Per una scuola orizzontale

In questo articolo Gherardo Colombo individua le ricadute che un tipo di società verticale avrebbe anche sul sistema scolastico. Attraverso l'analisi di alcuni articoli simbolo della nostra Costituzione, l'autore propone alcuni cambiamenti culturali necessari all'avvento di una Scuola e di una Comunità davvero orizzontali.

Credo sia indubitabile che la società, la comunità si possano organizzare secondo modelli compresi in una gamma ai cui estremi si trovano una struttura verticale e una struttura orizzontale.

Società verticale e società orizzontale

La società verticale ha come riferimento estremo, come principio informatore, il “valore” della discriminazione: la società verticale è gerarchica, fa differenze tra le persone, attribuisce i diritti al vertice e impone tendenzialmente i doveri alla base, è escludente, perché è fondata sul presupposto che discriminare sia giusto. Quel che spetta a me non spetta a te, quel che devi tu non devo io e viceversa. Il modello verticale ha caratterizzato le società che via via si sono alternate nella nostra storia, seppur con intensità diverse a seconda delle epoche e dei luoghi.

L’istruzione e l’educazione nella società verticale tendono alla selezione e all’esclusione di chi non sta al passo, impongono obbedienza, sia tramite la punizione sia tramite il premio. L’obbedienza è necessaria per evitare che chi si trova ai piani bassi della piramide, con pochi diritti e molti doveri, non accetti la sua collocazione e metta in discussione, anche pesantemente, l’ordine sociale. L’obbedienza non esige spiegazione, richiede che, a chi è chiamato a obbedire, non siano forniti gli strumenti perché possa compiere scelte autonome: obbedire è non scegliere, ma attuare scelte altrui. Chi si trova ai vertici della società, in altre parole chi è “degno”, sceglie per tutti. È così per quel che riguarda la società nel suo complesso, ed è così per quel che riguarda le piccole comunità di cui la società è formata: nella famiglia, nel lavoro, nella religione, nel tempo libero e così via. Tante piccole piramidi nelle quali chi è al vertice comanda, chi è alla base ubbidisce.

La società orizzontale parte dal principio opposto, quello della pari dignità di tutte le persone. La discriminazione è bandita, perché non è un valore ma è un disvalore. Ciascuno, nell’ambito della comunità, è importante come ciascuno degli altri, e quindi a ciascuno spettano possibilità e oneri, diritti e doveri quanto spettano a ciascuno degli altri. La società orizzontale è includente e paritaria, perché è fondata sul presupposto che discriminare sia ingiusto.

L’istruzione e l’educazione hanno il compito, nella società orizzontale, di realizzare il presupposto, fare sì che ogni componente della società sia culturalmente attrezzato per realizzarsi tanto quanto gli altri. Guardando da una prospettiva solo apparentemente diversa, la scuola ha il compito di far sì che la dignità formale diventi dignità sostanziale, che ciascuno dei partecipi alla società diventi capace di essere libero, di saper discernere, di non avere bisogno di una mamma che si sostituisca a lui nella scelta, sia nella vita privata sia in quella pubblica (credo che a volte sfugga, ma la democrazia, governo di tutti, può funzionare compiutamente solo se i cittadini sono capaci di scegliere).

Scuola verticale e scuola orizzontale

Coloro che, a cominciare dal 1946, hanno scritto la nostra legge fondamentale, la Costituzione, hanno deciso di organizzare il nostro stare insieme secondo il modello orizzontale, seppur con qualche incongruenza e sbavatura.

Il principio, la pietra miliare sta nell’articolo 3 della Costituzione, che afferma che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Conseguenze immediate sono che «L’Italia è una Repubblica democratica», che «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione » (articolo 1), che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» e «richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà» (articolo 2), conseguenze necessarie legate al principio della pari dignità universale dal rapporto eziologico che esiste tra il fine e i mezzi per raggiungerlo. Così come per gli altri settori della vita sociale, la Costituzione si occupa anche dell’istruzione e dell’educazione, dedicando specificamente due articoli alla scuola (articoli 33 e 34) e riferendosi comunque al tema anche in altre disposizioni.

