Stare bene con se stessi

Per inquadrare il tema

Non è possibile instaurare buoni ed equilibrati rapporti con gli altri se prima non stiamo bene con noi stessi. L’hostess di volo ci invita a indossare la maschera a ossigeno prima di fornirla a chiunque si trovi in pericolo insieme a noi. Ecco, allo stesso modo crediamo debba accadere a scuola. Non potremo essere di aiuto e supporto ai bambini che ci vengono affidati se prima non avremo trovato un equilibrio e un benessere personale.

Non è possibile instaurare buoni ed equilibrati rapporti con gli altri se prima non stiamo bene con noi stessi. L’hostess di volo ci invita a indossare la maschera a ossigeno prima di fornirla a chiunque si trovi in pericolo insieme a noi. Ecco, allo stesso modo crediamo debba accadere a scuola. Non potremo essere di aiuto e supporto ai bambini che ci vengono affidati se prima non avremo trovato un equilibrio e un benessere personale.

In che modo possiamo incentivare tale benessere, base di ogni relazione positiva? Vi sono alcune parole-chiave che possono fungere da “stelle fisse”, che ci possono guidare in un percorso non semplice, visto che la relazione con noi stessi ha radici profonde e lontane e spesso, socialmente, la stima di se stessi non solo non viene coltivata e incentivata, ma addirittura condannata come orgoglio o superbia.

L’autostima

Innanzitutto noi, come insegnanti e come persone, possediamo una buona autostima? Come possiamo, nel caso ci accorgessimo che questa è una delle caratteristiche poco sviluppate della nostra personalità, migliorarla? Forse, come in tante occasioni dell’insegnamento, anche in questo caso possiamo pensare di fare un percorso che sia di do-discenza (docenza e apprendimento insieme). È entusiasmante pensare che, nel percorso educativo verso un miglior clima in classe, possano avvenire cambiamenti utili e importanti per i bambini ma anche per noi stessi. In fondo, su questi temi, nessuno può veramente dire di “essere arrivato”. Si tratta di un processo che dura per tutta la vita. Fa parte sicuramente di quei percorsi di lifelong learning di cui si parla spesso, ma che, per ora, vengono raramente praticati nella concretezza del quotidiano. Si tratta anche di un nuovo modo di intendere il ruolo dell’insegnante che può spaventare, in quanto nuovo, ma che, una volta accettata la dimensione di pariteticità dialogica con i discenti e di confronto reciproco, può offrire grandi stimoli e preservare dal burn out. La responsabilità è condivisa: certo noi, in quanto educatori e insegnanti, abbiamo un ruolo definito e compiti ineludibili, ma ogni attore della relazione (colleghi, bambini, genitori, agenzie educative del territorio ecc.) ha una propria responsabilità di cui noi non possiamo farci carico. Pertanto, se è vero che sarà fondamentale fare del nostro meglio in ogni situazione, ci sarà anche altrettanto chiaro che non è in nostro potere, ad esempio, trasformare persone che non desiderano cambiare. La nostra autostima, se questo ci sarà chiaro, non verrà pertanto intaccata da quelli che potremmo, se li guardassimo con aspettative di onnipotenza, considerare fallimenti personali. Ma che cosa intendiamo per “autostima”? Che differenza c’è tra autostima e narcisismo? L’autostima è una buona considerazione di sé, ma si differenzia dal narcisismo in quanto la stima di sé si basa su un raffronto con la realtà e sul riconoscimento da parte degli altri delle nostre capacità. Quello che contraddistingue una sana autostima è pertanto la relazione con gli altri e il confronto con essi. Come nutrire l’autostima? Si tratta di un lavoro quotidiano di rinforzo positivo, ma anche, ricordiamolo, di offrire a noi e ai nostri bambini e ragazzi l’opportunità di fare esperienze e di misurarci con sfide piccole o grandi. Non c’è modo migliore per scoprire le nostre abilità che metterci alla prova, rammentandoci che “l’unico vero fallimento è il non aver tentato”. La capacità di accogliere l’errore e di considerarlo un’occasione di apprendimento, con un atteggiamento positivo di fiducia di fondo, è uno dei presupposti essenziali per apprendere anche dalle esperienze temporaneamente fallimentari. Thomas Edison, che tentò innumerevoli esperimenti prima di realizzare la lampadina, disse un giorno: “Ho solo provato diecimila modi che non hanno funzionato”. Poi gli bastò trovarne uno che funzionava per entrare nella storia…

