Scrivere di sé in adolescenza: dal diario alle stories
Articolo tratto dall'Introduzione del volume Scrivere di sé con gli albi illustrati

Una breve analisi – tratta dal volume Scrivere di sé – di quanto la scrittura in adolescenza possa essere un’esigenza e di come possa diventare un’opportunità trasformativa e di cura di sé. In particolare la scrittura autobiografica può essere un’attività che aiuta studenti e studentesse a conoscere, elaborare e condividere la propria storia e quella altrui.
L’adolescenza è un periodo della vita dell’essere umano contrassegnato da profondi cambiamenti a livello cognitivo, fisico-corporeo, emotivo e relazionale. Periodo di transizione tra l’infanzia e l’età adulta, si caratterizza per l’assunzione di importanti compiti evolutivi quali la separazione e l’emancipazione dai contesti familiari e l’individuazione ai fini della formazione della personale identità. Chi sono io? è la domanda intorno alla quale ruota il bisogno delle e degli adolescenti di «esprimersi, di esibire qualcosa di sé, di mostrarsi, di comunicare la propria ricerca di identità» (Biffi, 2010), attraverso le modalità ritenute affini al modo di percepirsi: dall’abbigliamento ai tatuaggi e ai piercing, dallo sport alla scuola, alla musica ai murales, finanche alla scrittura.
Nel corso del tempo sono state innumerevoli le forme di scrittura cui si è fatto ricorso per dare senso all’esistenza e conquistare una propria identità, come le lettere, le poesie, le confessioni, i memoir, il diario. Quest’ultimo, nell’attuale evoluzione in scrittura di note o post fino alla creazione di stories o video, assolve a diverse funzioni, tra le quali il riconoscimento individuale, la ricerca personale, la conservazione delle proprie memorie, arrivando a divenire il contenitore degli aspetti più autentici di sé.
Con la diffusione delle nuove tecnologie, proprio tra le ragazze e i ragazzi la scrittura ha conosciuto una nuova importante diffusione. Nelle pagine social e tramite messaggistica si scrive tanto di sé e per sé, sebbene spesso in maniera scorretta e approssimativa. Come però afferma Demetrio (2011):
tali modalità discorsive e narrative obbediscono per lo più a necessità momentanee di contatto, scambio, vicinanza e amicizia in prossimità o a distanza, ma screditarle sarebbe tuttavia quanto mai sbagliato. Equivarrebbe infatti a irridere le folle di giovani che, usciti dalla scuola, nella loro stanza, scrivono a profusione.
Scrivere, come già in precedenza evidenziato, assolve a un compito autoregolativo e agisce sui processi volti alla costruzione di strutture interne di rafforzamento. Le scritture attraverso l’uso del cellulare o attraverso i canali social possono pertanto essere interpretate come un tentativo di simbolizzazione e condivisione, nonché come possibilità di costruzione della propria identità.
Si parla in questo senso di ragazze e ragazzi che vanno alla ricerca intenzionale di un linguaggio personale, inteso come manifestazione di un’immagine mentale di sé atta a sostenere il processo identificativo, rispondendo al contempo al bisogno di autorealizzazione. Ragazze e ragazzi che sono in relazione con sé, con l’altro e con il mondo circostante e che, come «adolescenti digitali», sperimentano «l’appropriazione di un orizzonte di pensiero che probabilmente risponde ai loro bisogni di socializzazione, di gioco, di trasgressione» (Biffi, 2010).
La scrittura in ambito scolastico come opportunità per chi è in difficoltà
Quale funzione può assolvere la scrittura in ambito scolastico per le studentesse e gli studenti che vivono invece la propria adolescenza con difficoltà? Una recente ricerca promossa dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (AGIA, 2024), in seguito a una consultazione pubblica sulla piattaforma online tra circa 7.500 studenti italiani della Scuola secondaria, ha evidenziato come il 51,4% dei giovani affermi di soffrire in modo ricorrente di stati d’ansia o tristezza prolungati, accentuati (o leniti) da un uso frequente di internet e dello smartphone. Tali risultati confermerebbero quanto evidenziato in passato dalla sociologa americana Twenge (2018), che ha analizzato i dati di ricerche riguardanti adolescenti statunitensi cresciuti senza tecnologie, saldamente ancorati a un mondo reale, e le nuove generazioni, abitanti della vita reale e di quella virtuale. Dall’analisi emerge come le e gli adolescenti attuali risultino più tristi e isolati, più a rischio dei loro coetanei nati anni prima, privi delle competenze relazionali e pro-sociali. La conversazione faccia a faccia in contesti concreti e l’attitudine alla narrazione, che ricopre un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo e interpersonale dell’individuo, risulterebbero sempre più carenti e compromesse, con conseguenze come la mancata cura di sé, comportamenti a rischio in rete (agiti o subiti) e un incremento della solitudine. Come scrive Dallari (2011):
Il vissuto di cura, elaborato grazie alle pratiche di narrazione, è capace di favorire conquiste di autonomia e di cura di sé, intesa anche come capacità di incrementare autonomamente le proprie competenze narrative, il proprio patrimonio di conoscenza, la propria coscienza autobiografica intesa come capacità di pensare sé stessi e la propria vita in forma di racconto. […] In assenza della dotazione culturale della competenza narrativa è difficile che le persone riescano a rappresentare sé stesse al di fuori degli stereotipi del possesso, dell’apparenza, della riconoscibilità circoscritta al presente.
