La rivoluzione della PCR nel viaggio attraverso il DNA
La fantasia di una mente umana che immagina di moltiplicare all’infinito minuscole tracce di DNA rendendo possibile l’impossibile
Kary Mullis, eccentrico e stravagante biologo statunitense, durante una delle sue visioni futuristiche, immaginò una tecnica in grado di amplificare esponenzialmente quantità di DNA molto scarse. Nacque così la PCR, o Reazione a Catena della Polimerasi, il sistema che ha permesso di studiare il DNA come non era mai stato possibile fare prima, aprendo la strada a moltissime applicazioni nel campo della biologia molecolare, della medicina e della diagnostica.
Vi siete mai chiesti qual è il principio che determina le differenze fra ogni essere umano? Il colore degli occhi e la forma delle labbra, la struttura fisica, l’altezza, il carattere… sembra che tutto sia scritto all’interno di un grande libro che ha la forma di una doppia elica e che prende il nome di acido desossiribonucleico o DNA. Il DNA è quella molecola che risiede nel nucleo di ogni cellula e che trasmette alla stessa tutte le informazioni necessarie per lo svolgimento delle sue funzioni.
Vista l’importanza in quanto “direttore artistico” del nostro organismo, il DNA è da sempre la molecola più studiata. Tuttavia, la sua analisi non è stata così immediata fin dalla sua scoperta per una ragione semplice e ben precisa: la quantità di DNA presente nelle nostre cellule è bassissima, molto più bassa di tutte le altre molecole presenti. Per questo motivo lavorare solamente con le quantità di acido nucleico ricavato direttamente dalle cellule non è possibile. Per tantissimo tempo biologi, chimici, biochimici e scienziati di ogni sorta si sono chiesti come poter risolvere questo problema “quantitativo”. La risposta è arrivata in una notte nella primavera del 1983 fra le strade della California grazie alla fantasia e stravaganza di un appassionato e geniale biochimico statunitense, Kary Banks Mullis.
Kary Mullis nasce il 28 dicembre del 1944 in una piccola cittadina della Carolina del Sud da una famiglia dedita al settore agricolo. Kary cresce in un contesto rurale che lo spinge fin da bambino, assieme all’instancabile curiosità e vivacità, a osservare insetti e piccoli animaletti, a sperimentare strumenti per studiarne le forme e i comportamenti, a trovare soluzioni e innalzare teorie. Egli stesso, nella sua autobiografia, ha raccontato di come, nell’età dell’adolescenza, sia orgogliosamente riuscito a costruire un marchingegno per far volare le rane nel cortile di casa. Dopo il diploma, Kary si iscrive alla facoltà di chimica conseguendo la laurea in tempi record per poi iniziare un dottorato di ricerca in biochimica.
Mullis è un tipo piuttosto eccentrico e originale anche nella sua vita privata: ama abbandonarsi a vizi e sregolatezze, frequenta molte donne e molto spesso fa uso di droghe. In un’intervista sostiene di aver trascorso due giorni a bere birra con la figura di un uomo che aveva le sembianze di suo nonno recentemente scomparso; così come dichiara di essere stato rapito da un alieno in una sera del 1985 nel boschetto attiguo alla sua casa a Mendocino, in California.
Ma tornando alla sua storia scientifica, Mullis, dopo il dottorato, entra a lavorare come chimico del DNA in una società biotecnologica dove, a un certo punto, viene coinvolto nella ricerca di un metodo che possa permettere l’analisi di alcune mutazioni a livello del DNA che causano malattie. Ma questa ricerca si scontra ben presto con la realtà delle cose. Il DNA prelevato dai pazienti da analizzare è troppo scarso! C’è bisogno di un metodo che permetta di ottenere più DNA…ma come fare ciò? Ed è così che, in quella famosa notte del 1983, lungo l’Highway 128 che varca le montagne della California, Mullis ha un’idea: amplificare il DNA, creare numerosissime copie di un frammento di DNA a partire da una sola molecola. E come fare tutto ciò? Gli elementi essenziali per farlo c’erano già tutti.
Mullis racconta che quella famosa notte non è riuscito a chiudere occhio per la sensazione di aver avuto un’idea come mai nessuno aveva avuto, un’idea che avrebbe cambiato per sempre le sorti della biologia molecolare, un’idea che avrebbe stravolto la scienza, che avrebbe lasciato a bocca aperta tutta la comunità scientifica, un’idea che avrebbe cambiato il mondo!
Il giorno dopo, non appena arriva a lavoro, Kary inizia a fare ricerche e si rende conto che mai era stata documentata una tecnica simile. Molti scienziati cercano di convincerlo ad abbandonare l’impresa facendogli credere che nessuno avrebbe dato fiducia all’idea di un chimico. Ma la sua ostinazione lo porta a credere ancora di più nella sua intuizione, a sfidare scienziati autorevoli e illustri esperti di biologia molecolare e DNA.
E così nasce la PCR, il cui nome inglese esteso sarebbe Polymerase Chain Reaction ovvero Reazione a catena della polimerasi. Nonostante la tecnica sia migliorata nel corso degli anni per mano e ingegno di scienziati curiosi e brillanti alla stregua di Kary Mullis, l’obbiettivo di questa tecnica rimane lo stesso dell’inizio: generare tantissime copie di una singola porzione di DNA. Nel linguaggio scientifico si parla di “amplificazione esponenziale del DNA” e le numerose copie di DNA prodotte sono chiamate ampliconi.
