Il fondamento per la promozione di una società pacifica

Il percorso culturale e giuridico verso l’obiettivo 16 dell’Agenda 2030

La crisi ucraina ha riportato al centro del dibattito politico e culturale il tema della pace e l’obiettivo della comunità internazionale di evitare il ricorso alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie tra stati.

In ogni tempo e in ogni luogo la guerra può essere considerata lo stato abituale e pressoché permanente della storia dell’umanità. Espressione del male radicale è da sempre ritenuta parte dell’ordine naturale, in antitesi con la condizione di pace.
Paradigma dell’esaltazione della guerra è il poema omerico Iliade1 in cui l’azione, incentrata sulle battaglie definite miserabili, lacrimose, dolorose, raccapriccianti, è inframezzata da pregevoli interludi sul valore della concordia, come la rappresentazione di una città in tempo di pace che abbellisce lo scudo forgiato da Efesto per Achille2. In questa città, caratterizzata dall’armonia che scandisce i ritmi dei “mortali”, vengono descritti un ricco matrimonio – emblema del benessere – e l’amministrazione della giustizia.
Pace, benessere e giustizia formano un unicum inscindibile che ha ispirato anche il mondo dell’arte.
Numerosi artisti nel corso dei secoli hanno rappresentato il binomio pace-benessere (nell’accezione di ricchezza) e giustizia, tra cui lo scultore greco Cefisodoto il Vecchio, che nel 370 a.C. ca. scolpì il gruppo bronzeo di Eirene3 e il piccolo Pluto. In quest’opera, l’umano gioco di sguardi che lega le due figure è emblematico della personificazione rispettivamente della pace e della ricchezza.
Secoli dopo i pittori Giovanni Battista Tiepolo (1696-1770) nell’Allegoria della Giustizia e della Pace ed Élisabeth Louise Vigée Le Brun (1755-1842) ne La Pace che riporta l’Abbondanza ripropongono l’idea di complementarietà tra pace, commercio e giustizia.
Nonostante la consapevolezza dell’importanza della promozione di una società pacifica, «lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni accanto agli altri, non è certo uno stato di natura, il quale è invece uno stato di guerra, nel senso che, sebbene non vi siano ostilità continuamente aperte, ve n’è tuttavia sempre la minaccia».
Con questo assunto il filosofo illuminista Immanuel Kant (1724-1804), accettando il presupposto hobbesiano homo homini lupus, evidenzia come la guerra sia il leit motiv della condizione umana.
Il pensiero kantiano, nell’opera Per la pace perpetua - Un progetto filosofico (1795), elabora le premesse che dovrebbero costruire una società pacifica, con l’obiettivo principale di rendere la pace un imperativo categorico. Questo testo filosofico pone le basi per la metamorfosi della natura umana da guerrafondaia a pacifista.
L’opera kantiana è un progetto di pacifismo giuridico, la cui mission è istituire la pace attraverso un’architettura giuridica.
Per Kant è indispensabile che la costituzione civile di ogni stato sia repubblicana. Partendo dal presupposto rousseauiano in virtù del quale la sovranità appartiene al popolo, delinea un sistema rappresentativo con un parlamento al centro della vita politica e organizzativa.
In altri termini, per il pensiero kantiano uno dei fondamenti della società pacifica è la diffusione della forma di stato democratica e della forma di governo repubblicana, unico assetto sociale idoneo a «tenere lontana la guerra distruttrice di ogni bene», poiché nel sistema rappresentativo non esiste una forza sociale privilegiata, come nello stato assoluto, la quale tende a scatenare la guerra per accrescere il proprio prestigio.
È invece possibile superare la situazione di belligeranza con la costituzione repubblicana in quanto i cittadini, partecipando al processo decisionale, concederanno difficilmente il proprio assenso alla guerra per il timore di subirne le nefaste conseguenze.
Ulteriore assunto di Kant consiste nel ritenere che la pace debba essere istituita con un contratto tra stati4, avente l’obiettivo di edificare una (con)federazione di popoli in cui si diffonda il diritto di ospitalità5, ovvero l’accettazione dello straniero.

