Astronauti in orbita terrestre, sonde automatiche sulla Luna, stazioni spaziali, satelliti di ultima generazione... mai come in questo periodo si è avvertita così forte la determinazione della Cina nell’investire parte della sua crescente esuberanza economica nell’esplorazione spaziale. Un balzo in avanti che nel 2014 l’ha portata a superare l’Unione Europea in termini di investimenti nel settore e a minacciare da vicino il primato degli Stati Uniti. E nel settembre 2016 è arrivata la notizia che più di ogni altra restituisce la misura di questa accelerazione: dopo appena cinque anni di lavori, la Cina ha completato la costruzione di FAST, il radiotelescopio ad antenna singola più grande del mondo. Con i suoi 519 metri di diametro, il nuovo radiotelescopio si appropria di un record detenuto da più di mezzo secolo da quello, leggendario, di Arecibo a Porto Rico (305 metri di diametro).
Come tutto è cominciato
L’idea di costruire FAST (vedremo in seguito il significato di questo nome) è nata da una precedente adesione della Cina al tribolato progetto internazionale dello Square Kilometer Array (SKA). Inizialmente – siamo nei primi anni Novanta – doveva trattarsi della costruzione, proprio in Cina, di un grande radiotelescopio ad antenna unica, ma in un secondo momento il comitato promotore ha deciso di puntare su un sistema basato su un elevato numero di antenne connesse tra loro anche se fisicamente distanti (parte in Sudafrica, parte in Australia). Le antenne così organizzate formano un telescopio virtuale del diametro pari alla distanza tra le due più lontane tra loro. Di fronte al cambio di programma, nel 2006 la Cina ha deciso di mettersi in proprio e di costruire un osservatorio radio tutto suo, straordinariamente grande non solo per motivi di prestigio politico, ma anche per la necessità di imporre un nuovo
Tutte le onde possibili
Prima di addentrarci nelle caratteristiche e nelle potenzialità di FAST, però, conviene fare un passo indietro, con qualche incursione nel mondo della radioastronomia. Il punto essenziale della questione è che tutto quanto conosciamo sul funzionamento dell’Universo lo dobbiamo alla misura e allo studio della radiazione elettromagnetica in arrivo dallo spazio. Uno studio che per molti secoli si è dovuto limitare alla ristretta finestra della cosiddetta radiazione “visibile”, quella che comunemente definiamo “luce” e che raccogliamo a occhio nudo o attraverso i telescopi ottici.
La radiazione visibile, però, è solo una piccola parte dell’insieme di radiazioni emesso dagli oggetti celesti, che comprende anche onde radio, microonde, infrarosso, visibile, ultravioletto, raggi X e raggi Gamma. Ognuna di queste radiazioni può offrire informazioni differenti e dunque la possibilità di scoprire fenomeni invisibili all’occhio umano, come alcuni dettagli sulla nascita delle stelle scoperti proprio grazie all’osservazione dei raggi infrarossi.
E tra le radiazioni da utilizzare ci sono appunto quelle “raccolte” dai radiotelescopi: le onde radio, migliaia di volte più ampie (lunghezza d’onda da 1 mm a qualche chilometro) di quelle emesse dalla luce visibile.
Raccogliere le onde radio
Dal punto di vista strumentale, la nascita dell’astronomia di queste onde lunghe, o radioastronomia, è frutto della tecnologia radar per uso militare: il suo primo risultato è arrivato negli anni Trenta, con la scoperta della prima sorgente radio extraterrestre mai rilevata: il nucleo della Via Lattea. Proprio come in un telescopio ottico un obiettivo (lente o specchio) focalizza la luce raccolta verso un oculare o una macchina fotografica, in un radiotelescopio c’è un’antenna – si parla di “disco” – deputata a raccogliere la radiazione elettromagnetica e a rifletterla verso il ricevitore. In molti radiotelescopi il disco si avvale di una superficie a forma di paraboloide per sfruttare una particolarità geometrica della parabola, ovvero quella di riflettere in un unico punto chiamato “fuoco” tutti i raggi provenienti da una direzione parallela al suo asse: in questo modo, anche le onde radio che colpiscono la parte periferica del disco vengono riflesse tutte esattamente verso il fuoco, proprio lì dove le aspetta il ricevitore che converte, amplificandola, la debole energia elettromagnetica in un segnale elettrico rilevabile. Il segnale, amplificato e convertito, viene quindi digitalizzato ed esaminato al computer con l’aiuto di particolari software, fino a essere trasformato in immagini dalle quali si ottengono le informazioni fisiche e chimiche sulle radio sorgenti che lo hanno emesso.
