Evoluzionismo del XXI secolo
Da Lamarck ai giorni nostri: come sono cambiate le teorie evoluzioniste
L’albero genealogico della grande famiglia biologica oggi ci appare assai più intrecciato di quanto si potesse supporre nel passato. Con tutte le sue nuove istanze e i suoi dibattiti, l’evoluzionismo è un ambito vivace e aperto, costituendo un potente strumento non solo per capire il passato, ma anche e soprattutto per affrontare e gestire al meglio le sfide biologiche del nostro tempo, come per esempio quelle provocate dal cambiamento climatico.
L’epoca moderna della civiltà occidentale è segnata dalla nascita e dallo sviluppo della scienza, il cui metodo consente di indagare la realtà combinando l’utilizzo della sperimentazione, cioè l’osservazione diretta della natura, con gli strumenti della ragione, come la matematica e la logica.
In questo senso, sebbene pensatori antichi avessero già avanzato l’ipotesi che gli organismi fossero andati incontro a trasformazioni, il primo modello evoluzionistico scientifico coerente e organico fu quello proposto dal naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck all’inizio del XIX secolo.
Esso poggiava su tre cardini fondamentali:
- il principio di discendenza comune di tutti i viventi a partire da antichi progenitori;
- l’idea di una progressione lineare, cioè di un aumento della complessità biologica nel corso delle generazioni;
- la capacità delle forme di vita di adattarsi ai contesti ambientali e di trasmettere ai figli tali modificazioni (ereditarietà dei caratteri acquisiti).
Sebbene si trattasse di una teoria raffinata e complessa, essa non esercitò un impatto dirompente sulla cultura del tempo, in cui continuò a prevalere una mentalità fissista, basata cioè sulla convinzione della stabilità delle specie nella storia.
Il vero punto di svolta si verificò solo mezzo secolo dopo, con la pubblicazione dell’Origine delle Specie (1859) e successivamente dell’Origine dell’Uomo di Charles Darwin (1871). Il nuovo impianto riprese il concetto di discendenza comune già discusso da Lamarck, estendendolo esplicitamente al genere umano: l’appartenenza di Homo Sapiens alla grande famiglia animale fu una svolta storica destinata a scatenare un dibattito scientifico e filosofico di portata straordinaria.
La selezione naturale come motore per l’evoluzione
La grande novità introdotta da Darwin consistette tuttavia nella centralità attribuita alla selezione naturale come meccanismo trainante l’evoluzione biologica per mezzo di modificazioni lente e graduali. È attraverso questo processo, esito della lotta per la sopravvivenza, che le popolazioni non crescono esponenzialmente come ci si attenderebbe per effetto della riproduzione, secondo la tesi che Darwin attinse direttamente dal demografo britannico Malthus. La selezione naturale agisce sulla varietà dei viventi, alcuni dei quali, più idonei a sopravvivere a specifiche condizioni di vita, si riproducono maggiormente producendo alterazioni dell’assetto genetico nelle generazioni successive. L’esito si osserva spesso su scale temporali considerevoli, dell’ordine dei milioni di anni, compatibili con le lunghe ere geologiche della Terra dimostrate dai geologi contemporanei a Darwin.
Certamente il darwinismo rappresentò uno spartiacque nella storia della scienza poiché spiegava l’evoluzione della vita basandosi esclusivamente su dinamiche naturali e senza l’esigenza di invocare l’intervento di un creatore. Esso tuttavia non era esente da limiti, in particolare dovuti alla scarsa conoscenza della biologia di allora sull’origine della varietà biologica e sull’ereditarietà dei caratteri. La proposta non venne universalmente accettata dagli evoluzionisti stessi, divisi soprattutto sulle cause dell’evoluzione e, anzi, visse una profonda crisi nei decenni a cavallo tra il XIX e il XX secolo. In quel periodo infatti trovarono diffusione altre teorie che non attribuivano grande rilevanza alla selezione naturale.
La Sintesi Moderna
Solo intorno alla metà del Novecento si delineò un neo-darwinismo destinato a imporsi per tutto il XX secolo: la cosiddetta Sintesi Moderna. La teoria incorporò l’azione della selezione naturale con le leggi di Mendel, ignote a Darwin e riscoperte solo a inizio Novecento, che consentivano di spiegare l’eredità dei caratteri su base genetica. Secondo tale approccio le mutazioni casuali e la ricombinazione genica producono variabilità tra individui e su di essa opera la selezione naturale. Si tratta di una visione definita geno-centrica poiché ritiene che l’evoluzione possa essere spiegata e misurata dai cambiamenti delle frequenze geniche all’interno delle popolazioni.
La Sintesi Moderna segnò la convergenza tra molti genetisti, zoologi, paleontologi e matematici. I padri fondatori inclusero Haldane, Fisher, Wright, Huxley (Julian), Dobzhanski e Mayr.