Precedentemente anche il filosofo Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre (1658-1743) aveva teorizzato un Progetto per rendere la pace perpetua in Europa (1713), attraverso l’istituzione di un’assemblea sovranazionale europea, organizzata come un congresso composto dai rappresentanti dei singoli Stati, stabilmente insediato e deputato a risolvere giuridicamente le controversie internazionali, diretto quindi a garantire la pace, la sicurezza e la stabilità tra gli Stati membri.
Kant supera tale assunto specificando che gli stati membri della (con)federazione dovrebbero cedere a un organo di coordinamento il solo diritto di ricorrere alla guerra, tramite un accordo giuridico. Grazie a questo patto la pace verrebbe assicurata in quanto i popoli, che quando scatenano una guerra pretendono di avere una ragione giuridica giustificatrice, non sarebbero più in grado di trovare tali motivazioni.
Il pensiero kantiano ha ispirato la Società delle Nazioni istituita nel 1919, i cui tentativi fallimentari per impedire sia l’aggressione dell’Etiopia da parte dell’Italia sia lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ne decretarono l’estinzione nel 1945, a favore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, avente come scopo «salvare le future generazioni dal flagello della guerra», «praticare la tolleranza, vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, unire le forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale».
Già nel preambolo della Carta delle Nazioni Unite, istitutiva dell’Organizzazione, viene evidenziato l’obiettivo principale, ripetuto, tra gli altri, anche dall’articolo 1: «1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo scopo: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace […]; 2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli…».
La Carta rappresenta la trasposizione in ambito giuridico della consapevolezza degli statisti dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki della possibilità per il genere umano di avere un futuro solo in caso di assenza di conflitti mondiali.
L’organo dell’ONU preposto al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali è il Consiglio di Sicurezza6, la cui responsabilità principale è quella di accertare l’esistenza di una minaccia per la pace o di un atto di aggressione7.
Dopo aver acclarato la situazione, questo organo, utilizzando poteri di natura conciliativa, invita inizialmente le parti a risolvere la controversia con mezzi pacifici e diplomatici.
Il Consiglio di Sicurezza può utilizzare anche poteri coercitivi per cercare di porre fine alla diatriba. In virtù dell’articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite, l’organo può decidere quali misure coercitive (non implicanti l’uso della forza) adottare nei confronti della nazione che ha minacciato la pace come, a titolo esemplificativo, l’interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radiofoniche e la rottura delle relazioni diplomatiche.
Nel caso in cui tali misure si dimostrino inadeguate, al Consiglio sono attribuite ampie competenze circa la disposizione del potere dell’uso della forza al solo scopo di tutelare il fine primario dell’ONU, ossia il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
In particolare, l’articolo 42 della Carta delle Nazioni Unite è la disposizione normativa alla base del sistema di sicurezza collettivo. Esso attribuisce al Consiglio la possibilità di intraprendere ogni azione ritenuta necessaria, come l’utilizzo di forze internazionali per operazioni di peacekeeping, con l’obiettivo di mantenere la pace sul territorio, di peace-enforcing, con l’obiettivo di imporre con la forza condizioni di pace e di sicurezza, e di post-conflict building, con l’obiettivo di partecipare alle operazioni di ricostruzione in seguito al conflitto armato.
Il Consiglio di Sicurezza, per l’adempimento delle proprie funzioni, può anche istituire gli organi sussidiari che ritenga necessari8, come i tribunali penali.
Negli anni Novanta del XX secolo il Consiglio ha istituito due tribunali penali internazionali ad hoc, la cui giurisdizione era limitata nel tempo e nelle competenze. Detti tribunali erano deputati a giudicare gli individui responsabili dei più gravi crimini di rilevanza internazionale.
Con la Risoluzione n. 808 del 22 febbraio 1993 è stato istituito il Tribunale penale internazionale della ex Jugoslavia, con sede a L’Aia (Paesi Bassi), competente a giudicare i principali responsabili politici e militari di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale perpetrate nel territorio della ex Jugoslavia a partire dal 1991, in occasione del conflitto balcanico. Si trattava di gravi infrazioni alle Convenzioni di Ginevra9 del 1949, relative alla salvaguardia dei diritti umanitari in tempo di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, violazioni delle consuetudini e delle leggi di guerra.
Con la Risoluzione n. 955 dell’8 novembre 1994 il Consiglio di Sicurezza ha istituito il Tribunale penale internazionale del Rwanda, con sede ad Arusha (Tanzania), per giudicare le atrocità commesse10, tra il 7 aprile e il 15 luglio 1994, da parte della popolazione al potere, gli hutu, contro l’etnia tutsi.
I Tribunali penali internazionali della ex Jugoslavia e del Rwanda nascono dall’esperienza dei tribunali militari istituiti all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, ossia quelli di Norimberga (1945 per il processo principale; 1946-1949 per quelli secondari) e di Tokyo (1946-1948), competenti a deferire rispettivamente i capi nazisti e giapponesi per aver perpetrato crimini di guerra, crimini contro la pace e contro l’umanità.
I processi di Norimberga e di Tokyo hanno rappresentato una pietra miliare nell’affermazione di alcuni principi fondamentali di giustizia penale internazionale, tra cui l’ideologia in virtù della quale la guerra di aggressione viene concepita non più come un generico illecito internazionale, ma come un vero e proprio crimine, un attentato alla pace, del quale sono ritenuti penalmente responsabili i singoli individui.
L’esperienza dei quattro tribunali citati ha portato la comunità internazionale a istituire, nel 2002, la Corte penale internazionale, con sede permanente a L’Aia (Paesi Bassi), avente lo scopo di «esercitare il suo potere giurisdizionale sulle persone fisiche per i più gravi crimini di portata internazionale» (articolo 1 dello Statuto di Roma, adottato il 17 luglio 1998).
Con la costituzione della Corte viene quindi rafforzato il divieto al ricorso alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Tale divieto è stato maggiormente consolidato dagli emendamenti allo Statuto istitutivo, adottati nel 2010, incentrati su di un’esaustiva definizione di crimine di aggressione, attualmente inteso sia nell’accezione più ampia di conflitti internazionali, sia in quella di dissidi armati interni11.