Più semplici, veloci ed economici da costruire sono i radiotelescopi con il disco a sezione sferica, come quelli di Arecibo e di FAST, che presentano però lo svantaggio di riuscire a focalizzare alla perfezione solo i raggi più prossimi all’asse del riflettore.
Un inconveniente – si chiama aberrazione sferica – che può essere eliminato sia montando un secondo disco correttore in prossimità del fuoco (come fa Arecibo), sia modificando la forma del disco con pistoni elettromeccanici controllati da computer (come è stato fatto per FAST).
Perché grande è meglio
Le caratteristiche fondamentali di un radiotelescopio sono sensibilità e potere risolutivo. Dato che i segnali in arrivo sono molto deboli, l’antenna deve essere così sensibile da rilevarli, il che dipende da caratteristiche come l’area del disco e le prestazioni del ricevitore. Il potere risolutivo consiste nella capacità dello strumento di separare due radio sorgenti angolarmente molto vicine ed è direttamente proporzionale al rapporto tra la lunghezza d’onda della radiazione e il diametro dello strumento. Questo significa che per “osservare” le onde radio, che hanno lunghezze d’onda molto più elevate della radiazione visibile, i radiotelescopi devono avere un diametro molto più grande di quello dei telescopi ottici. Poiché esistono limiti strutturali alle dimensioni dei dischi (con FAST siamo al massimo), l’alternativa è utilizzare un grande numero di “piccole” antenne che formano un enorme radiotelescopio virtuale (interferometria).
Nel profondo sud della Cina
Ma torniamo a FAST, e godiamoci le tappe di questa straordinaria realizzazione partendo dalla località nella quale è stata eretta, ovvero la contea di Pingtang, nella provincia meridionale di Guizhou. È una zona caratterizzata da una continua distesa di basse montagne separate da cavità di origine carsica, doline per lo più di forma quasi circolare, e proprio all’interno di una di queste – la Dawodang depression, larga 800 metri – si è deciso di alloggiare l’antenna di un radiotelescopio simile a quello di Arecibo. L’area è decisamente poco popolata. Le città più vicine sono Anshun, più di 130 chilometri a nordovest, e Guiyang, 150 km a nord, e quindi pochi sono i segnali radio artificiali che potrebbero interferire con le osservazioni.
L’obbligo di rispettare il silenzio radio, spegnendo anche i telefoni cellulari, dovrà essere comunque osservato già a una decina di chilometri prima dell’arrivo nel sito, tanto che il governo cinese ha dovuto far trasferire in altra sede (non senza polemiche) le circa 9000 persone che abitavano a meno di 5 km dall’installazione.
Uno spettacolo grandioso
A regime, lo staff di scienziati e tecnici residenti, una settantina di persone in tutto, si sposterà per le urgenze con due elicotteri a disposizione sul piazzale del centro controllo, mentre i visitatori arriveranno quasi tutti in pullman, essendo interdetta la zona al traffico privato. E la prima cosa che scorgeranno all’orizzonte saranno sei torri metalliche alte ciascuna 150 metri: piloni che sorreggono per mezzo di tiranti, come in un ponte sospeso, una rete metallica rivestita da un gigantesco puzzle di circa 4500 pannelli di forma triangolare: l’antenna. Sarà uno spettacolo davvero emozionante quello di cui potranno godere quando riusciranno ad avere una visione complessiva dello strumento salendo sulle colline circostanti!
