Il diritto al perseguimento della felicità

Tra costituzionalismo e solidarismo

Il perseguimento della felicità da parte degli esseri umani è presente nella riflessione filosofica fin dall’antichità e assurge al rango di diritto nel XVIII secolo; tuttavia, ancora oggi non è stato esplicitamente recepito negli ordinamenti giuridici di molti Paesi, fra cui l’Italia.

I fondamenti filosofico-giuridici del diritto al perseguimento della felicità

“Le buone leggi sono l’unico sostegno della felicità nazionale”1 questo noto assunto è emblematico del concetto illuminista di felicità ed evidenzia l’inscindibile binomio esistente tra felicità e riformismo giuridico.
La tematica della felicità è stata trattata in epoche ed aree culturali differenti, come la filosofia, la letteratura, l’arte2, il diritto.
Fin dal pensiero greco di Aristotele (384 o 383-322 a.C.) ed Epicuro (341-270 a.C.) il concetto di eudaimonia3 è concepito come soddisfazione individuale: ora come compimento di una vita pienamente vissuta4, ora come appagamento nella conoscenza, ovvero come anelito a una dimensione trascendente5.
In letteratura il concetto di stato eudemonico individuale è ripreso nell’opera dantesca, per svilupparsi nell’Umanesimo6  e in epoche successive7.
Con la corrente illuminista il discorso sulla felicità viene riproposto in un’ottica innovativa e, per certi versi, rivoluzionaria: l’eudaimonia diventa razionale e pubblica, in altri termini, diventa democratica.
Gli illuministi italiani definiscono la felicità “razionale” in quanto ritengono che possa essere goduta solo con e grazie agli altri, “pubblica”8 perché deve intendersi in termini collettivi e non come soddisfazione individuale. In tal modo, l’eudaimonia comincia ad essere associata alle condizioni istituzionali e strutturali che permettono ai cittadini di soddisfare - ovvero, in loro assenza o violazione, di non soddisfare - la felicità individuale.
Secondo lo scrittore e diplomatista Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), per gli intellettuali diventa imperativo apportare il proprio contributo nelle pratiche dell’arte del buon governo, coadiuvando i sovrani a sostituire l’interesse privato con la pubblica felicità9.
Sul versante giuridico-economico, la filosofia del solidarismo, inteso come forma di cooperazione diretta a porre in essere azioni umane-politiche-economiche fondate su valori morali di solidarietà sociale10, avrà in epoca recente sviluppi pratici, soprattutto economici.
Una maturazione di queste ideologie è fornita dal giurista napoletano Gaetano Filangieri (1753-1788), il quale ritiene che, per poter perseguire la felicità, tutti gli uomini debbano poter raggiungere i beni essenziali per l’appagamento dei propri bisogni. Filangieri configura il perseguimento dell’eudaimonia, scopo naturale dell’agire umano, tra i diritti fondamentali dell’uomo.