Così è stabilito dall’articolo 13 (dedicato alla libertà personale): «È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». E l’articolo 30 afferma che «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti».

Dopo avere affermato all’articolo 33 che «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», la Repubblica detta norme generali sull’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi; stabilisce all’articolo 34 che:

La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Come si può constatare, il principio della pari dignità universale è applicato all’istruzione e all’educazione con una interpretazione piuttosto restrittiva: pur essendo la scuola aperta a tutti, pur essendo obbligatoria l’istruzione inferiore, per almeno otto anni (attualmente l’obbligo scolastico dura fino ai 16 anni, e si estende quindi per dieci anni), tuttavia il diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi è riservato ai capaci e meritevoli, quando siano privi di mezzi. Evidentemente i costituenti hanno ritenuto fossero sufficienti otto anni di scuola dell’obbligo perché si garantisse la pari dignità universale di tutti i frequentatori della scuola, anche riguardo alla costruzione del loro futuro (la possibilità di realizzarsi effettivamente), e perché potesse funzionare la democrazia.

Se questo è vero, alla scuola è richiesto un impegno eccezionale: ha il compito di far sì che gli studenti “diventino” cittadini (in altre parole, diventino capaci di gestire la loro libertà, siano educati a vivere il loro oggi e il loro domani) entro il compimento del sedicesimo anno di età (in pratica entro il diciannovesimo anno, che corrisponde all’età in cui si affronta generalmente l’Esame di Stato, tenuto conto del fatto che spesso i ragazzi che iniziano le secondarie di secondo grado arrivano fino agli esami finali). Perché ciò avvenga sono necessarie modifiche radicali. Evidenzio di seguito, sinteticamente, quelle che a mio parere sono le più rilevanti.

La prima modifica è culturale:

  • occorre abbandonare il principio di autorità (l’ipse dixit, di cui è permeata gran parte della didattica) a favore dei percorsi dimostrativi, quelli attraverso i quali si dimostra la validità delle proprie affermazioni, anche attraverso il ricorso al supporto del rapporto eziologico;
  • occorre abbandonare il metodo dell’esclusione per passare a quello dell’inclusione;
  • occorre abbandonare il metodo dell’esclusione per passare a quello dell’inclusione;
  • occorre abbandonare la lezione frontale e impostare le relazioni didattiche attraverso il dialogo;
  •  occorre che non sia abbandonato chi fa fatica;
  • occorre superare la valutazione basata sul voto (che costituisce un attestato di conformità) per introdurre un percorso personalizzato che consenta al docente di comprendere come accompagnare lo studente all’apprendimento e di individuare il campo, il settore, la disciplina che più gli si confaccia e in cui meglio esprima le sue qualità (ai miei tempi si diceva per esempio che Tizio era portato per la musica, piuttosto che per la matematica e così via: l’inclinazione dovrebbe essere individuata e coltivata perché la persona possa realizzarsi in ciò che più le è consono e più la soddisfa; la società guadagna in armonia se coloro che la compongono svolgono attività che li gratificano).

Alla modifica culturale segue una serie di cambiamenti che, schematicamente, attengono all’organizzazione del tempo (l’orario delle “lezioni”, i periodi dedicati alla loro preparazione, i lavori degli studenti in autonomia), dei contenuti (il curricolo), della cooperazione tra i docenti e della sincronia tra le varie discipline (in modo che i discenti apprendano la cultura delle epoche e delle comunità che ora viene parcellizzata), del metodo (dalla lezione frontale al dialogo o dall’asserzione alla domanda), dell’architettura (la coerenza tra il luogo dell’educazione, il metodo e i contenuti), del numero dei partecipanti (contenuto al punto che tutti partecipino davvero), della valutazione (si è accennato a quale rivolgimento sia necessario sull’argomento), dei supporti, materiali e non, per docente e discente. Il rivolgimento culturale porta con sé anche interventi incisivi in ordine alla definizione dell’autonomia di insegnamento e alla formazione del personale docente.

