Il quantitative easing

Un nuovo strumento di politica monetaria

Gli obiettivi e i meccanismi d’azione dello strumento di politica monetaria con cui le banche centrali americana ed europea hanno contrastato la crisi finanziaria.

L’espressione quantitative easing (QE) può essere tradotta semplicemente come allentamento quantitativo (della moneta), operazione che ha l’obiettivo di sostenere il tasso di inflazione, aumentando la quantità di moneta in circolazione.
All’indomani della crisi finanziaria del 2007/2008, le banche centrali si sono rese conto dell’inefficacia dei tradizionali strumenti di politica monetaria (operazioni sul mercato aperto, tasso ufficiale di sconto e requisito di riserva obbligatoria), data la natura finanziaria della crisi. Le banche commerciali, infatti, hanno usato la fornitura di moneta da parte delle banche centrali per rimettere in ordine i propri conti e non per stimolare l’economia attraverso i prestiti a famiglie e imprese.
Il nuovo strumento del QE, invece, non passa necessariamente attraverso la mediazione del sistema finanziario e cerca di aumentare l’offerta di moneta rivolgendosi direttamente al settore privato e/o ad altre istituzioni.
Le banche centrali hanno utilizzato il QE in modi diversificati per ampiezza, tempistica e indirizzi. Possiamo dire che in generale si è mirato a stimolare l’economia attraverso due canali. il primo basato su consumi e investimenti, il secondo basato sulla spesa pubblica. È bene chiarire che l’obiettivo principale per le banche centrali è il sostegno della domanda aggregata e, per questa via, del livello dei prezzi.

Lo stimolo per consumi e investimenti

La banca centrale interviene a sostegno di consumi e investimenti acquistando azioni e obbligazioni di imprese private.
L’acquisto di azioni ne determina un aumento del valore. Le imprese interessate presentano quindi un più elevato patrimonio netto e vengono considerate dalle banche più solvibili. Di conseguenza ricevono maggiori prestiti per effettuare i propri investimenti.
Allo stesso tempo, le famiglie detentrici di tali titoli vedono aumentare la ricchezza posseduta. Questo effetto solo figurato si trasforma in un effettivo aumento se le azioni vengono successivamente vendute o se i titoli vengono utilizzati quale collaterale per garantire eventuali prestiti. Le famiglie quindi, sentendosi più ricche, aumentano i propri consumi.
L’acquisto di obbligazioni da parte della banca centrale porta a un aumento del loro prezzo e, conseguentemente, a parità di altre condizioni, a una diminuzione del costo del finanziamento per le imprese, inducendo per questa via a maggiori investimenti.

Il sostegno del deficit e del debito pubblico

La banca centrale può anche decidere di comprare titoli di Stato per sostenere o finanziare il deficit e, quindi, limitarne gli effetti negativi sul debito pubblico.
In generale, i titoli pubblici, se di nuova emissione, vengono scambiati nel mercato primario: i governi dichiarano quanti titoli vogliono emettere e le istituzioni finanziarie li acquistano attraverso un meccanismo basato su aste. Dopo la loro emissione, i titoli possono rimanere nelle mani dei primi acquirenti (che aspettano di riscuoterne gli interessi e il capitale a scadenza) oppure possono essere scambiati sul mercato secondario.
La banca centrale potrebbe acquistare i titoli direttamente dallo Stato emittente, senza passare per il mercato primario, permettendo a questi di finanziarsi pagando interessi più bassi di quelli di mercato. Allo stesso tempo, acquistando i titoli sul mercato secondario, la banca centrale ne sostiene il prezzo, riducendone il rendimento atteso dagli agenti. In tal modo migliora le possibilità di finanziamento per i governi, mettendo al riparo i bilanci pubblici e rendendo più sostenibili politiche fiscali espansive.

L’esperienza degli Stati Uniti

Ci sono state esperienze di QE sia dopo la Grande depressione degli anni Trenta del Novecento, sia in Giappone a cavallo del secolo. Le singole banche centrali hanno applicato il QE in modi diversi a seconda dalla loro struttura istituzionale.
Dopo la crisi del 2008, un ruolo pionieristico è stato svolto dalla Federal Reserve statunitense (FED), con l’obiettivo di dare fondi alle istituzioni finanziarie per sostenere i debiti di alcune imprese governative o riconducibili al governo. Dal marzo 2009, il programma ha previsto espressamente l’acquisto di titoli di Stato americani. La paura della deflazione (una riduzione del livello dei prezzi) ha spinto la FED a proporre un secondo e un terzo programma, rispettivamente, nel 2010 e nel 2012. La stabilizzazione dell’economia che ne è seguita ha portato alla sospensione del programma nel 2014.
Ben Bernanke, governatore della FED in quegli anni, ha sempre preferito distinguere fra credit easing, realizzato immettendo moneta con l’acquisto di titoli di specifici mercati del credito (in particolare quello delle case), e un più generale quantitative easing volto a realizzare un’espansione della base monetaria con l’acquisto di titoli pubblici.