Compito principale dello Stato diventa quindi garantire la possibilità di perseguire la felicità a tutti i cittadini, attraverso il riformismo giuridico.
Gli intellettuali illuministi cominciano a chiedersi come dare concreta attuazione a queste teorie.
Pietro Verri (1728-1797) ne Le Meditazioni sulla felicità, pubblicate nel 1763, risponde che «la legislazione più perfetta di tutte è quella in cui i doveri e i diritti di ogni uomo siano chiari e sicuri e dove sia distribuita la felicità con la più uguale misura possibile su tutti i membri»11.
Nel linguaggio giuridico, questi scopi sono resi effettivi dal processo di positivizzazione attraverso la codificazione di diritti e doveri. Il vantaggio fondamentale di un documento “fisso e permanente” in cui siano elencati diritti e doveri consiste nel trasformarli in una sorta di indirizzo politico, cui i governi devono ispirarsi e attenersi.
A seguito della rivoluzione corsa, nel 1755 viene emanata la Costituzione Paolina, in cui per la prima volta il concetto di felicità diventa un principio politico codificato.
Nel XVIII secolo i politici rivoluzionari americani e francesi emanano dichiarazioni - documenti dotati di una portata giuridica inferiore rispetto a quella costituzionale - che celebrano, tra gli altri, il diritto al perseguimento della felicità.
Un’apparizione istituzionale del concetto di eudaimonia è rappresentata dalla Dichiarazione dei Diritti della Virginia redatta dal politico George Mason (1725-1792) e adottata dalla Quinta Convenzione costituzionale coloniale il 12 giugno 1776 a Williamsburg (Virginia).
Nel primo articolo, il perseguimento e l’ottenimento della felicità assurgono al rango di diritti innati, al pari della libertà, della proprietà e della vita. L’ideologia dei diritti innati, derivante dalla corrente filosofico-giuridica del giusnaturalismo, si fonda sul riconoscimento a ciascun individuo di diritti naturali, che discendono direttamente dalla natura razionale e sociale dell’uomo, non essendo concessi da autorità esterne.
La successiva Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, redatta da Thomas Jefferson (1743-1826) e approvata dal Congresso di Filadelfia il 4 luglio 1776, qualifica il perseguimento della felicità come diritto inalienabile. Il popolo avrebbe quindi il diritto di pretendere dal governo le misure in grado di assicurare a ogni cittadino la propria quota di benessere; in caso contrario i consociati avrebbero il diritto di sovvertire o modificare l’ordine precostituito. La Dichiarazione americana identifica quei valori politici tra cui la felicità, che i nuovi governi da quel momento dovranno perseguire.
Il 28 settembre 1776 viene adottata in Pennsylvania una Costituzione composta da un preambolo, una Dichiarazione dei diritti e una sezione relativa alla struttura di governo. All’articolo 1 la felicità viene qualificata come un diritto innato e inalienabile. Questo documento influenza il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo I (1747-1792), il quale verga un progetto costituzionale che testualmente recita «in una ben composta società tutti … (hanno, n.d.r.) un egual diritto alla felicità». Il diritto all’eudaimonia viene così canalizzato nella cultura giuridica tipica dell’assolutismo riformatore12, in cui prevale il concetto di paternalismo13.
Nell’ambito della tradizione statunitense il diritto alla felicità viene concepito con un’accezione negativa: ovvero il diritto di ogni cittadino a non subire ingerenze dallo Stato. Il significato del diritto al perseguimento dell’eudaimonia viene legato al concetto lockiano di proprietà: possedere è considerato la conditio sine qua non della felicità e acquisire proprietà è considerato il risultato dello sforzo di coloro che sanno cogliere le opportunità.
Di diverso avviso è la tradizione francese, secondo la quale il diritto alla felicità è sinonimo di responsabilità pubblica per tutte le classi. Detta ideologia solidarista porrà le basi del moderno Stato sociale.

Nel panorama francese è degna di nota la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino il cui testo proposto dal marchese de La Fayette, discusso innanzi all’Assemblea nazionale dal 20 al 26 agosto 1789, viene approvato il successivo 5 ottobre. Fortemente influenzata dalla Dichiarazione americana, quella francese afferma che il fine delle istituzioni pubbliche è rappresentato dalla “felicità di tutti”.
È lecito domandarsi se la Dichiarazione d’Oltralpe sancisca un principio di felicità formale o sostanziale e in che modo sia possibile predeterminare la funzione dello Stato per realizzare la “felicità di tutti”.
La risposta al primo quesito è riscontrabile nella Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina pubblicata nel settembre 1791 dalla drammaturga francese Olympe de Gouges (1748-1793), un testo che polemicamente ricalca la Dichiarazione dell’Uomo e del Cittadino del 1789, poiché rivendica il riconoscimento di tutti i diritti già concessi agli uomini, per i quali anche le donne hanno lottato.
Anche nel testo della de Gouges, lo scopo delle istituzioni è rappresentato dalla “felicità di tutti”, aspirazione a cui l’autrice dovrà ben presto rinunciare poiché ghigliottinata “per aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso” ed “essersi immischiata nelle cose della Repubblica”. Durante l’epoca rivoluzionaria le donne assistono a una negazione dei pochi diritti conquistati durante l’Ancien Régime: ciò è emblematico di quanto il concetto “felicità di tutti” espresso nella Dichiarazione del 1789 sia un principio solo formale.
Per rispondere al secondo quesito relativo ai compiti dello Stato, occorre comprendere il significato pragmatico di “felicità di tutti”, espresso nella Dichiarazione dell’Uomo e del Cittadino del 1789 e nel successivo Atto Costituzionale del 24 giugno 179314, ricorrendo al principio solidarista.
Per Claude-Adrien Hélvetius (1715-1771), affinché si realizzi il diritto di ciascuno alla felicità e allo sviluppo della personalità, è necessaria un’istruzione obbligatoria e gratuita.
Nell’opera di Gaetano Filangieri la felicità è legata al concetto di uguaglianza e al diritto al lavoro: «Quando ogni cittadino in uno stato può, con un lavoro discreto di sette o otto ore per giorno, comodamente, supplire a’ bisogni suoi e della sua famiglia, questo stato sarà il più felice della terra... In questo stato le ricchezze saranno ben distribuite; in questo stato finalmente non vi sarà l’eguaglianza delle facoltà, che è una chimera, ma l’eguaglianza della felicità in tutte le classi»15.

