Giocando si impara
È davvero possibile usare il gioco come strumento didattico?
Accostare gioco e didattica è un’operazione che può generare ambiguità.
Il gioco è per sua definizione un’attività fondata sul piacere, sulla libertà e sull’assenza di un fine diverso dal gioco stesso.
L’oggetto specifico della didattica è lo studio della pratica d’insegnamento, quindi un progetto mirato, razionale, con finalità e obiettivi predefiniti e misurabili.
Mi chiedo: è dunque possibile imbrigliare il gioco in una proposta strutturata, eterodiretta, non scelta spontaneamente? E, per contro, può un’attività divertente e focalizzata sul processo più che sul prodotto contribuire al raggiungimento di specifici apprendimenti?
Non ho una risposta univoca e definitiva. L’esperienza, come padre, maestro e formatore mi porta a fare alcune riflessioni che vorrei condividere.
È a partire dall’Ottocento che la pedagogia moderna ha inteso il gioco come dispositivo al servizio della didattica: Froebel, Pestalozzi e Montessori sono i più noti tra gli autori che hanno validato il suo utilizzo tra le mura scolastiche.
Il ruolo importante che esso riveste nella vita di ogni cucciolo di essere umano (ma si può tranquillamente estendere ai mammiferi in generale e ad alcuni uccelli) è ormai cosa nota.
Le ultime ricerche in ambito delle neuroscienze ci dicono, inoltre, che se emozioni piacevoli e apprendimento coincidono quest’ultimo è più duraturo e significativo.
In un clima di gioia e passione, si impara di più e meglio; al contrario, in un ambiente dominato dalla paura e dalla rigidità, l’apprendimento viene inibito.
So per certo che, accostando divertimento e apprendimento, molte colleghe e colleghi vedranno comparire all’orizzonte un nuvolone carico di potenziali rischi. Immagino i loro dubbi e le domande che potrebbero emergere: ma se poi si divertono e basta? Non c’è il pericolo che prendano poco sul serio l’attività? E soprattutto: alla fine impareranno qualcosa?
Per rispondere alle loro perplessità prendo a prestito le parole di un celebre scrittore che è stato anche nostro collega e che ha fatto del gioco una propria cifra stilistica.
“Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?”
Ciò che Gianni Rodari ha saputo esprimere così bene in questa frase e, altrettanto meravigliosamente, ha fatto nei suoi libri lo possiamo constatare tutti i giorni se ci curiamo di osservare dei bambini e delle bambine intenti a giocare.
Durante l’attività ludica ogni essere umano ha modo di sperimentare quello che gli psicologi chiamano flusso. Esso è caratterizzato da coinvolgimento totale, concentrazione, sforzo teso al raggiungimento di un obiettivo, grande motivazione e senso di gratificazione.
Il flusso è uno stato che le persone vivono quando si trovano completamente coinvolte in un’esperienza tanto da arrivare a dimenticare la fatica, lo scorrere del tempo e qualsiasi cosa interferisca con l’attività su cui sono focalizzate. In tale stato di grazia un individuo attinge a tutte le proprie risorse e potenzialità. Non è forse quello che vorremo durante le nostre lezioni?
Creatività, capacità di risolvere problemi, spirito d’iniziativa e imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale sono solo alcune delle competenze che siamo chiamati a sviluppare e tutte si possono potenziare grazie ad attività ludiche.
Ma allora perché ancora oggi è così attuale l’affermazione di Bruner secondo cui “gran parte delle nostre scuole del mondo oggi sono luoghi convenzionali e noiosi e non incoraggiano molto il gioco produttivo”?
Riuscire a far combaciare (che bella parola!) gioco e apprendimento dovrebbe essere, secondo me, un obiettivo primario di ciascun educatore e, più in generale, di chiunque abbia a cuore il processo evolutivo di una persona.
Nel mio percorso professionale ho avuto la fortuna di lavorare in tanti contesti diversi, dalla scuola dell’infanzia alla casa di riposo.
Con ciascuna fascia d’età ho potuto sperimentare la bellezza e le tante potenzialità del gioco.