Resilienti si diventa

Sviluppare l’autostima non vuol dire quindi nascondere gli aspetti negativi e le difficoltà che ognuno, in misura maggiore o minore, deve affrontare. Gli ostacoli vengono dai nostri limiti personali, ma anche da oggettive criticità esterne. La resilienza, cioè la capacità di resistere agli “urti” della vita e di trarre dalle esperienze dolorose nutrimento per rafforzarsi ed evolvere, è una delle caratteristiche della personalità che noi insegnanti ed educatori dovremmo attrezzarci per incentivare e sostenere sia nei bambini e ragazzi sia in noi stessi. In particolare, i bambini con problemi emotivo-relazionali hanno bisogno di imparare a elaborare meccanismi di “resilienza emotiva”, ovvero la capacità di gestire temporanee emozioni di impotenza, frustrazione o sconvolgimento senza esserne sopraffatti o viverle come un fallimento. La resilienza può essere esercitata e potenziata. Anche se ognuno di noi venendo al mondo è già in possesso di una “dotazione di base” in termini di resilienza, questa si consolida quanto più abbiamo figure di riferimento (genitori e figure educative) che sanno rappresentare una base sicura, che sanno trasmettere un approccio positivo alla vita e un’accettazione incondizionata a ciascuno nella sua identità. Ma oltre a questi importanti fattori di contesto, diventare psicologicamente più resilienti è possibile, attraverso un percorso di acquisizione di consapevolezza. L’individuo resiliente si conosce e si osserva con una prospettiva ampia, riuscendo perciò a guardare agli avvenimenti negativi come a eventi momentanei e circoscritti. Ha la capacità di cercare dentro e fuori di sé le risorse necessarie per un supporto nelle circostanze difficili. Sa leggere in chiave positiva i tratti del proprio carattere: “Sono tenace”, piuttosto che “sono testardo”, “so adattarmi alle situazioni” piuttosto che “sono arrendevole e compiacente” ecc. Sa chiedere aiuto senza timore di sminuirsi. Sa attivare una rete di relazioni che possono sostenerlo, a scuola e fuori. Pensiamo agli amici e compagni, ma non solo: in situazioni di difficoltà a volte, uno zio, un parente, lo psicologo della scuola, una guida spirituale, ma anche un negoziante amico, il genitore di un compagno, un cugino ecc. possono diventare tessere di un mosaico che rafforzano il sentimento di far parte di una comunità, magari sfrangiata o virtuale, ma dalla quale attingere forza e ispirazione per superare i momenti complicati. A scuola possiamo cercare di rendere evidenti questi legami, riflettendo con gli alunni non solo sulla famiglia (come tradizionalmente avviene), ma richiamando alla memoria affettiva nostra e degli allievi tutte quelle figure che, benevolenti, ci hanno aiutato in passato, ci sono di aiuto e sostegno oggi e magari potranno farlo ancora in futuro. Testimoni appassionati, incoraggianti compagni di viaggio, modelli di riferimento come: capitani di squadre sportive, catechisti, parenti lontani che hanno lasciato tracce di ispirazione per la loro professione, le loro passioni, i loro autentici credo (proposta operativa 2). La persona resiliente inoltre è molto motivata a raggiungere gli obiettivi che si pone e vede i cambiamenti come opportunità. Questa capacità, in una società “liquida”, in continua e fluida trasformazione, risulta di primaria importanza e cercare di attivarla in noi e nei nostri alunni è un compito ineludibile. Tanto più, la demotivazione e lo scoraggiamento si trasformano nei bambini, che non arrivano ad averne consapevolezza, in rabbia e agitazione e finiscono per impedire loro di rivolgere le proprie energie in una direzione positiva e di trasformazione e spesso si traducono in veri e propri blocchi relazionali, in situazioni che non producono alcun passo evolutivo. La persona resiliente infine manifesta tolleranza alla frustrazione, ha un sentimento di controllo degli eventi e un atteggiamento di speranza che la sorreggono anche nei momenti più difficili. Su tale atteggiamento possiamo lavorare a scuola, soprattutto con la nostra testimonianza, cioè proponendolo in prima persona con i nostri gesti e il nostro vivere e condividere con gli alunni la quotidianità.

