La moneta digitale

Una rivoluzione in corso

La moneta digitale sta attirando un crescente interesse da parte delle banche centrali. Analizziamo quali sono i motivi e le possibili criticità di questo fenomeno.

Premesse

La rivoluzione tecnologica insieme alla pandemia ha dato una forte accelerazione a progetti già in fase avanzata di sperimentazione. Uno di questi è sicuramente l’adozione da parte delle banche centrali di monete digitali, le cosiddette Central Bank Digital Currency (CBDC).
Possiamo pensare all’introduzione di una moneta digitale come un passo ulteriore verso la dematerializzazione della moneta. Un lungo viaggio che va dalle monete metalliche (in oro o argento), alle banconote con valore legale e all’uso della moneta elettronica (carte di debito e di credito), che fanno oramai parte della nostra quotidianità dagli anni Sessanta del XX secolo. Lo smartphone ha, infine, dato ulteriore impulso a questo processo, grazie alle app che consentono di pagare con moneta elettronica anche per piccoli importi e negli scambi diretti fra singoli utenti.
Il processo di dematerializzazione è così evidente che il legislatore (all’articolo 55 della legge n. 39 del 1° marzo 2022), recependo le direttive 2000/46/CE e 2000/28/CE, ha ritenuto opportuno dare una definizione di moneta elettronica: un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall'emittente.
Se la Banca di Svezia ha fatto da apripista con una discussione profonda sull’adozione di una CBDC, le altre Banche Centrali (BC) non sono state da meno e hanno prontamente aperto una discussione sulla necessità e sulle implicazioni di uno strumento così innovativo. E molte, come la BCE, hanno iniziato il processo di sperimentazione di monete digitali.

Le caratteristiche di una moneta digitale emessa da una Banca Centrale

La Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank for International Settlements, 2020, Central bank digital currencies: foundational principles and core features ) ha individuato tre principi fondamentali su cui una valuta digitale deve basarsi:

  • innanzitutto, non deve “interferire o limitare” (do no harm) gli obiettivi di stabilità finanziaria e monetaria delle BC;
  • inoltre, deve coesistere (coexistence) senza problemi con la moneta credito e con le attività delle banche commerciali;
  • infine, deve essere adottata nello spirito di maggiore innovazione e efficienza (innovation and efficiency) dell’intero sistema dei pagamenti.

Seguendo questi principi, vengono individuate le caratteristiche che le CBDC dovrebbero avere. La CBDC deve essere:

  • convertibile: il valore legale deve essere garantito dalla BC e non deve esser diverso da quello della moneta cartacea. In altre parole, la CBDC deve risultare una mera versione digitale della moneta corrente e ad essa del tutto equivalente, eliminando, in questo modo, ogni ragione per operazioni di arbitraggio fra le due tipologie di moneta;
  • conveniente: il suo utilizzo deve essere semplice, in linea con quello della moneta cartacea;
  • accettata e disponibile: la CBDC deve essere accessibile a residenti o cittadini esteri senza alcuna restrizione, e da questi riconosciuta. Deve essere inoltre disponibile nelle quantità richieste dal mercato;
  • con bassi costi di gestione: il costo della gestione tecnologica (anche in termini di energia utilizzata) non deve essere più elevato del costo della stampa della moneta cartacea;
  • sicura: le infrastrutture utilizzate devono essere a prova di hacker informatici per difendere sia la tenuta del sistema sia i dati dei singoli utenti;
  • resiliente: se la connessione non è operativa (ad esempio a causa di un black out), gli utenti devono poter utilizzare la valuta offline;
  • con una struttura legale solida: la BC deve possedere l’autorità per affrontare tutti gli aspetti legali e procedurali legati alla gestione di una valuta digitale;
  • adeguata agli standard internazionali: per poter essere utilizzata da tutti, le valute digitali devono rispettare degli standard internazionali, individuati in via multilaterale dalle diverse istituzioni preposte all’emissione delle CBDC nazionali.