Il moderno processo di positivizzazione del diritto al perseguimento della felicità

Anche se il diritto al perseguimento alla felicità non è estraneo al linguaggio e ai principi costituzionali, esistono rari riferimenti giuridici successivi16 a quelli emanati durante il Secolo dei Lumi.
Uno dei motivi per cui, in epoche successive al Settecento, è stata negata la configurazione della felicità quale diritto costituzionale potrebbe essere identificato nell’indeterminatezza del suo contenuto.
Fino all’inizio del XX secolo è stata nettamente prevalente la concezione per cui lo Stato deve emanare norme regolanti i rapporti della vita sociale, stabilendone puntualmente diritti e obblighi. L’indeterminatezza del concetto di felicità è nettamente in contrasto con tale visione di giuridicità della norma, almeno fino alla Prima Guerra Mondiale, allorché vengono approvate costituzioni dotate anche di articoli a contenuto indeterminato. Tuttavia, anche successivamente, si continua ad omettere il principio di felicità dal diritto costituzionale.
Diventa indispensabile un secondo ordine di considerazioni riguardanti la natura eminentemente tecnico-giuridica del concetto di felicità.

I cultori di scienze giuridiche17 configurano l’eudaimonia come un interesse e non come un vero e proprio diritto, definendolo “pervasivo e trasversale” agli altri diritti costituzionali considerati nel loro complesso. La felicità opera quindi a favore di altri diritti, diventandone la ratio: l’eudaimonia si fonda sulla pretesa di ciascun consociato di poter conseguire un diritto costituzionalmente garantito (a titolo esemplificativo: libertà, uguaglianza, salute, istruzione, vita dignitosa) diretto a soddisfarla. Per questa natura trasversale, il diritto al perseguimento della felicità è stato a lungo omesso dalle carte costituzionali, essendo possibile riferirsi ad esso attraverso il ricorso al procedimento analogico.
Le espresse considerazioni di ordine meramente storico-motivazionale sembrano essere perdenti e recessive rispetto alle attuali posizioni tendenti alla positivizzazione del diritto alla felicità.
Le due Costituzioni francesi del 1946 e del 1958 riaffermano solennemente le libertà consacrate dalla Dichiarazione dei diritti del 1789. È pertanto giocoforza ritenere che la pretesa della felicità di cui alla Dichiarazione trovi nello stato d’Oltralpe un fondamento costituzionale attuale.
Il riconoscimento del diritto al perseguimento della felicità, quale obiettivo supremo del legislatore, è espresso dall’articolo 13 della Costituzione dell’Impero giapponese del 1946, che testualmente recita «Il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità, entro i limiti del benessere pubblico, costituiranno l’obiettivo supremo dei legislatori e degli altri organi responsabili del governo».
Fatta eccezione per i suddetti esempi, un primo sforzo comune verso l’internazionalizzazione del diritto alla felicità è offerto dalla risoluzione ONU A/RES/66/281, emanata il 28 giugno 2012 dall’Assemblea Generale la quale, riconoscendo la ricerca dell’eudaimonia “scopo fondamentale dell’umanità”, ha proclamato il 20 marzo Giornata Internazionale della Felicità.
In occasione di questa ricorrenza, l’ONU pubblica annualmente il World Happiness Report in cui, tra l’altro, sviluppa un focus su felicità e ambiente, inteso sia nell’accezione ecologica del termine sia in quella sociale, utilizzando parametri quali il welfare, l’aspettativa di vita, la libertà, la cooperazione. Non c’è dubbio che tali parametri richiedano la disponibilità di risorse sociali; viene quindi superata la filosofia dell’individualismo a favore della promozione di una cultura fondata sul solidarismo: l’obbligo di fornire prestazioni individuali per l’appagamento degli altrui bisogni e, conseguentemente, la felicità di tutti.
L’articolo 3 della Costituzione italiana accenna implicitamente al diritto all’eudaimonia, intesa come “pieno sviluppo della persona umana”.
Alla luce della giurisprudenza di legittimità18 che si è recentemente interrogata su questa tematica, alcuni deputati hanno presentato il 23 dicembre 2019 alla Camera una proposta di riforma costituzionale rubricata Modifica dell’articolo 3 della Costituzione in materia di riconoscimento del diritto alla felicità.
In particolare, l’iniziativa legislativa mira a inserire un nuovo inciso nell’attuale articolo 3 della Costituzione, che reciterebbe: «Tutti i cittadini hanno diritto di essere felici, hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno godimento del diritto alla felicità, lo sviluppo della persona umana…».
L’eventuale riconoscimento19 esplicito del diritto costituzionale al perseguimento della felicità renderebbe più pregnante l’obbligo dello Stato italiano, in positivo, di fornire le risorse che ne rendano agevole il conseguimento e, in negativo, di non imporre norme che ne possano precludere la realizzazione in assenza di una ragione giustificatrice.

