Ci sono specie che per decenni o secoli, persino milioni di anni, sono state ritenute estinte. Perse per sempre, scomparse a causa della distruzione degli ecosistemi, della caccia e del bracconaggio, o semplicemente perché la loro storia evolutiva, si credeva, era giunta al termine. Eppure è accaduto l’impensabile: sono state ritrovate. A volte è bastato un deciso colpo di fortuna, altre volte sono stati necessari anni di ricerca. E oggi alcune di queste specie sono state tirate fuori dal baratro dell’estinzione, grazie a intraprendenti progetti di conservazione.
Ogni specie Lazzaro – così vengono soprannominate queste specie redivive dall’estinzione – ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Ma ognuna di loro incarna un monito: tutte loro ci ricordano quanto ancora poco conosciamo la biodiversità e quanto dovremmo investire per tutelarla.
Un regalo di Natale
Nel dicembre del 1938 la naturalista trentunenne Marjorie Courtenay-Latimer era la curatrice dell’East London Museum, in Sudafrica. Si stava avvicinando il Natale e nulla, fino a quel momento, lasciava presagire quello che sarebbe successo. Ma la storia della più celebre specie Lazzaro era appena cominciata.
Nella calda e afosa mattinata del 22 dicembre 1938, Marjorie ricevette una telefonata: era il suo amico Hendrik Goosen, capitano del peschereccio Nerine, che com’era solito fare, la chiamava per farle visionare il suo bottino in caso ci fossero esemplari utili al museo. Nel mare di squali pescati nell’Oceano Indiano, all’altezza della foce del fiume Chalumna, l’attenzione di Marjorie fu attirata da un enorme e strano pesce blu-argenteo con due pinne carnose, attaccate poco prima della coda. Marjorie non aveva mai visto niente del genere: disegnò quel pesce come meglio poteva e inviò il disegno, insieme a una breve descrizione, al suo collega ittiologo James Smith, che era in vacanza. Poi fece tassidermizzare il corpo del pesce, che ormai cominciava a puzzare.
Al suo ritorno, Smith trovò la lettera: quel pesce era un celacanto, un gruppo di pesci ritenuto estinto insieme ai dinosauri, circa 66 milioni di anni fa. Una specie Lazzaro, rediviva dopo milioni di anni, e per giunta gigante (i celacanti possono arrivare a 2 metri di lunghezza, per 80 chili di peso). In onore di Marjorie Courtenay-Latimer e delle acque in cui fu pescata, la specie fu ribattezzata Latimeria chalumnae e fu indetta una campagna per trovare nuovi esemplari: chi ne avesse trovato uno, avrebbe vinto 100 sterline. Una somma ragguardevole per i pescatori africani e in particolare quelli dell’isola di Anjouan, nelle Comore, increduli che un pesce immangiabile, che ogni tanto finiva nelle loro reti, fosse valutato tanto. Eh già, i pescatori locali, il celacanto non lo avevano mai perso di vista: era la scienza occidentale ad averne ignorato l’esistenza per così tanto tempo.
Un fantastico colpo di fortuna
Come si fa a perdere una specie gigante anche negli anni Duemila? Può succedere, soprattutto in luoghi come le Galapagos, precisamente sull’isola di Fernandina: la più grande isola incontaminata della Terra, rimasta per lo più inesplorata a causa dei campi di lava che bloccano l’accesso all’interno dell’isola.
A rendere famose in tutto il mondo le Galapagos ci ha pensato il padre della teoria dell’evoluzione Charles Darwin, ma in questo arcipelago vivono anche 14 specie di testuggini giganti, lunghe un metro e mezzo, per 300 chili di peso. Eppure, di alcune di queste enormi e longeve specie (arrivano tranquillamente ai 150 anni) si sono perse le tracce da più di un secolo.
L’ultima ritrovata è la testuggine fantastica gigante (Chelonoidis phantasticus), chiamata così per la curiosa forma del carapace: svasato ai lati e rialzato all’altezza del collo, a formare una sella. Il primo esemplare era stato rinvenuto dall’esploratore Rollo Beck nel 1906. Da quel momento, però, nessuno ha più visto una tartaruga fantastica… fino al 2019, quando è stata ritrovata una femmina ancora in vita, di circa 50 anni, battezzata Fernanda.