Un aspetto rilevante, dal punto di vista tecnologico è se la valuta digitale debba essere simile a una carta di debito ricaricabile dal proprio conto (cosiddetto value-based approach) oppure se, per utilizzarla, debba essere aperto un conto presso la BC (registered-based approach). Nel primo caso, la perdita della carta comporterebbe solo la perdita della valuta presente al suo interno. Nel secondo caso, invece, dovrebbe essere la BC a gestire la registrazione di tutte le transazioni e a garantire da frodi. In questa seconda modalità, la BC dovrebbe anche farsi carico di strumenti informatici atti a garantire l’anonimato delle transazioni.

I motivi della scelta

C’è da chiedersi quali siano le motivazioni del crescente interesse per le CBDC.
Sicuramente una prima spinta è stata data, con ritmi diversi, dalla riduzione nell’uso dei contanti per effettuare le transazioni. Questo processo ha determinato un aumento sensibile nell’uso di sistemi di pagamento privati, non sottoposti al controllo diretto (e la garanzia conseguente) della BC. La riduzione delle banconote potrebbe portare alla riduzione di uno degli introiti più rilevanti delle BC: il signoraggio. Il termine deriva dal diritto che il “signore” aveva di battere moneta, e si riferisce al reddito percepito dalle BC quando cedono le banconote alle banche commerciali. Queste di solito prendono a prestito dalla BC oppure le cedono delle attività, su cui la BC percepisce rispettivamente interessi e rendimenti che rappresentano proprio il reddito di signoraggio che consente alle banche centrali di sostenere i loro costi operativi, versando gli eventuali utili nelle casse dei Tesori nazionali. Un beneficio, dunque, che in gran parte ritorna ai cittadini sotto forma di servizi pubblici. Naturalmente l’uso della moneta digitale privata riduce l’uso della moneta legale e, dunque, i redditi di signoraggio.

Una spinta molto forte all’introduzione delle CBDC è venuta anche dalla nascita delle criptovalute (il bitcoin, per intenderci) e più recentemente delle stable coin (Diem, già nota come Libra, il famoso progetto di Facebook). Queste monete sono state viste come concorrenti della moneta legale, ma hanno anche suggerito la “tecnologia” da utilizzare per la moneta digitale, ovvero la blockchain. Quando Satoshi Nakamoto ha lanciato il progetto Bitcoin, propose un sistema di pagamenti elettronico basato su relazioni dirette (peer to peer) fra i diversi utenti. Le transazioni, quindi, non hanno bisogno di una entità centrale (la BC) che le garantisca: è la stessa rete di utenti a riportarle e validarle all’interno di una sorta di registro elettronico. Questo registro presenta una struttura a “catena di blocchi”, è la blockchain per l’appunto, che racconta l’intera storia delle transazioni effettuate fin dalla prima in assoluto (la Genesis Block). Gli utenti che controllano le transazioni sono chiamati “minatori” perché, scavando per risolvere problemi di crittografia, ottengono della cripto-valuta come premio per la loro collaborazione.
Le BC, dunque, vogliono inserirsi in questo “mercato” per evitare di venire scavalcate e limitare le transazioni occulte effettuate con criptovaluta. E possono farlo a costi bassi, grazie alla presenza di una tecnologia consolidata, paradossalmente creata per monete nate con l’esplicito obiettivo di bypassare le istituzioni creditizie.

