Che cosa significa essere “Giusti”?
Nel 1943 Ettore Norsi trovò rifugio presso una famiglia di mezzadri toscani, i Giardini. Pur essendo persone modeste, erano perfettamente consapevoli dei rischi che correvano nel nascondere un ebreo, ma questo non interferì con la scelta di proteggerlo e di salvargli la vita. Oggi il loro nome è inciso nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme.
Le fotografie ritraggono Zelinda e Pietro Giardini.
Il contesto storico
Man mano che dall’autunno del 1943 le truppe alleate risalivano la penisola, i tedeschi approntavano delle linee difensive per ostacolarne l’avanzata verso la Pianura Padana. L’ultima fu la Linea Gotica che partiva dal versante tirrenico (provincia di Massa Carrara) per raggiungere quello adriatico (provincia di Pesaro e Urbino) su un fronte di oltre 300 km lungo gli Appennini.
Il piano alleato prevedeva di sferrare un attacco che piegasse il nemico prima che potesse riprendersi dalle sconfitte subite. Ma dopo la liberazione di Siena il 3 luglio 1944 da parte del Corpo di spedizione francese in Italia nella battaglia detta del Chianti, l’avanzata si fermò a nord della città per la resistenza delle truppe tedesche. Solo nell’aprile 1945 gli Alleati riuscirono a sfondare la Linea Gotica.
La storia della famiglia Giardini
Intervista a Marina Finzi Norsi a cura di Cecilia Cohen Hemsi Nizza
Quella che viene qui raccontata è la testimonianza di come un essere umano non debba essere necessariamente eccezionale per compiere un’azione “eccezionale”. Può essere una persona “normale”, che però al momento opportuno sa assumere le proprie responsabilità, rifiutare l’indifferenza.1 Accogliere un ebreo negli anni dell’occupazione nazifascista dell’Italia, dal settembre 1943 al 1 945, era un reato grave punibile con la carcerazione se non addirittura con la morte.
Ricostruisco la storia di Zelinda Rubbioli Giardini (1905-1967) e della sua famiglia con Marina Finzi Norsi, amica di vecchia data, che incontro a Gerusalemme2. Marina ha preso il testimone della memoria del marito, Ettore Norsi, scomparso nel luglio 2003.
Puoi ripercorrere la storia dall’inizio?
Ettore era nato a Genova nel 1926. Espulso dalle scuole pubbliche nel 1938 con l’entrata in vigore della legislazione antiebraica, aveva comunque conseguito da privatista nell’anno scolastico 1941/1942 il diploma di Scuola tecnica e commerciale3, andando poi a lavorare con lo zio.
Dopo l’armistizio, con l’inizio dell’occupazione nazista, la minaccia di deportazione per gli ebrei si fece concreta. Nonostante ci fosse la convinzione, purtroppo rivelatasi errata, che con lo sbarco degli Alleati in Italia la guerra sarebbe finita presto, occorreva trovare un nascondiglio sicuro. Grazie all’amico e collega del padre, Pilade Bastiani, Ettore, il padre e lo zio raggiunsero Boscarelli, in provincia di Siena, accolti da una famiglia di mezzadri, i Rubbioli. La madre con i genitori molto anziani tornarono a Castellazzo Bormida, in provincia di Alessandria, sistemandosi presso una famiglia di colleghi del marito.
Come arrivò Ettore dai Giardini?
La presenza di tre estranei, per lo più uomini, poteva suscitare dei sospetti. Inoltre era una famiglia molto numerosa. Rinaldo Rubbioli chiese alla figlia Zelinda se potevano tenere almeno Ettore. Pietro e Zelinda Giardini erano mezzadri di Nebbina4, in condivisione con la famiglia del fratello di Pietro, Adelmo; sposato con Eva, avevano tre figlie.
Ettore era disperato di doversi separare oltre che dalla madre ora anche dal padre. Era l’inverno del 1943 quando raggiunse la famiglia Giardini che, come scrisse nei suoi ricordi5 «diventò e lo è ancora, la mia seconda famiglia». Zelinda e Pietro avevano tre figli, Evelina, Raffaello, coetanei di Ettore, e Mauro, il più giovane, con i quali divenne subito amico.
A quali condizioni lo accolsero?
