Il cielo degli Egizi
Un omaggio in occasione del duecentesimo anniversario della fondazione del Museo Egizio di Torino
Il firmamento rappresenta uno dei legami più stretti con le civiltà che ci hanno preceduti. Cogliendo l’occasione dei 200 anni dalla fondazione del Museo Egizio di Torino, osserviamo il cielo nel secondo anno del regno di Ramses II e ai piedi della piramide di Giza.
Valle del Nilo, secondo anno del regno di Ramses II (1277 a.C.), mese di luglio
Il Sole non è ancora sorto, ma il cielo inizia a rischiarare. La luce dell’alba rivela migliaia di operose figure che si affannano febbrilmente per preparare i campi. Tra pochi giorni le acque del Grande Fiume esonderanno, travolgendo la pianura, donando la vita e rinnovando un ciclo che si ripete da millenni.
Circa un mese prima, le regolari piogge monsoniche hanno scaricato il loro impeto sull’altopiano etiope, a migliaia di chilometri di distanza dalla valle che ora si prepara ad accoglierle. Raccogliendosi sui monti, hanno ingrossato il Nilo Azzurro. L’enorme massa d’acqua, dopo aver incontrato il Nilo Bianco, viaggia per settimane fino a raggiungere il mare.
Questo però lo sappiamo noi, migliaia di anni dopo la mattina che ha aperto il nostro racconto. Con ogni probabilità quei contadini non sapevano nulla delle origini del Nilo, dei suoi due principali affluenti, dell’Altopiano Etiope e delle sue piogge. Sapevano però prevedere con esattezza le esondazioni del fiume da cui dipendeva tutta la loro civiltà. Ad avvisarli era il cielo stellato. Le notti precedenti si erano infatti concluse in modo diverso dal solito.
Guardando verso oriente, tre stelle allineate dominavano l’orizzonte. Poco a poco diventavano sempre più alte, sino a quando, dall'orizzonte, spuntava una stella estremamente luminosa, la più brillante di tutte. Non la si era vista in cielo nei 70 giorni precedenti ma, finalmente, tornava a mostrarsi. Dopo la sua levata, continuava il suo percorso in cielo, seguendo le tre stelle che l’avevano preceduta. Il suo viaggio però durava poco. Il cielo iniziava a rischiarare, spegnendo prima le stelle più deboli e, per ultima, proprio lei, la stella più brillante, che si spegne poco dopo essere nata.
La stella protagonista di questo fenomeno raro e prezioso è chiamata dagli antichi egizi Sopedet, Sothis per i greci, per noi Sirio, nella costellazione del Cane Maggiore. Il fenomeno che vede una stella sorgere all’alba, è noto come levata eliaca e si parla quindi di levata eliaca di Sirio. Le tre stelle che precedono Sirio in cielo costituiscono invece quella che oggi chiamiamo Cintura di Orione. La levata eliaca di Sirio testimonia l’attenzione di questa antica civiltà verso il firmamento. Attenzione che, in questo caso, ha ricadute pragmatiche evidenti, ma che in altri casi assume toni decisamente più poetici.
Levata eliaca di Sirio rappresentata in tre istanti diversi. Poco dopo essere sorta la luce delle stelle si spegne immergendosi nel chiarore dell’alba. Immagine creata dallo staff di Infini.to con il software ”Stellarium”
Un giorno e una notte ai piedi della grande piramide di Giza nel 2500 a.C.
Per scoprire la dimensione spirituale del cielo degli egizi, immaginiamo ora un viaggio che parta dall’odierna Italia e ci porti, attraverso lo spazio e il tempo, all’epoca delle grandi piramidi della piana di Giza. Siamo vicini all’attuale Cairo, pochi anni dopo la costruzione del monumento funebre dedicato a Cheope. Arriviamo nel pomeriggio e il Sole è ancora alto in cielo ma, ora dopo ora, si abbassa e si sposta verso ovest, fino a raggiungere l’orizzonte.