Giochi in scatola, enigmistica, giochi di movimento, giochi matematici, giochi di parole, giochi di ruolo, giochi teatrali, giochi di strategia… Il repertorio a cui possiamo attingere è davvero molto vasto.
A prescindere da cosa scegliamo, però, sarebbe utile considerare il gioco come parte integrante della nostra proposta didattica e non una semplice attività collaterale, da fare all’intervallo, in un momento di pausa, di disimpegno cognitivo, o in attesa che arrivi la collega dell’ora successiva. Dovremmo essere consapevoli del valore e delle risorse che possiamo mettere in campo attivando modalità ludiche.
Quando giochiamo siamo maggiormente disponibili ad ascoltare, i livelli di endorfine e serotonina (neurotrasmettitori responsabili del nostro benessere) crescono, i nostri sensi si acuiscono e i nostri due emisferi cerebrali lavorano all’unisono.
Credere nel valore del gioco vuol dire anche credere nell’apprendimento permanente. Vuol dire avere fiducia incondizionata nelle persone con cui abbiamo a che fare. Vuol dire credere nel potere del sorriso e della bellezza.
Voglio condividere con voi due giochi collaudati che ho sperimentato personalmente.
TABELLINA BOOM è un gioco che si può svolgere con tutte le classi della scuola primaria e della secondaria adeguando il grado di difficoltà a seconda del livello di abilità dei partecipanti.
Richiede pochi minuti per la sua esecuzione e non necessita di alcun materiale né di un setting particolare.
Lo svolgimento è molto semplice: si sceglie una tabellina e a turno un giocatore alla volta dice un numero. I numeri che appartengono alla numerazione scelta vanno sostituiti con un forte BOOM! Ad esempio, se scegliamo di giocare con la tabellina del 3 i giocatori diranno in ordine: 1 – 2 – BOOM! – 4 – 5 – BOOM! – 7 – 8 – BOOM! E così via.
È un gioco che può essere utile per un ripasso delle tabelline, per introdurne di nuove, per verificare il livello di conoscenza…
Come molti giochi si presta a molte varianti: è possibile scrivere i numeri alla lavagna se lavoriamo con bambini molto piccoli, possiamo farlo in una lingua straniera, mettere un timer, eliminare chi sbaglia, può essere proposto in forma competitiva o cooperativa e tante altre ancora.
Un altro gioco interessante che uso sia a scuola e sia durante i corsi di formazione rivolti agli adulti è SET. Si tratta di un gioco di logica che stimola la concentrazione e l’osservazione.
Secondo le indicazioni riportate sulla confezione si può giocare nella versione solitario o fino a 8 giocatori. Personalmente ho provato a giocare anche con più partecipanti divisi in gruppi da ¾ persone.
Si gioca con un mazzo composto da 81 carte.
Ogni carta è contraddistinta da 4 caratteristiche: forma (rombo, oblò o spagnoletta), colore (verde, rosso o viola), quantità (1, 2 o 3) e campitura (vuoto, pieno o rigato).
Un SET è un insieme di 3 carte che, per ciascuna delle 4 caratteristiche, hanno tutte e 3 lo stesso valore oppure tutte e 3 un valore diverso.
Tutti i partecipanti giocano contemporaneamente. Chi riesce per primo a individuare un SET tra le carte in tavola?
Chi ha scoperto un SET prende le carte come premio.
Vince chi alla fine della partita ha raccolto il maggior numero di SET o di carte.
Anche se all’apparenza può sembrare ostico e insulso si rivela fin dalla prima partita uno di qui giochi che sono più facili da fare che da spiegare.
Non richiedendo particolari prerequisiti linguistici o matematici si presta ad essere utilizzato a partire dai 5/6 anni ed è molto più divertente di una scheda per introdurre o verificare la discriminazione di colore, forma e quantità oltre che per esercitare le capacità logiche.
Con la speranza di avervi incuriosite e incuriositi auguro a tutte/i noi un anno scolastico all’insegna del gioco e della gioia di imparare.
Referenze iconografiche: Dmytro Zinkevych/Shutterstock