Nessuna. Ettore mi ha raccontato che anche dopo la guerra non vollero mai accettare alcuna forma di compenso. Pur essendo persone umili, modeste, erano perfettamente consapevoli dei rischi che correvano nel nascondere un ebreo, ma questo non interferì con la loro scelta. Per loro era una forma di resistenza civile contro un regime totalitario che non avevano mai appoggiato. Ettore fu accolto come uno di famiglia, una famiglia unita e serena. A riprova della loro grande sensibilità non gli diedero mai da mangiare carne di maiale. Evidentemente dovevano sapere che agli ebrei è vietato. Da figlio unico, borghese, cittadino autentico, divenne agricoltore lavorando nei campi, zappando, andando nei boschi a fare legna, occupandosi degli animali nella stalla.
Hai conosciuto Zelinda?
Purtroppo no, perché è morta nel 1967, ancora giovane, seguita da Pietro nel 1971. Ma è come se avessi conosciuto la zia Zelinda, come la chiamava Ettore. Una personalità dolce, ma volitiva e tenace. Maggiore di nove figli, Zelinda, alla morte della madre, si occupò dei fratelli e della casa. Sapeva fare di tutto, dalla cucina al cucito. Era pratica nel preparare composti medicinali a base di erbe per curare le ustioni. Quando incontrò Pietro, poiché il padre si opponeva al loro matrimonio, fuggì con lui. Pietro poi divenne il genero preferito!
Zelinda sistemò i ragazzi nella loro stanza matrimoniale perché, più grande, poteva contenere anche il lettino dove dormiva Ettore. Non solo ma, arrivato l’inverno, gli fece una maglia con la lana delle loro pecore e gli comprò anche dei pantaloni. Il rapporto con Zelinda era speciale. Ettore non dimenticò mai come lo curò dai foruncoli che avevano invaso il suo corpo, in particolare il piede sinistro, obbligandolo a camminare con un bastone. Dovette poi intervenire un medico, sfollato nelle vicinanze. Ettore non si chiese allora come e da chi fosse pagato. Era uno della famiglia e non si occupava di queste cose. Ma era uno dei tanti segni della loro generosità disinteressata che contribuì a cementare l’amicizia trasmettendone il senso anche ai nostri figli e nipoti.
Alla fine della guerra, quando le famiglie Giardini e Norsi si incontrarono a Genova, tra la mamma di Ettore e Zelinda nacque un rapporto speciale. A riprova dell’intimità creatasi fra Ioro, a Zelinda, che confessò di non saper né leggere né scrivere, la mamma di Ettore insegnò a fare la sua firma.
Come evitarono che i vicini facessero domande scomode?
Per non destare sospetti, Ettore andava con loro di domenica alla messa e ai vicini veniva presentato come un parente sfollato lì per sottrarsi ai bombardamenti.
Che ricordo aveva Ettore della guerra che si combatteva nelle vicinanze? Ci sono stati momenti di pericolo?
Avevano nascosto i suoi documenti e la catenina d’oro con la stella di Davide6 nel capanno degli attrezzi. Sulla strada di Nebbina, dove si trovava la casa isolata, era un continuo passaggio, di giorno come di notte, di colonne militari che con il loro fragore creavano non poco panico.
Per questo era stato scavato, in un adiacente fittissimo bosco, un rifugio nel tufo dove potersi nascondere nel caso di una incursione dei tedeschi e dei fascisti che cercavano gli imboscati. In genere però quando si presentavano si accontentavano delle ricche merende che i Giardini offrivano loro: pane, salame, formaggio di pecora, fiaschi di Chianti.
Una notte, mentre erano a letto, sentirono il rumore di una colonna di uomini in avvicinamento. Si lanciarono impauriti dalla finestra del primo piano sopra la stalla, raggiungendo il rifugio nel bosco. Scoprirono poi che si trattava di soldati italiani allo sbando7. In quel momento non conoscevano la situazione in cui si venne a trovare l’esercito italiano rimasto senza guida dopo la fuga del re e delle autorità militari al Sud.
Cosa successe dopo la liberazione di Siena?
Per Ettore fu la fine di un incubo, anche se dovevano passare ancora molti mesi per il ricongiungimento famigliare. Grande fu la gioia nel vedere le colonne alleate avanzare sulla strada in direzione di Siena. I Giardini, sempre Zelinda in primis, li accolsero con la solita generosità. Ma questa volta non per evitare pericolose perquisizioni, bensì per onorare i liberatori.
