo di comprendere le esatte consegne, ma anche di dedurre suggerimenti, indicazioni, consigli su come concepire il proprio elaborato, tenendo conto dei nessi reciproci tra parte centrale e quesiti, che possono consigliare un’integrazione tra le diverse parti, allo scopo di finalizzarne meglio e più rapidamente l’aderenza e la qualità, risparmiando tempo prezioso e garantendo maggior coerenza allo svolgimento.
Come appare evidente, le difficoltà dei recenti temi ministeriali non stanno tanto nello sviluppo dei contenuti in quanto tali, che il Ministero sceglie oramai sempre tra quelli più trattati. Il punto è che la prova non consiste mai in un piatto da riproporre semplicemente sulla base di una ricetta di cui è sufficiente conoscere gli ingredienti. Si tratta invece di una vera e propria esperienza da orchestrare, non raramente densa di incognite. Non permettono equivoci le parole della Circolare n. 1 del 29 gennaio 2015 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Essa descrive le diverse tipologie e modalità di svolgimento della prova scritta, individuate sulla base degli elementi innovativi e caratterizzanti introdotti con i DPR n. 87, 88 e 89 del 2010 e quindi con le Linee guida per gli Istituti tecnici. Vi si precisa che la prova fa riferimento a situazioni operative in ambito economico-aziendale e richiede al candidato attività di analisi, scelta, decisione, individuazione e definizione di linee operative, individuazione di problemi e definizione motivata delle soluzioni, ricerca e produzione di documenti aziendali.

Perché
Lo spazio di discrezionalità lasciato nell’interpretazione delle consegne ha probabilmente l’obiettivo di tener conto entro limiti ragionevoli delle inevitabili differenze tra scuole, indirizzi, classi, esperienze personali. Vi è forse anche un messaggio ai commissari esterni d’Esame, che sono in tal modo invitati (e autorizzati) a meglio aderire alle specifiche e peculiari situazioni incontrate, e (entro limiti ragionevoli) a pretendere dal candidato soltanto la conoscenza che il docente di quella specifica realtà è riuscito a (o ha scelto di) trattare con la sua classe.
Tali spazi di autonomia valgono naturalmente anche per il singolo candidato. Durante l’anno lo studente dovrebbe essere stato addestrato a “percorrere” gli argomenti a diversi livelli di approfondimento e di complessità e, quando possibile, predisponendo prove di verifica graduate, a partire da un nucleo essenziale e irrinunciabile di richieste base sul sapere minimo (adatte per cogliere la sufficienza), al quale aggiungere via via ulteriori aspetti di contenuto e metodologici, allo scopo di premiare approfondimento e apporto individuale. Verrebbero così colti contemporaneamente due importanti obiettivi: da un lato sostenere e valorizzare anche la ricerca dell’eccellenza, cui solitamente dedichiamo minor attenzione; dall’altro consentire, anche nelle situazioni di maggior fragilità di classe o individuali, l’acquisizione di conoscenze pur circoscritte ma comunque spendibili e valevoli ai fini del punteggio finale, evitando la spietata alternativa del “o tutto o niente”.
È probabile che lo studente, maturando in tal modo nel tempo una fruttuosa esperienza di modulazione del proprio approccio alle conoscenze, sia maggiormente in grado di decidere da solo in sede d’Esame, entro confini ammissibili e nel rispetto del perimetro tracciato dal testo del tema, l’altezza alla quale fissare l’asticella.
Non tutti i docenti sono soddisfatti di questa predilezione ministeriale per le prove “aperte”.
Molti ritengono si tratti di un compito troppo impegnativo rispetto a quello, preferibile, delle classiche esercitazioni con dati assegnati, che si reputano più adatte a studenti di quell’esperienza (oltre che più semplici, anche da valutare), soprattutto là dove manchi l’auspicabile continuità didattica o non si possa fruire di condizioni ottimali di lavoro.
Effettivamente a volte ci si è trovati di fronte a consegne davvero troppo complesse, per soddisfare le quali pareva necessario possedere competenze manageriali. Nello stesso tempo è indubitabile che le esperienze didattiche che occorre allestire nel tempo insieme ai propri alunni per garantire loro il successo in prove del genere contribuiscano ad allenare proprio quelle caratteristiche di “accentuata flessibilità” valorizzate dalla recente riforma.

La valenza formativa dell’utilizzo dei dati a scelta
Come risulta dalle note che precedono, le complesse attività che accompagnano la redazione di documenti con dati “a piacere” mostrano una valenza non soltanto scolastica, ma anche professionalizzante e più in generale formativa.
Si tratta infatti di occasioni che costringono lo studente a delineare le proprie scelte ed esprimere le sue personali valutazioni all’interno di un quadro di variabili dalle quali non può prescindere, muovendo i propri numeri dentro lo spazio del possibile, senza ignorare le condizioni poste al suo agire, ma anzi sfruttando intelligentemente i vincoli che gli sono dati come punti di riferimento e misura. La prova consente a ciascun candidato di esprimere al meglio la propria reale qualità in termini di differenza, coniugando rigore e creatività, regole e talento, facendo in ultima analisi vedere chi è.
E, dal suo canto, l’esaminatore potrà così verificare non solo ciò che ciascuno degli esaminandi sa e sa fare con ciò che sa in contesti guidati, quali possono essere le esercitazioni con dati assegnati, ma anche come saprà essere (reagire) in contesti inediti e parzialmente strutturati, quali quelli che lo attendono una volta terminata la scuola, coniugando adeguatamente con la necessaria empatia le sue particolari convinzioni con l’insieme delle regole del gruppo di lavoro.