Essa esercitò una notevole influenza sia all’interno della comunità scientifica che a livello mediatico e didattico, anche grazie alla notevole capacità divulgativa dei suoi sostenitori, fissando infatti i principi fondamentali che si ritrovano tutt’oggi nei libri di testo scolastici.
In realtà, a uno sguardo storico più attento, già agli albori della teoria sintetica si andavano accumulando numerose osservazioni sperimentali che richiedevano l’esigenza di continui aggiornamenti e revisioni.
In particolare, dalla seconda metà del Novecento la nascita di nuove discipline, tra cui la biologia molecolare dello sviluppo, l’evolutionary developmental biology (Evo-devo), le omiche e l’epigenetica, insieme all’avanzamento di quelle classiche tra cui fisiologia, biochimica, genetica ed etologia, hanno radicalmente cambiato la nostra visione del mondo vivente sollevando criticità e limiti di un approccio teorico e sperimentale che mostra inevitabilmente i segni del tempo.
Oggi, a quasi due secoli dall’Origine delle Specie e a uno dalla genesi della Sintesi Moderna, si dibatte su temi di grande interesse biologico.
L’evoluzionismo dei nostri tempi
Tra gli etologi si enfatizza il ruolo del comportamento animale come motore dell’evoluzione in contrapposizione a quello dei geni, canonicamente considerato dominante. I fisiologi sottolineano l’importanza di attribuire maggior peso alla plasticità fenotipica, cioè alla capacità dei singoli individui di rispondere agli stress ambientali a cui sono sottoposti. Alcuni biologi sollecitano poi una interpretazione più complessa del rapporto tra organismi e ambiente; infatti i viventi non subiscono le sollecitazioni esterne in una ‘lotta per l’esistenza’ passiva, ma modificano attivamente l’habitat accomodandolo alle proprie esigenze funzionali: per esempio un piccolo mammifero che cerca o edifica la propria tana per proteggersi dal freddo sceglie una nicchia, una sorta di ‘comfort zone’ che può anche essere ereditata dalla prole. Inoltre, gli avanzamenti della genetica negli ultimi decenni hanno evidenziato come lo sviluppo embrionale e i suoi vincoli contribuiscano a direzionare l’evoluzione nei viventi.
La scoperta di un sistema gerarchico nell’organizzazione dei geni dello sviluppo ha dato vita alla Evolutionary Developmental Biology (Evo-Devo) e messo in luce come piccole mutazioni di particolari geni chiamati omeotici generano profonde alterazioni della struttura anatomico-funzionale dell’intero organismo: le nuove acquisizioni mettono dunque in discussione che l’evoluzione biologica proceda sempre per piccoli passi graduali come ritenevano Darwin e successivamente gli autori della Sintesi Moderna.
La genetica molecolare ha anche consentito di identificare una grande varietà di modificazioni del DNA e altri meccanismi, definiti epigenetici, ignoti a metà del XX secolo: essi contribuiscono alla regolazione dell’espressione genica e del differenziamento cellulare senza alterare la sequenza genica come avviene nel caso di mutazioni e ricombinazioni geniche. I processi epigenetici sono spesso indotti da stimolazioni esterne e dalle condizioni di vita dei singoli individui – sono cioè acquisiti e non ereditati dai genitori – ma talvolta, almeno limitatamente a certe specie, vengono trasmessi alle generazioni successive: questa forma di eredità epigenetica transgenerazionale riporta in discussione il possibile ruolo evolutivo dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti, uno dei cardini della teoria di Lamarck, rifiutato dai modelli darwiniani.
Infine, solide evidenze sperimentali suggeriscono che l’evoluzione biologica sia stata condizionata significativamente dai fenomeni di simbiosi, connessioni più o meno stabili tra individui anche molto differenti, con la formazione di nuovi organismi. Oltre al classico esempio dell’endosimbiosi tra procarioti che avrebbe dato origine alle cellule eucariote centinaia di milioni di anni fa, numerose forme di interazione inter-specie sono state identificate in tutti i regni viventi e potrebbero concorrere a segnare la storia della vita.
Oggi, dunque, l’albero genealogico della grande famiglia biologica ci appare assai più intrecciato di quanto si potesse supporre nel passato. Con tutte le sue nuove istanze e i suoi dibattiti che fanno parte del modo di procedere della conoscenza scientifica, l’evoluzionismo è dunque un ambito vivace e aperto: esso infatti non è solo capace di fornirci il senso della vita come la conosciamo, ma rappresenta anche un potente strumento per affrontare e gestire al meglio le sfide biologiche del nostro tempo, tra cui quelle costituite dal cambiamento climatico.
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