Ettore, trovato lavoro a Siena presso un garage del Governo militare alleato, lasciò Nebbina. Una notte Zelinda sognò che Ettore era malato. Senza esitare, percorse i chilometri che li separavano per andare a vedere come stava.
Finita la guerra, Ettore tornò a Nebbina portando in regalo quella radio che era stata loro sequestrata dal regime fascista. Da quel momento tra le due famiglie si instaurò un rapporto costante, fatto di viaggi da Israele per l’Italia e viceversa. Quando nel 1975 Ettore e io siamo andati da loro in viaggio di nozze purtroppo Zelinda e Pietro non c’erano più…
Il 12 agosto 2017 si è svolta allo Yad Vashem, il Memoriale ufficiale delle vittime della Shoah di Gerusalemme, la cerimonia di riconoscimento e di consegna della medaglia di Giusti tra le Nazioni a Adelmo e Eva Giardini e Pietro e Zelinda Giardini, alla quale abbiamo partecipato con grande commozione anche noi.
Mi vuoi spiegare come mai così tardi?
È stata una decisione di Ettore. Mi spiegò che il suo debito morale e materiale verso i Giardini non poteva esaurirsi con una medaglia. La sua riconoscenza si è dimostrata nel rapporto costante mantenuto nei decenni e al quale ha associato i nostri figli, Matan e Tamar, che ne hanno preso il testimone. Proprio per sancirlo, ho deciso di intraprendere le dovute azioni perché ai Giardini venisse riconosciuto il titolo di Giusti tra le Nazioni da Yad Vashem. E sono stati Matan e Francesca, nipote di Mauro, il figlio di Zelinda, rappresentanti rispettivamente la seconda e la quarta generazione, a tenere i discorsi nel corso della cerimonia commemorativa. Credo che Ettorino sarebbe stato contento di vedere realizzata così la sua volontà.
Ringrazio Marina Finzi Norsi sia per il racconto sia per le foto.
Note
- 1Sulla figura del Giusto nella tradizione ebraica cfr. Cecilia Nizza, Giusti tra le Nazioni. Storia di due famiglie, “Per la Storia Mail”, gennaio 2014.
- 2Marina si è trasferita da Milano in Israele alla fine degli anni Sessanta, dove ha completato gli studi di medicina. Nel 1975 ha sposato Ettore nella sinagoga di Casale Monferrato, costruita nel 1595, un gioiello dell’architettura barocca piemontese.
- 3Per approfondire l’argomento, cfr. Cecilia Nizza, 1938, Leggi antiebraiche. La storia attraverso i documenti
- 4Strada di Nebbina, frazione di Castelnuovo Berardenga situato a circa 20 km dal capoluogo Siena. Dal 1932 è parte della zona vinicola del Chianti.
- 5Marina ha raccolto in un volumetto i ricordi che Ettore aveva iniziato a mettere per iscritto solo nel 2001.
- 6La stella a sei punte, detta anche scudo di Davide, campeggia nella bandiera dello Stato di Israele.
- 7Chi non aderì alla Repubblica Sociale si unì alle formazioni partigiane che, nei nove mesi di combattimenti, raggiunsero un numero altissimo, lasciando sul terreno centinaia di vittime.
Il riconoscimento di “Giusto”
Dal 1962 opera in Israele una Commissione che ha l’incarico di conferire un’onorificenza a quanti, tra i non ebrei, agirono disinteressatamente, rischiando la propria vita e quella dei loro congiunti, per salvare la vita a uno o più ebrei durante la Shoah. Queste persone sono designate come “Giusti delle Nazioni” (in ebraico Chasside’ Umot Ha-Olam), espressione ripresa dalla letteratura talmudica.
La procedura per l’assegnazione del titolo richiede un’inchiesta e una ricerca meticolosa di testimonianze, autenticate da un notaio, che avvalorino l’atto di eroismo e il rischio corso dai “salvatori”. Chi ottiene questo riconoscimento viene insignito di una medaglia con il proprio nome, riceve un diploma d’onore e il privilegio di vedere il proprio nome inciso nel Giardino dei Giusti a Gerusalemme presso lo Yad Vashem, il Memoriale ufficiale delle vittime della Shoah.
L’espressione Yad Vashem significa letteralmente “un memoriale e un nome” ed è tratta dal libro del profeta Isaia (56,5), in cui il Signore dice «concederò nella mia casa e dentro le mie mura un memoriale e un nome… darò loro un nome eterno che non sia cancellato».