I dati a scelta: modello base e variazioni sul tema

I dati sono “liberi” solo fino a un certo punto, in quanto le opzioni compiute dovranno necessariamente procedere all’interno di spazi razionali e rispettare la ragionevolezza e la coerenza del sistema numerico e delle relazioni messe in campo; prerogative, queste, tutt’altro che “libere”. Anziché di dati “liberi”, meglio sarebbe parlare di dati e comportamenti congruenti, che oltre a doversi spesso adattare a un contesto già delineato, devono rispondere a regole di sistema e in primo luogo garantire la tridimensionale concordanza tra i tre lati delle cifre aziendali: economico, patrimoniale e finanziario. Per questi motivi, se è vero che non esiste un’unica metodologia per l’elaborazione dei dati a scelta, è altrettanto vero che occorre disporre di un modello.
Non esiste un modello a priori migliore di un altro ma, per ottenere più efficacemente i risultati attesi, il modello scelto dovrà possedere certe caratteristiche.
Dovrà risultare di semplice memorizzazione, congruente e compiuto, ma nello stesso tempo anche aperto e riadattabile, affinché sia agevole riproporlo e riutilizzarlo in ognuno degli imprevedibili contesti con cui ci si dovrà misurare e risulti anche possibile una sua rimodulazione a favore di documenti con caratteristiche simili (valorizzando ad esempio i punti di contatto tra il Bilancio d’esercizio e i diversi documenti appartenenti al Sistema Budget). Tali doti di flessibilità consentiranno, all’occorrenza, non solo di far posto ai dati numerici non liberi e alle altre condizioni imposte dalla traccia, ma anche a quegli aggiustamenti attraverso i quali ciascun candidato potrà differenziarsi e esprimere le proprie personali rappresentazioni. È bene sottolineare che un siffatto modello risulterà utile non solo nei casi in cui il candidato sia lasciato completamente libero di scegliere i dati, ma anche quando la traccia prescriva alcune grandezze o relazioni prestabilite, nel qual caso rappresenterà un valido schema di riferimento capace di continui suggerimenti sul percorso da seguire. Nel modello dovranno essere chiaramente distinguibili gli elementi di struttura (che rimangono stabili indipendentemente dalle ipotesi del testo) da quelli che invece possono e anzi devono cambiare per adattarsi alle diverse situazioni operative. La parola chiave è dunque versatilità, la capacità cioè di utilizzare il proprio metodo, quello sul quale ci si è esercitati per tutto l’anno scolastico, facendo contemporaneamente posto alle novità che la traccia propone o impone.
Il modello dovrà essere costruito insieme allo studente, che dovrà gradualmente farlo suo, eventualmente personalizzandolo, sempre nel rispetto della correlazione logica tra le grandezze e dei vincoli imposti dalle tracce affrontate. Inizialmente, il modello fungerà unicamente da irrinunciabile binario logico cui ancorarsi per evitare errori, ma, pian piano, la sua familiarità dovrà consentire ampi spazi di espressione.
Ai primi utilizzi, le regole del modello potranno a qualcuno sembrare troppo prescrittive e non è raro che qualche studente, tra quelli più preparati o più creativi, sia tentato di offrire una versione diversa, cosa che non è mai da scartare a priori. Tuttavia, all’inizio, è bene non discostarsi troppo dalle caratteristiche di base del procedimento, considerato che una sua paziente osservanza aiuterà a fortificare i percorsi logici centrali e che sarà proprio l’aver fatto tutti l’abitudine a quel modello a consentire a ciascuno di distanziarsene, favorendo, mano a mano che ci si misurerà con temi più complessi e meno liberi, l’apertura di ampi spazi di espressione, quando la libertà di ciascuno acquisterà significato e valore proprio collocandosi dentro la cornice di tutti.

Il mio modello è “migliore” del tuo

Considerato che non esiste un unico metodo per la produzione dei Bilanci con dati a scelta e che la traccia non specifica mai procedimenti vincolanti, si ritiene che il metodo migliore sia… quello che lo studente ha appreso durante la sua esperienza di classe. Pertanto l’alunno deve sempre essere lasciato libero di applicare il procedimento a lui più congeniale, purché, naturalmente, conduca ai risultati richiesti.
L’esaminatore esterno dovrà quindi evitare (tra l’altro proprio in un’occasione così cruciale) di costringerlo a modificare le sue abitudini e imbrigliarlo in procedure obbligate e dovrà invece attenersi alle individuali elaborazioni dello studente, percorrendo l’elaborato e verificando unicamente la coerenza del sistema numerico e il rispetto delle relazioni logiche tra le grandezze messe in campo, nonché l’ottemperanza ai “paletti” eventualmente posti dalla traccia alla discrezionalità delle scelte del candidato.
Il commissario esterno che si aprirà all’ascolto del metodo scelto dallo studente lascerà infatti emergere i singoli prodotti individuali che i candidati hanno saputo creare grazie alle regole apprese nel tempo e potrà valutarli con maggiore affidabilità, proprio perché sarà riuscito a distinguerli in relazione alle comuni abitudini che l’intera classe si è data nel tempo, ponendosi nella condizione di scoprire chi è davvero quello studente.

Referenze iconografiche:  smolaw/Shutterstock

Gian Carlo Bondi

Laureato in Economia e Commercio, ha insegnato per 38 anni Economia aziendale nella Scuola secondaria di secondo grado ed è autore e coautore di numerose pubblicazioni a carattere didattico. All'attività di docente affianca la professione di Dottore commercialista.