Qui troviamo la prima rappresentazione del cielo nella cultura egizia. Il Sole è il dio Ra, creatore dell’umanità e dell’universo intero, portatore di vita e calore. Il dio solca il cielo da un orizzonte all’altro a bordo di una barca e il cielo stesso è immaginato come un vasto oceano azzurro. L'equipaggio della nave è composto da molte altre divinità che hanno il compito di aiutarlo e guidarlo lungo la traversata.
Al tramonto, il sole scompare alla vista e Ra, con la sua nave, fa visita al regno dei morti. Col calare delle tenebre il cielo cambia e si fa donna. La dea Nut, la grande madre, inghiotte il disco solare e punteggia il cielo di stelle. La sua figura abbraccia tutto il cielo notturno, il suo corpo è disposto ad arco, con i piedi e le mani poggiati sull’orizzonte. Piedi e mani sono il solo punto di contatto con il suo eterno amante, Geb, il dio della terra. Lo spazio ad arco creato dal corpo di Nut, lo spazio tra lei e Geb, è lo spazio in cui si sviluppa la vita, circondata dal cielo e dalla terra. Nut muove il cielo stellato e lo popola, il suo corpo è completamente ricoperto di stelle. Trasforma il firmamento con precisione e regolarità, accompagnandolo nel suo viaggio fino all’alba.
Qui, mentre le stelle si spengono, partorisce nuovamente Ra. Il dio Sole può quindi iniziare un nuovo viaggio in cielo, un nuovo giorno, a bordo della sua barca dorata. Questa visione ciclica della vita come una continua morte e rinascita è strettamente correlata ai fenomeni naturali e, in particolare, al moto degli astri in cielo. L’orizzonte della natura immanente che permea i loro sensi ne scolpisce anche l’immaginazione e detta le regole della loro cosmogonia.
La dea Nut che forma un arco per popolare il cielo stellato con il suo corpo ricoperto di stelle.
Copia di papiro proveniente dal tempio egizio di Dendera.
Foto: World History Archive / Alamy Foto Stock
Ma com’era il loro cielo? Cosa vedevano sopra le loro teste? In che modo possiamo paragonarlo al nostro, a migliaia di anni e di chilometri di distanza? Per capirlo torniamo a immaginare il percorso che ci ha condotti fino alla grande piramide.
La prima conseguenza del nostro viaggio nello spazio e nel tempo è facile da immaginare: ci siamo spostati verso sud, vediamo quindi una porzione di cielo diversa. Nuove stelle appaiono lungo l’orizzonte meridionale, mentre le stelle che popolavano il cielo del nord diventano più basse e alcune di loro scompaiono. Intenti a orientarci in questo nuovo cielo, cerchiamo la Polare, lei ci indicherà il nord! Giusto? Purtroppo no… Al tempo della nostra gita, la stella più vicina al polo nord celeste è Thuban, l’astro più brillante della costellazione del Drago, costellazione che gli egizi associavano, forse, a un ippopotamo. La Polare è invece a circa 25 gradi di distanza dal nord.
Questo cambiamento non è dovuto al viaggio nello spazio, dall’Italia al Cairo, ma al viaggio nel tempo, andando indietro di 4500 anni. L’asse di rotazione terrestre descrive infatti un doppio cono, percorrendolo completamente in circa 26.000 anni. Per questo, al tempo dei faraoni, lungo il prolungamento dell'asse di rotazione terrestre non troviamo più la stella Polare. Durante tutta la notte è quindi Thuban a rimanere quasi immobile, mentre tutte le altre, Polare compresa, le ruotano attorno. Questo moto apparente della volta stellata è dovuto alla rotazione della Terra sul suo asse, compiendo un giro intero in circa 24 ore.
Nel 2500 a.C. abbiamo quindi Thuban quasi ferma verso Nord e le stelle vicine che le ruotano attorno sfiorano l’orizzonte per poi risalire, senza tramontare mai. Le stelle più lontane da Thuban invece, scompaiono dietro l’orizzonte ovest, dando inizio al ciclo di morte e rinascita che abbiamo già visto con il dio Ra. Per questa ragione, le stelle circumpolari, le più vicine a Thuban, che non tramontavano mai, venivano chiamate “immortali” o “imperiture”.