NOTE

  • 1Dall’introduzione de La Scienza della Legislazione di Gaetano Filangieri (1753-1788).
  • 2Emblema della felicità è la corrente artistica del Rococò che comunica emozioni e sensazioni di tipo mondano: feste, balli, pranzi all’aperto, felici momenti di corteggiamento sono i frequenti soggetti dei dipinti di Jean-Antoine Watteau (1684-1721), Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), Giandomenico Tiepolo (1727-1804: cfr. gli affreschi raffiguranti pulcinella a Ca’ Rezzonico, Venezia), Francisco Goya (1746-1828: cfr. Ballo sulle rive del Manzanarre e Mosca Cieca).
  • 3Termine greco per felicità.
  • 4Epicuro, Lettera sulla Felicità.
  • 5Il concetto di felicità ultraterrena ha matrice medievale.
  • 6Cfr.: Canzona di Bacco, Lorenzo de’ Medici (1449-1492).
  • 7Cfr.: Zibaldone, Giacomo Leopardi (1798-1837); Eugenio Montale (1896-1981).
  • 8Concetto sia di Pietro Verri (1728-1797), che di Cesare Beccaria (1738-1794).
  • 9Della pubblica felicità, 1749, Ludovico Antonio Muratori.
  • 10Cfr. il pensiero degli economisti Heinrich Pesch (1854-1926) e Guido Menegazzi (1900-1987).
  • 11Il concetto di “massima felicità divisa nel maggior numero” è riscontrabile anche in Cesare Beccaria, cfr. Dei Delitti e delle Pene (1764), nelle teorie del filosofo scozzese Francis Hutcheson (1694-1745) e del giurista ed economista inglese Jeremy Bentham (1748-1832).
  • 12Il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo I fu un esempio di “sovrano illuminato” moderno e innovatore.
  • 13Secondo il (desueto) concetto di paternalismo, il governante ha il dovere di provvedere al benessere dei governati, tenendo “l’atteggiamento del padre benevolente verso i figli minori” cfr. N. Matteucci.
  • 14Cfr. art. 1- “Lo scopo della società è la felicità comune…(omissis)” Atto Costitutivo del 24 giugno 1793, mai entrato in vigore, comprendeva anche una Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Diversa dalla precedente di matrice girondina, in questa Dichiarazione squisitamente giacobina prevale un carattere decisamente antindividualistico: i diritti elencati appartengono alla società nel suo complesso, non più all’uomo.
  • 15Dal Capitolo XXXV, Cosa debba intendersi per distribuzione di ricchezze nazionali, Scienza della Legislazione.
  • 16Un esempio è riscontrabile nel preambolo dello Statuto Albertino promulgato dal Re Carlo Alberto di Savoia il 4 marzo 1848 nell’antico Regno di Sardegna e divenuto legge fondamentale dell’Italia unita dal 1861 al 1947. Il riferimento ad una “Nazione libera, forte e felice” tuttavia declassa l’eudaimonia a mera caratteristica dello Stato, ben lungi da quel concetto illuminista di principio politico cui il governo deve aspirare e attenersi.
  • 17Cfr.: Gladio Gemma, 2008, Esiste un diritto costituzionale alla felicità?, pagg. 519-531, in Annuario da Facultade de Dereito da Universitade – Vol. 12, da Coruna –ISSN.
  • 18Cfr.: Corte di Cassazione, Sez. II, n. 4570/2014; Corte di Cassazione, Sez. Unite, n. 25767/2015.
  • 19Le problematiche relative ai limiti di revisione costituzionale meriterebbero una trattazione dedicata.

Referenze iconografiche: asife / Shutterstock

Donatella Cesarini

Avvocato del Foro di Piacenza e docente di scienze giuridico-economiche. È esperta sia di didattica tradizionale sia di potenziamento con utilizzo della metodologia CLIL. Al suo attivo ha varie pubblicazioni che trattano argomenti giuridico-economici attraverso un approccio CLIL e numerosi approfondimenti didattici pubblicati con Sanoma.