L’istituzione di un’autorità giudiziaria neutrale, imparziale e permanente come la Corte penale internazionale trae origine dal pensiero normativista12 del giurista austriaco Hans Kelsen (1881-1973), secondo cui la pace internazionale sarebbe assicurata solo da una Corte13, libera da ogni condizionamento politico, la quale in caso di controversie, avrebbe giurisdizione obbligatoria nei confronti degli stati attraverso l’applicazione del diritto internazionale. In altri termini, la prospettiva kelseniana attribuisce un ruolo centrale alle funzioni giudiziarie rispetto a quelle normative ed esecutive.
Affinché gli stati limitino parte della propria sovranità a favore di organizzazioni sovranazionali che assicurino la pace tra le nazioni, è necessario che vengano fissati i relativi principi nelle carte costituzionali, trasformandoli in una sorta di indirizzo politico, cui i governi devono ispirarsi e attenersi.
In Italia questi principi sono sanciti dall’articolo 11 della Costituzione, in virtù del quale «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

All’indomani della Seconda Guerra Mondiale i padri costituenti ritennero indispensabile sancire il principio pacifista, in virtù del quale l’Italia rifiuta e condanna la guerra di aggressione, nonché il ricorso ai conflitti armati come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, in luogo degli strumenti diplomatici, idonei a consentire un dialogo continuo tra stati. È invece consentita la difesa armata da aggressioni esterne e/o interne.
L’idea di guerra come male non necessario ed evitabile trae origine dalle riflessioni del filosofo olandese Ugo Grozio (1583-1645). Nell’opera De iure belli ac pacis (1625) il giurista evidenzia come il conflitto armato, definito contrario al diritto naturale della vita e della libertà, dovrebbe essere vietato, soprattutto quello di aggressione. Grozio sviluppa le teorie del filosofo italiano Alberico Gentili (1552-1608), il quale nel trattato De iure belli (1598) delinea lo ius ad bellum, distinguendo tra guerra ingiusta (quella di aggressione) e giusta (quella di difesa, conforme al diritto naturale e non vietata).