L’esperienza dell’Unione Europea

Il diverso assetto istituzionale della Banca Centrale Europea (BCE) spiega la diversa applicazione del QE nell’Unione Europea. I programmi LTRO (Longer-Term Refinancing Operations), lanciati sul finire del primo decennio del secolo per contrastare la crisi, erano sicuramente non convenzionali, ma non erano operazioni di QE e non riguardavano direttamente l’acquisto di titoli pubblici. L’obiettivo era quello di fornire liquidità alle banche in difficoltà per evitare un crollo dell’intero sistema del credito: per esempio, in due tranche distinte a cavallo del 2011/2012, la BCE fornì 1000 miliardi al sistema bancario all’1% di interessi.
Un programma più vicino a quelli della FED (definito ABSPP, Asset-Backed Securities Purchase Programme) fu implementato sul finire del 2014, con l’obiettivo di spingere le banche a diversificare le fonti di finanziamento e a emettere nuove obbligazioni.
Il 22 gennaio 2015 il Governatore della BCE, Mario Draghi, annunciò un programma di QE che non comprendeva più solo obbligazioni del settore bancario, ma anche titoli emessi dai Paesi dell’area, da agenzie governative o da istituzioni europee. L’intervento prevedeva inizialmente un acquisto di titoli per un valore di 60 miliardi di euro al mese e una scadenza ben precisa: settembre 2016. Per scongiurare la deflazione nell’Eurozona, il programma fu prima allungato, poi aumentato fino a 80 miliardi all’anno per poi essere ridotto via via fino a terminare nel dicembre 2018.

Un confronto fra le due esperienze

Vi sono due differenze cruciali fra la FED e la BCE. La prima riguarda la tempistica: la Fed ha immediatamente colto la drammaticità della crisi e non ha esitato ad applicare strumenti non convenzionali che riguardassero non solo il settore bancario ma, più in generale, agenzie e istituzioni legate al settore pubblico. In questo modo si è comportata da prestatore di ultima istanza per il governo americano e la politica monetaria, almeno nel 2009 e nel 2010, è stata complementare a quella fiscale. Ciò ha permesso al governo di produrre un deficit fiscale gigantesco, pari a circa il 10% del PIL.
La BCE si è comportata in modo diverso: prima ha finanziato le banche, incentivandole ad acquistare titoli del debito pubblico e poi, solo dal 2015, ha applicato un QE. La discrepanza temporale dipende sia dalla diversa struttura istituzionale delle due banche centrali sia dei differenti obiettivi che esse statutariamente si pongono. Mentre la FED deve sia mantenere livelli di inflazione bassi e stabili sia massimizzare il numero di occupati, la BCE ha come obiettivo il mantenimento di un basso tasso di inflazione (2%) e, in subordine, la crescita del reddito. D’altra parte alla BCE è fatto divieto di acquistare titoli del debito pubblico direttamente dagli stati.
La seconda differenza riguarda la tipologia di intervento. Mentre la FED ha potuto spaziare, non limitando il suo intervento al sistema bancario, la BCE ha aiutato i governi indirettamente. Le regole dell’Unione Europea non hanno permesso agli Stati di creare un deficit di bilancio paragonabile a quello americano, demandando nei fatti alla sola politica monetaria la soluzione della crisi.
Il diverso impianto istituzionale ha determinato i comportamenti delle due banche centrali e, nei fatti, i diversi effetti sulle due aree economiche. Al momento non sappiamo effettivamente quale sia stato l’impatto del QE nei vari Paesi. Dovremo attendere qualche anno per avere dati sufficienti a valutare l’impatto complessivo delle politiche monetarie non convenzionali sui Paesi dell’Eurozona.

Referenze iconografiche:  Frank11/Shutterstock

Giorgio Ricchiuti

Laureato in Economia politica, ha inoltre conseguito il Dottorato di Economia dello sviluppo. È professore associato presso il Dipartimento di Scienze per l'Economia e l'Impresa dell'Università di Firenze, dove tiene corsi di Economia internazionale, Macroeconomia ed Economia computazionale. È autore di diverse pubblicazioni Paramond.