Modificare una cultura così radicata costituisce una rivoluzione copernicana, che ovviamente non può essere realizzata dall’oggi al domani. Poiché ciascuno di noi risente di millenni di cultura verticale, poiché dall’immemorabile la discriminazione è stata il punto di riferimento ultimo a partire dal quale si sono instaurate le relazioni sociali, con differenze anche notevoli nel corso della storia, mantenendo comunque ferma l’idea che insieme si stanno distribuendo in modo disuguale carichi e possibilità, per arrivare a una scuola orizzontale sono necessari tempi non brevi che consentano progressivi mutamenti quasi impercettibili nell’immediato, ma che risulteranno evidenti nel tempo e consentiranno di avvicinarsi progressivamente a una scuola orizzontale umanamente praticabile (siamo essere umani, e come tali imperfetti...).

Come iniziare? Suggerirei di farlo con se stessi. Il primo passo, a mio parere, consiste nel verificare la propria disponibilità a rapportarsi orizzontalmente con gli altri. Occorre cioè trovare il perché, la propria motivazione personale, da cui sorga il desiderio di riconoscere la dignità dell’altro pari alla propria. Occorre fare molta attenzione in questa verifica iniziale. Esiste un ostacolo potente, che coinvolge molti di noi che condividiamo l’orizzontalità: la presunzione di comportarsi già in modo perfettamente orizzontale. La scuola non ci ha educato all’orizzontalità, né ci educa la società. Anzi, tanti sono gli input, le proposte, gli inviti nascosti a essere verticali. Per verificarlo credo basti osservare quanto siano ancora marcate la discriminazione di genere, quella religiosa, quella etnica nella vita di tutti i giorni.

Il secondo passo consiste nell’incominciare a comportarsi orizzontalmente, testimoniando che si può fare. Testimoniarlo, appunto, con quello che si fa. Non credo sia necessario rinunciare a qualche cosa per riconoscere l’altro (ammettere che l’altro è degno quanto noi), ma piuttosto rimodellarsi. Quando i propri punti di riferimento sono stati modificati, la modifica del proprio comportamento non è vissuta come rinuncia ma come coerenza, come far discendere dal principio ispiratore le conseguenze necessarie e ineludibili.

Faccio tre esempi su altrettanti aspetti che possono sembrare marginali: ritenere che i ragazzi abbiano la stessa dignità del professore comporta che li si consideri titolari delle stesse possibilità di cui usufruisce il secondo e che si consideri quest’ultimo destinatario degli stessi carichi dei primi, quanto al rispetto dell’orario delle lezioni, alla possibilità di posteggiare il proprio mezzo all’interno del recinto scolastico, al diritto di avere a disposizione servizi igienici decenti. Altri esempi potrebbero essere fatti riguardo alcuni profili rilevanti della didattica, come la reciproca disponibilità all’ascolto.

Il terzo passo consiste nel coinvolgimento di coloro che ci stanno intorno, nel sollecitare la loro partecipazione (attraverso un comportamento in linea con il riconoscimento dell’altrui dignità), si tratti degli studenti, dei colleghi, del personale amministrativo, del dirigente, dei genitori e di chi d’altro interagisce con la scuola.

 

Tratto da Per una scuola orizzontale di Fabio Caon e Annalisa Brichese con Associazione Sulleregole (Sanoma, 2022).

Referenze iconografiche: © PeopleImages.com - Yuri A/Shutterstock

Gherardo Colombo

è stato magistrato dal 1978 al 2007, ha svolto funzioni di giudice istruttore, di pubblico ministero e di Consigliere presso la Corte di Cassazione. Si è occupato fra l’altro dell’inchiesta sulla Loggia P2 e dell’operazione Mani Pulite. Dall’inizio del 2007 si è dimesso dalla Magistratura per dedicarsi a tempo pieno all’educazione alla legalità nelle scuole. Giurista e saggista, è autore di numerosi testi specialistici e saggi divulgativi su temi fondamentali della legalità, della giustizia, della democrazia.