2500 a.C., piana di Giza, orizzonte settentrionale. A indicare il nord troviamo la stella Thuban, nella costellazione del Drago. La scia lasciata dalle stelle evidenzia il loro moto apparente durante la notte. Le “imperiture” non tramontano mai, ma ruotano costantemente attorno al polo nord celeste.
La stella polare non indica il Nord. Immagine creata dallo staff di Infini.to con il software ”Stellarium”
E le altre stelle, quelle che tramontano sparendo alla vista? Loro non erano stelle mortali, bensì stelle infaticabili, perché dopo essere morte, risorgevano dall’orizzonte opposto, proprio come Sirio e il Sole che abbiamo già incontrato. Se è vero che, durante la notte, alcune stelle scompaiono a ovest, possiamo però consolarci con nuove stelle che sorgono a est. Tra queste, gli egizi scelsero probabilmente le più brillanti ed equamente spaziate tra di loro in cielo, per scandire il tempo. Le chiamarono decani e crearono vere e proprie tavole da usare per scandire il tempo osservando il cielo notturno. Un vero e proprio orologio celeste. Alcune di queste “tavole stellari” sono oggi custodite presso il Museo Egizio di Torino. Ancora una volta la visione pragmatica e strumentale del cielo si intreccia con la cosmogonia e la poesia, in un racconto unitario e coerente.
Sette stelle, tanti nomi diversi
Tra le stelle che ruotano incessantemente attorno al nord celeste, sette sono decisamente brillanti e spiccano su tutte le altre. Per via della loro posizione in cielo sono visibili, sia dall’Italia che dall'Egitto, per tutta la notte e per tutte le notti dell’anno. Fanno quindi parte delle stelle imperiture. Il loro culto è antichissimo e affonda le sue radici nel periodo predinastico, più di 5000 anni fa.
Queste sette stelle erano rappresentate dagli egizi come una sorta di ascia, chiamata meskhetyu. Il meskhetyu era però molto più che una semplice ascia. Veniva infatti usato anche nella cerimonia dell'apertura della bocca, un rituale con il quale si restituivano i sensi al defunto. Ancora una volta il ciclo della vita e le stelle si intrecciano. In altre rappresentazioni egizie, le stesse stelle diventano la zampa di un toro, legata con una catena al nord e costretta a ruotare per sempre senza mai potersi bagnare nelle acque del Nilo.
Muovendoci nei secoli, le stesse stelle continuano ad attrarre l’attenzione di molte altre civiltà. Nella Bibbia (Apocalisse 1:20) vengono citate le “sette stelle”. I latini immagineranno sette buoi da lavoro, chiamandole “septem triones”, diventato poi il "settentrione" che ancora oggi usiamo per identificare l’emisfero nord. In Asia sono invece “i sette saggi”, mentre in Nord America sono “the Big Dipper”, il grande mestolo. In Francia vengono chiamate “Grande Casserole”, la grande pentola, mentre noi, oggi, le chiamiamo “Grande Carro”.
Queste sette stelle costituiscono un legame con un popolo antico: oggi, proprio come più di 4000 anni fa, continuiamo a guardare al cielo stellato con meraviglia e stupore, cercando risposte e raccontando miti e leggende. Il firmamento rappresenta uno dei legami più stretti con le civiltà che ci hanno preceduti, un orizzonte col quale confrontarsi, una meravigliosa quinta teatrale che rimane immutata, mentre tutto intorno a noi evolve e si trasforma.
Orologio stellare custodito al Museo egizio di Torino. In primo piano, in colore rosso mattone,
l’asterismo del “Grande Carro” rappresentato come una zampa di toro.
Foto Wikimedia Commons
Referenze iconografiche: lovemushroom/Shutterstock