Ma come funziona questa tecnica e soprattutto di quali elementi si serve? In primis il DNA che deve essere duplicato nelle sue tante copie. Un altro elemento fondamentale è la polimerasi, enzima che, come un muratore, costruisce mattoncino dopo mattoncino la nuova copia di DNA. Per la precisione, nella PCR, viene utilizzato un tipo particolare di polimerasi detta Taq polimerasi, isolata dal batterio Thermus Acquaticus, e caratterizzata dalla capacità di lavorare ad alte temperature. E i mattoncini che servono per costruire il DNA quali sono? I nucleotidi! Essi vengono incorporati uno dopo l’altro a partire da un “innesco”, detto primer, ovvero una breve sequenza di DNA che, appaiandosi alla regione del DNA da amplificare, rappresenta il segnale - punto di inizio per l’attività della Taq polimerasi. I primer sono specifici per la porzione di DNA che deve essere copiata.
Possiamo dire che la reazione si compone principalmente di tre fasi essenziali.
- La prima fase è la cosiddetta fase della denaturazione: il doppio filamento di DNA deve essere separato in modo che ciascuno dei due filamenti sia accessibile per essere duplicato a opera della DNA polimerasi. Questa fase avviene a una temperatura molto alta, circa 95 °C , ed è proprio questa temperatura che causa la rottura dei legami a H che tengono unite le due molecole di DNA.
- Nella seconda fase avviene l’appaiamento, anche detto annealing, dei primer (o inneschi) alla regione di DNA target; in questa fase la temperatura viene abbassata fino a 40-55 °C al fine di permettere proprio l’appaiamento dei primer al DNA.
- La terza e ultima fase è quella dell’allungamento in cui entra in gioco la Taq polimerasi che, a partire dal primer, aggiunge un nucleotide dopo l’altro creando così un nuovo filamento di DNA, complementare a quello usato come stampo.
Finito il primo ciclo abbiamo due ampliconi, cioè due molecole di DNA composte ciascuna da un filamento dello stampo originario e da un nuovo filamento. Un nuovo aumento della temperatura a 95 °C innesca la reazione una seconda volta e così via fino a ottenere milioni di copie di quel singolo pezzetto di DNA.
Data la sua semplicità e la sua facile applicabilità, la PCR ha trovato fin da subito un ampissimo utilizzo in tanti campi, dalla biologia molecolare, alla medicina, alla diagnostica. Pensiamo per esempio alla medicina legale: se sulla scena di un crimine ci fossero delle tracce di sangue, esse sarebbero sicuramente in quantità così infinitamente piccole da non poter essere mai analizzate ed eventualmente ricondotte al delinquente. Con la PCR è invece possibile rendere quantificabili quelle quantità di DNA la cui provenienza altrimenti rimarrebbe ignota.
Un altro interessante campo di applicazione della PCR è rappresentato dalla genetica molecolare, ovvero quel settore della ricerca clinica che si occupa di effettuare test genetici su campioni di DNA di pazienti per vedere se presentano delle mutazioni a livello della sequenza nucleotidica. E questo è molto importante nel caso in cui si voglia capire se un certo individuo ha una mutazione a livello di un determinato gene, specialmente una mutazione che può essere responsabile dell’insorgenza di una malattia.
Ma la PCR ha trovato un forte utilizzo soprattutto nel campo della diagnostica microbiologica: durante un’infezione, il patogeno invade i tessuti e, riproducendosi, lascia dei residui del suo genoma a livello dei punti in cui è avvenuta l’infezione. Con la PCR è possibile amplificare le poche tracce del genoma ed evidenziare quindi l’avvenuta infezione da parte del patogeno. Ed è proprio questo tipo di utilizzo che ha “spopolato” durante la pandemia mondiale avvenuta nel febbraio del 2020 e causata dal virus Sars cov-2. Uno dei metodi che ha trovato maggior impiego per la diagnosi di infezione da covid è il cosiddetto test molecolare che altro non è che una banale PCR. Il soggetto viene sottoposto a un piccolo prelievo da tessuto nasofaringeo (dove avviene l’infezione del virus) e il campione prelevato viene sottoposto al test molecolare ovvero a una PCR. Nel caso in cui il soggetto fosse affetto, il campione conterrebbe una minima quantità di acido nucleico del virus che verrebbe così amplificato tramite PCR evidenziando così l’avvenuta infezione.
È inoltre importante, se non fondamentale, aggiungere quanto la PCR abbia semplificato alcuni processi andando a impattare molto meno, rispetto ad altre tecniche, sulle risorse, i reagenti e le energie utilizzate per il suo svolgimento. Basti pensare al fatto che essa permette di fare delle analisi su campioni partendo da pochissimo materiale, evitando così prelievi e pratiche invasive su piante e animali.
Un altro punto chiave è che questa tecnologia richiede un uso minimo di sostanze chimiche sia durante il processo che nella fase post-analisi, sostanze che possono risultare dannose a lungo andare sia per l’operatore che pratica la tecnica sia per l’ambiente circostante. A ciò si aggiunge il fatto che i termociclatori, gli strumenti utilizzati per la PCR, sono diventati molto più efficienti dal punto di vista energetico e hanno quindi permesso di ridurre fortemente il consumo di energia.
È quindi evidente quanto l'avanzamento della PCR abbia migliorato enormemente la capacità di diagnosi, trattamento e monitoraggio delle malattie, contribuendo alla medicina personalizzata e a una migliore gestione della salute pubblica. Questo ha avuto un impatto diretto sulla qualità della vita e sul benessere generale, riducendo drasticamente l’utilizzo di risorse e materiali che hanno un impatto anche sull’ambiente.
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