Il disposto normativo dell’articolo 11 della Costituzione sancisce altresì l’apertura dell’Italia verso organizzazioni sovranazionali preordinate alla pace, alla sicurezza e alla collaborazione tra stati, quali l’ONU (di cui fa parte dal 1955) e l’Unione europea, il cui obiettivo è anche la promozione della pace tra gli stati membri (cfr. articolo 3, comma 1 del Trattato di Lisbona, adottato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, che testualmente recita: «L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli»).
Proprio da organizzazioni sovranazionali come l’ONU vengono consegnati alla comunità internazionale programmi di azione tesi a trovare soluzioni comuni alle grandi sfide dell’umanità, come, a titolo esemplificativo, la costruzione di società pacifiche.
In questo contesto si inserisce l’Agenda 2030 approvata il 25 settembre 2015 dall’Assemblea Generale dell’ONU e sottoscritta dai 193 Paesi membri. Questo documento contiene 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile14, suddivisi in 169 target.

L’obiettivo n. 16 è dedicato alla promozione di società pacifiche attraverso la riduzione di tutte le forme di violenza, la promozione dello stato di diritto sia a livello nazionale sia internazionale e la riduzione in modo significativo di flussi finanziari e di armi illeciti.
Con la crisi ucraina si sta assistendo ad una drastica deviazione dal raggiungimento di questo nobile obiettivo. Il conflitto nel cuore dell’Europa ha drammaticamente scosso le coscienze dei popoli del vecchio continente, riportando sotto i riflettori il dibattito relativo al tema della pace e degli strumenti alternativi alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

NOTE

  • 1Composto intorno al 730 a.C.
  • 2Cfr. Libro XVIII, vv. 490-508.
  • 3Termine greco per indicare il concetto di pace.
  • 4Per questo motivo, Immanuel Kant è considerato un filosofo contrattualista.
  • 5Fondamento filosofico dell’articolo 10 della Costituzione italiana.
  • 6Cfr. articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che ne prevede la creazione. In virtù dell’articolo 23 della Carta, il Consiglio è composto da 15 membri, di cui 5 permanenti (USA, Cina, Russia, Gran Bretagna e Francia) i quali hanno il potere di veto sulle decisioni del Consiglio.
  • 7Cfr. articolo 24 della Carta delle Nazioni Unite.
  • 8Cfr. articolo 29 della Carta delle Nazioni Unite.
  • 9Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i Protocolli Aggiuntivi del 1977 e del 2005, contenenti regole che tutelano coloro che non prendono parte al conflitto armato, sono trasposizioni delle riflessioni filosofiche di giuristi considerati padri del diritto internazionale, quali Alberico Gentili (1552-1608) e Ugo Grozio (1583-1645). Nelle loro opere, rispettivamente De iure belli (1598) e De iure belli ac pacis (1625) viene disciplinato lo ius in bello, deputato a regolamentare i comportamenti da tenere in guerra, come, ad esempio, il divieto di torturare o uccidere gratuitamente i soldati prigionieri che si sono arresi o massacrare o assediare i civili.
  • 10Il Tribunale penale internazionale del Rwanda riconosce un nuovo crimine contro l’umanità: lo stupro di massa. Oggi è concepito non più come un effetto collaterale della guerra, ma come un vero e proprio crimine autonomo.
  • 11La competenza della Corte penale internazionale è limitata ai seguenti crimini commessi da singoli individui e non da stati: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e di aggressione. La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli stati, può intervenire se e solo se lo stato che ha giurisdizione sul caso non ha la volontà o la capacità di perseguire i menzionati crimini tramite i propri tribunali. La Corte non è un organo dell’ONU.
  • 12Il normativismo è un’ideologia comune a molte correnti di pensiero giuridiche contemporanee, che considera il diritto come sinonimo di norma.
  • 13Cfr. La pace attraverso il diritto di Hans Kelsen, 1944.
  • 14Il Rapporto Brundtland del 1987 definisce lo sviluppo sostenibile come «uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

Referenze iconografiche: Little Adventures / Shutterstock

Donatella Cesarini

Avvocato del Foro di Piacenza e docente di scienze giuridico-economiche. È esperta sia di didattica tradizionale sia di potenziamento con utilizzo della metodologia CLIL. Al suo attivo ha varie pubblicazioni che trattano argomenti giuridico-economici attraverso un approccio CLIL e numerosi approfondimenti didattici pubblicati con Sanoma.