Ma a questo punto, facendo correre lo sguardo sull’imponente struttura a molti sorgerà spontanea una domanda: se il radiotelescopio è così pesantemente ancorato a terra, come riuscirà a ricevere segnali da oggetti che invece ruotano seguendo il moto apparente della sfera celeste?
Tecnica d’avanguardia
In effetti, sia FAST sia il telescopio di Arecibo sono strutture statiche; per ovvi motivi meccanici (stiamo parlando di un peso di migliaia di tonnellate) il loro disco rimane sempre rivolto allo Zenit, senza alcuna possibilità di muoversi per “inseguire” le stelle come avviene invece nei telescopi ottici o nei radiotelescopi di dimensioni più contenute. Ma se il disco non si può muovere, una soluzione minima esiste comunque: quella di muovere in sua vece la cabina di ricezione del segnale situata nel fuoco dello strumento. È proprio in questo aspetto che sta una delle differenze qualitative più importanti tra FAST e Arecibo: la maggiore mobilità del ricevitore, che nel radiotelescopio cinese può essere spostato fino a 40° dallo Zenit, contro i 20° del telescopio di Porto Rico. Questo si traduce per FAST nella possibilità di inseguire un oggetto celeste per un periodo di quasi 6 ore, contro le 2,7 ore di Arecibo.
Un guadagno davvero considerevole, tale da permettere una maggiore velocità nell’acquisizione dei dati, specie considerando che il ricevitore ha anche la possibilità di osservare 19 regioni del cielo contemporaneamente, e a lunghezze d’onda differenti! Ed è senz’altro questa caratteristica che l’Accademia nazionale delle scienze cinese ha voluto sottolineare con la scelta del nome FAST, che è sì l’acronimo di Five-hundred-meter Aperture Spherical radio Telescope, ma anche la parola inglese che significa “veloce”.
Altro enorme vantaggio per FAST è la capacità di modificare la curvatura di una parte del riflettore, trasformando da sferica a parabolica una porzione di circa 300 metri di diametro: ogni singolo pannello, infatti, può variare la sua inclinazione, col duplice vantaggio di assecondare lo spostamento del ricevitore, facendo sì che lavori sempre in asse con il riflettore, e di correggere l’aberrazione sferica di quest’ultimo focalizzandone meglio il segnale. Nel primo caso, la differenza è quella che c’è tra il seguire a occhio nudo un oggetto al limite del campo visivo e l’averlo invece direttamente di fronte, mentre nel secondo è un po’ come correggere un difetto della vista modificando la curvatura del cristallino.
Un futuro si spera brillante
Ma quali saranno i campi di ricerca dove FAST potrà far valere le sue tanto decantate capacità? E le eventuali scoperte scientifiche saranno davvero tali da giustificare un investimento economico di quasi 200 milioni di euro? In effetti, nel recente passato le più grandi scoperte di settore, come le pulsar, i quasar, la radiazione cosmica di fondo e le molecole organiche interstellari, sono arrivate proprio grazie all’impiego di radiotelescopi sempre più grandi e sofisticati; il che fa pensare che – almeno fino alla prossima generazione di telescopi spaziali ottici, quelli che manderanno in pensione Hubble – saranno ancora le grandi antenne a portare i cambiamenti più significativi nella ricerca astronomica.
Alla ricerca di intelligenze extraterrestri
Per quantificare la superiorità di FAST nei confronti dei suoi predecessori possiamo fare un esempio basato sulla rilevazione di un ipotetico segnale alieno. Il radiotelescopio australiano Parkes (antenna singola di 65 metri di diametro) sarebbe in grado di rilevare un ipotetico segnale alieno della potenza di 1 gigawatt solo se provenisse da una stella distante meno di 4,5 anni luce, il che restringerebbe la ricerca a un unico sistema stellare, quello di Alfa Centauri. D’altra parte, l’osservatorio di Arecibo allungherebbe il tiro fino una distanza di 18 anni luce, fino a comprendere una dozzina di stelle. FAST, invece, potrebbe captare un simile segnale fino a una trentina di anni luce, tenendo sotto controllo più di 1500 stelle!