Un terzo motivo per cui le banche centrali desiderano sviluppare una moneta digitale è legato alla possibilità di ampliare gli strumenti di politica monetaria a propria disposizione. In un recente lavoro con Tiziana Assenza e Sebastiano Nerozzi (E se avessimo bisogno di @Euro? ), abbiamo sostenuto che l’introduzione delle CBDC potrebbe permettere alla Banca Centrale, in momenti di crisi, di creare direttamente nei conti dei cittadini moneta digitale (@Euro) per stimolare la domanda aggregata. In questo modo si renderebbe effettiva l’idea di Irving Fisher per affrontare la crisi del 1929, portata alla ribalta da Friedman con la felice immagine di helicopter money.
Anche l’eventuale tasso di interesse applicato dalle BC ai conti denominati in valuta digitale diventerebbe uno strumento di politica monetaria. Una riduzione o un rialzo dei tassi di interesse ricevuti dai cittadini sui loro stock di CBDC indurrebbe una maggiore o minore propensione alla spesa dei loro fondi liquidi, con effetti immediati sui consumi, la produzione e il livello dei prezzi. Occorre tuttavia notare che in tal modo la moneta digitale non sarebbe una semplice moneta: al contrario di quella cartacea, essa darebbe un interesse.
Un quarto ordine di motivi che giustifica l’interesse delle banche centrali per la CBDC, è che l’adozione di questo strumento annullerebbe l’anonimato delle transazioni e la loro tracciabilità permetterebbe di inibire le attività criminali e ridurre l’evasione fiscale. Certo, in questo modo, verrebbe meno una delle sfide più forti delle criptovalute: garantire l’anonimato delle transazioni. Queste, infatti, attraverso l’uso di chiavi crittografate, uniche per ogni transazione, rendono da una parte verificabile l’autenticità del mittente della criptovaluta e dall’altra garantiscono il destinatario di esser l’unico a poter ricevere la valuta. Il tutto utilizzando un algoritmo che converte le chiavi in un codice alfanumerico.

Le criticità nell’adozione di una CBDC

Già la Banca Centrale svedese (la Riskbank), la prima a dibattere sulla possibilità di avere una e-krona (si veda per un maggior approfondimento il testo Pensare la Macroeconomia, ed. Pearson) aveva sostenuto che una delle criticità è costituita dalla possibilità di rimanere senza contante. Le persone con minore dimestichezza con le tecnologie digitali (gli anziani ad esempio) potrebbero voler continuare a usare il contante. D’altra parte, la coesistenza delle due valute garantirebbe gli individui e il sistema intero da eventi o momenti in cui è impossibile accedere al conto digitale. È anche vero che la BCE ha espressamente dichiarato che non vorrebbe “l’estinzione” del contante.
La seconda criticità è più forte e riguarda la possibile concorrenza fra BC e banche commerciali. Dare a tutti i cittadini la possibilità di avere un conto presso la BC, li spingerebbe a diminuire i depositi presso le banche commerciali, soprattutto se il conto in CBDC fosse remunerato con un tasso d’interesse positivo. In questo modo le banche commerciali sarebbero disintermediate e perderebbero gran parte della propria clientela.
Un terzo elemento spinoso è dato dalla gestione dell’infrastruttura tecnologica, in termini sia di sicurezza informatica sia di utilizzo di energia. Per quanto riguarda questo aspetto, è bene ricordare che le criptovalute comportano alto consumo di energia nella fase di registrazione delle transazioni.
C’è, infine, da considerare la possibile resistenza all’uso della CBDC se non fosse garantito l’anonimato e tutte le transazioni fossero registrate e accessibili all’istituzione pubblica. Anche se, anche i nostri conti correnti sono regolarmente ispezionati dall’autorità giudiziaria.
Nella primavera-estate del 2021 la BCE ha attivato il progetto di euro digitale, aprendo da una parte una consultazione pubblica e dall’altra conducendo alcune sperimentazioni. L’obiettivo è quello di avere un’idea delle sfide tecnologiche che devono essere affrontate nell’adottare un euro digitale. Si parla in particolare della struttura che deve essere utilizzata per gestire i pagamenti al dettaglio effettuati in euro, degli accorgimenti (anche legali) per assicurare la tutela della privacy e di una valutazione sul consumo di energia necessario per utilizzare le infrastrutture elettroniche. Se la prima fase verrà superata e i dubbi e le criticità saranno sciolti in senso positivo, l’euro digitale vedrà una fase di sviluppo che dovrebbe richiedere altri tre anni. La rivoluzione digitale, dunque, è solo all’inizio…

Referenze iconografiche: Zapp2Photo/Shutterstock 

Giorgio Ricchiuti

Laureato in Economia politica, ha inoltre conseguito il Dottorato di Economia dello sviluppo. È professore associato presso il Dipartimento di Scienze per l'Economia e l'Impresa dell'Università di Firenze, dove tiene corsi di Economia internazionale, Macroeconomia ed Economia computazionale. È autore di diverse pubblicazioni, tra cui il corso di diritto ed economia nel biennio Costituzione al futuro, pubblicato da Paramond nel 2019.