Ed è proprio il bisogno di apparire, in una dimensione di ricerca di popolarità connessa a richieste di approvazione e a conferme esterne, ad allontanare le ragazze e i ragazzi da sé stessi impedendo il riconoscimento dei loro intrinseci, legittimi bisogni e desideri, simili o sovrapponibili a quelli del gruppo dei pari. «La via di fuga da sé» (Biffi, 2010), nella consegna all’altro del riconoscimento del valore della propria identità, può avere conseguenze negative a livello sia corporeo che mentale, con una conseguente passiva accettazione della realtà o addirittura con un estraniamento dalla medesima (Lancini et al., 2020).
Un laboratorio di scrittura a scuola può invece divenire occasione per l’apprendimento dell’uso della stessa come strumento che ha ricadute sull’agire e sul sentire, per attivare strategie di coping, per incrementare la relazione con il sé, con i coetanei e con il mondo. Un’opportunità per riconoscere i desideri e i limiti propri e altrui, in una dimensione protetta e contenuta di rischio. Il primo rischio con cui le ragazze e i ragazzi fanno i conti è l’accettazione delle parti di sé non gradevoli, non facili da accogliere, complesse da elaborare o delle quali si teme il giudizio esterno. In un contesto protetto come quello scolastico, grazie alla presenza di adulti che sappiano accompagnare le studentesse e gli studenti ad affrontare le loro paure e il loro senso di smarrimento, si può tendere a un’azione di comprensione e accettazione del sé, visto che «riuscire a raccontare e comunicare le proprie emozioni mette al riparo dalla solitudine profonda, da forme alienate o deviate di espressione delle stesse o da una sorta di autismo emozionale (alessitimia)» (Batini, 2008). Inoltre, come ricorda Smorti (2007), ogni individuo ha bisogno di creare storie coerenti e sensate, dal momento che esse «danno un’organizzazione alle apparenti innumerevoli sfaccettature degli eventi che ci turbano e, una volta organizzati, gli eventi sono spesso più piccoli e più facili da affrontare».
La riorganizzazione e la ristrutturazione dei processi cognitivi e relazionali, compiti primari del metodo autobiografico, possono trovare ampia eco attraverso il ricorso all’immaginazione, fattore protettivo, insieme alla creatività, di eventuali situazioni di disagio. Per Taylor (2013):
l’immaginazione è la capacità di trascendere mentalmente il tempo, il luogo e/o le circostanze per pensare a ciò che potrebbe essere stato, pianificare e anticipare il futuro, creare mondi immaginari e considerare alternative remote e/o vicine alle esperienze reali.
L’adolescente che ricorre all’immaginazione e attua un processo creativo si concentra sul qui e ora, sul significato di quello che vive e sperimenta, sulle possibilità di pensare e di pensarsi in prospettiva. Perché, come afferma Winnicot (2001),
per essere creativa, una persona deve esistere e avere il senso di esistere, non in maniera consapevole, ma come base di partenza per agire. La creatività è allora il fare che emerge dall’essere. Essa indica che colui che è, è vitale. L’impulso può essere silente, ma quando la parola “fare” diventa appropriata, già è presente la creatività.
La scrittura in adolescenza può divenire quindi un’opportunità trasformativa e di cura di sé: un atto di responsabilizzazione verso la propria persona e verso quella di altre e altri; un’occasione per percepirsi autori della propria storia potendo così consapevolmente sia descrivere la ricorsività del presente, allontanandosene, sia progettare il futuro per operare delle scelte in maniera autonoma e autentica.
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