Assertività

L’assertività è una caratteristica che consiste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni senza offendere né aggredire l’interlocutore. La persona assertiva riesce ad agire nel suo interesse, sostiene le sue opinioni e il suo punto di vista, senza ansie o paure esagerate, sa riconoscere ed esprimere i suoi sentimenti e sa difendere i suoi diritti, senza però ignorare quelli degli altri.

Se vogliamo lavorare su questo aspetto, dovremo dare la possibilità ai nostri alunni di avere ambiti in cui esprimersi liberamente con una certa continuità. Si tratta di un allenamento lungo e faticoso, soprattutto per quei bambini che non hanno udienza nel proprio ambito familiare. Se scarsamente stimolati a esprimere le proprie opinioni, o addirittura censurati quando lo fanno, saranno estremamente timidi e impacciati e, alla sola idea di dover esprimere un loro parere, svilupperanno un forte senso di ansia e di inadeguatezza. Per questi bambini sarà utile predisporre nei primi tempi degli strumenti per consentire loro di esprimere il loro parere con gesti invece che a parole (mi riferisco ad esempio a semplici maschere eseguite con il disegno di espressioni felici o tristi su piatti di carta). Quando sarà il momento di dire la loro, potranno semplicemente sollevare e “indossare” la loro mascherina autoprodotta (proposta operativa 7). La speranza è che, dopo mesi e anni in cui si sono sentiti ascoltati e considerati, possano incominciare a esprimersi, a raccontarsi e ad ascoltare con maggior serenità
anche le idee degli altri (proposta operativa 26).

Il corpo e i suoi diritti

Uno degli elementi meno efficaci nella comune routine dei bambini di oggi alla scuola primaria è la scarsa attenzione posta ai bisogni del corpo. Troppo spesso dimentichiamo che il movimento e l’azione corporea permettono lo sviluppo della conoscenza e della coscienza del proprio corpo, degli altri e dell’ambiente. Deprivare i bambini di questa dimensione ha effetti importanti sul benessere in classe. Movimento ed esperienze corporee concorrono infatti in modo rilevante alla strutturazione armonica della personalità. È pertanto fondamentale trovare, anche al di fuori delle ore deputate all’educazione motoria, momenti in cui il corpo sia protagonista. Momenti di rilassamento guidato o di contatto corporeo abbinato a esercizi di conoscenza reciproca (proposte operative “I diritti del corpo”, 11, 12) possono offrire ai bambini emotivamente più fragili, ma anche a tutti gli altri, l’occasione per ridestare l’attenzione, per distendersi, per ritrovare energia e rinnovata lucidità. In particolare, attività fluide legate a momenti di distensione e movimento, in cui adottare atteggiamenti accomodanti, fiduciosi, tolleranti, contribuiscono a creare un clima sereno in cui anche i bambini che presentano comportamenti oppositivi possono sentirsi più rilassati e più disposti ad ascoltare gli altri. Concedersi piccoli spazi di libertà non farà sentire i bambini e noi stessi in gabbia.

Referenze iconografiche:  MANDY GODBEHEAR/Shutterstock 

Rosita Folli

È formatrice e consulente didattica, lavora nelle scuole e con le amministrazioni locali a percorsi di educazione alla sostenibilità e progettazione partecipata. È inoltre counsellor psico-sociale, titolo conseguito presso il centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano. È oggi autrice e consulente per Sanoma Italia.