Tra energia oscura, pulsar e pianeti extrasolari
Il grande “occhio celeste” cinese sarà all’avanguardia in molte altre cose. Progettato per rilevare segnali nelle lunghezze d’onda tra 0,1 e 4 metri, potrà per esempio tracciare con grande precisione la distribuzione dell’idrogeno neutro, l’elemento più abbondante nella galassia.
Questo consentirà, tra l’altro, di ricavare dati più attendibili sulla accelerazione dell’espansione dell’Universo e quindi sulla reale natura della cosiddetta energia oscura, la misteriosa forza che secondo i modelli cosmologici più in voga ne è la causa prima.
L’unico modo per misurare con precisione l’entità dell’accelerazione è infatti quello di stabilire la distanza tra galassie remotissime, cosa che diventa possibile solo rilevando se tra le galassie in questione e l’osservatore esista o meno una nube di idrogeno capace di “smorzarne” la luminosità. E a questo tipo di misura, ai livelli di precisione richiesta, può provvedere soltanto un radiotelescopio del diametro e della sensibilità di FAST.
E ancora, la grande parabola potrà dare un decisivo impulso alla scoperta di nuove pulsar, oggetti la cui casistica ha bisogno di essere ampliata per fornire indicazioni su tutto ciò che ancora non sappiamo dei buchi neri e delle onde gravitazionali. La teoria ci dice che dovrebbero essere circa 60 000 le pulsar osservabili nella nostra galassia, ma finora ne sono state scoperte meno di 2 mila: con FAST si spera di trovarne almeno altre 4 mila.
Ci si aspetta, inoltre, che sia così sensibile da permettere di identificare le emissioni radio di giganti gassosi come il nostro Giove in orbita attorno a stelle lontane, incrementando con ciò la casistica sui pianeti extrasolari. E che qui sulla Terra riesca a prendere la leadership dei sistemi di interferometria a lunghissima base (VLBI - Very Long Baseline Interferometry), che prevedono l’osservazione della stessa porzione di cielo con più radiotelescopi sparsi per il mondo e coordinati tra loro.
La prima luce
Per il momento il telescopio è gestito solo da tecnici e scienziati cinesi che, oltre ad avviare le ricerche programmate, sono pronti a gestire eventuali problemi che potrebbero sorgere all’inizio delle osservazioni. Solo tra due anni si aprirà l’accesso a ricercatori di tutto il mondo, grazie anche alla possibilità di gestire in remoto il radiotelescopio e i suoi strumenti. Intanto, il 26 settembre scorso si è già avuta la “prima luce”, ovvero la prima osservazione ufficiale compiuta dallo strumento. E ci sembra piuttosto comprensibile, e anche molto simbolico, che la scelta dell’oggetto da puntare sia ricaduta sulla pulsar al centro della Nebulosa del granchio, che nel 1054 venne osservata in Cina come una brillantissima supernova galattica e fu invece completamente ignorata dagli astronomi occidentali...
PAROLE CHIAVE
Pulsar Oggetto celeste di pochi chilometri di diametro, residuo dell’esplosione di una stella molto massiccia. È un nucleo di materia densissima formato quasi di soli neutroni, che ruota molto velocemente emettendo impulsi di radiazione elettromagnetica a intervalli regolari.
Quasar Corpo celeste caratterizzato dall’emissione di enormi quantità di energia ma – data la notevole distanza, di miliardi di anni luce – dall’aspetto puntiforme. Probabile manifestazione dell’attività di enormi buchi neri al centro delle galassie che popolarono l’Universo nei primi miliardi di anni della sua esistenza.
Radiazione cosmica di fondo Radiazione elettromagnetica che permea tutto l’Universo ed è considerata il residuo della radiazione prodotta dal Big Bang.
Molecole organiche interstellari Molecole organiche, cioè a base di carbonio, individuate nel gas interstellare o negli aloni stellari.
Zenit In astronomia è il punto della volta celeste che sta esattamente sopra la testa dell’osservatore, a un’altezza di 90° sopra l’orizzonte.
Referenze iconografiche: NAOC, Giovanni Anselmi, NASA