Un colpo di fortuna, arrivato nel luglio del 2022, è stato invece fondamentale anche per Maxim Adams, studente di biologia dell’Università di Sydney. Adams era sull’isola di Lord Howe, in un arcipelago situato a metà tra le coste dell’Australia e la Nuova Zelanda, per alcune ricerche sugli scarafaggi. E alzando un grosso sasso si è ritrovato davanti alla blatta mangialegna gigante di Lord Howe (Panesthia lata): considerata estinta da oltre 80 anni, a causa dell’arrivo sull’isola di nuovi temibili predatori, i ratti neri arrivati dall’Europa. E invece, dopo tanti decenni, la blatta mangialegna era ancora lì. Bisognava solo guardare sotto il sasso giusto.
Anche i Social fanno la loro parte
Ci sono specie ritrovate grazie… a un post su Facebook. È il caso di un fungo velenoso che cresce nell’area di Singapore e che mancava all’appello da 80 anni: l’Amanita sculpta, per gli amici chocolate chip toadstool, ovvero “fungo dalle gocce di cioccolato” per via del suo cappello punteggiato da verruche che assomigliano davvero a golose gocce di cioccolato. Questo fungo, il cui cappello può arrivare a una trentina di centimetri, era stato scoperto nel 1939 nella Bukit Timah Nature Reserve di Singapore. Ma dal 1940 nessuno l’aveva più visto. Finché nell’agosto del 2020, un utente Facebook, iscritto a un gruppo sulla flora della Malesia e di Singapore, posta una foto chiedendo aiuto per l’identificazione. A partire da quella foto gli esperti della riserva Bukit Timah l’hanno identificato proprio come un’Amanita sculpta e sono riusciti persino a ritrovare l’esemplare fotografato, alla base di un albero di Shorea leprosula, lungo la strada principale che attraversa la riserva.
Ritrovati e salvati dalla ricerca
Quando nel 1609 i primi coloni arrivarono su Grande Bermuda, un suono straziante e lamentoso turbava le loro notti. Era il canto del petrello delle Bermuda (Pterodroma cahow): un uccello marino, parente dei più noti albatros, con un’apertura alare di circa 90 centimetri. L’arrivo dei coloni europei, però, decretò l’inizio della fine per il petrello delle Bermuda: i coloni deforestarono buona parte dell’isola per far spazio a piantagioni di mais e tabacco, portarono con loro ratti, cani e gatti che fecero incetta di pulcini, uova e petrelli adulti. Pochi anni dopo i petrelli sembravano essere scomparsi dalle Bermuda. Ma nei primi decenni del Novecento si riaccese la speranza: furono trovati un paio di esemplari morti e poi - tra gli anni Cinquanta e Sessanta - due spedizioni mirate arrivarono a contare 18 coppie e 8 pulcini. Dopo 330 anni, il petrello delle Bermuda era stato ritrovato: era l’ultima chance per tirarlo fuori dal baratro dell’estinzione. Venne avviato così il Bermuda’s Cahow Recovery Programme, che continua tuttora: oggi, grazie agli sforzi di generazioni di ornitologi, alle Bermuda vivono circa 155 coppie di petrelli.
Sono appena cominciati, invece, gli sforzi di conservazione per il rarissimo tragulo del Vietnam (Tragulus versicolor): il più piccolo ungulato al mondo, lungo meno di 50 centimetri, privo di palco (si chiamano così le corna degli ungulati), e con un paio di inconfondibili canini superiori, allungati a mo’ di zanne. Nessuno l’aveva più avvistato dal 16 gennaio del 1990. A ritrovare il tragulo del Vietnam quasi 30 anni dopo, nel 2018, sono stati gli obiettivi delle fototrappole installate dalla Global Wildlife Conservation in una foresta di pianura nel Vietnam meridionale. Così oltre 1.880 immagini e video hanno messo la parola fine alla “latitanza” del più piccolo ungulato al mondo. Ora si punta a capire lo stato di salute e la numerosità della popolazione riscoperta, e a intraprendere un progetto di conservazione per evitare l’estinzione del tragulo ritrovato.
La Global Wildlife Conservation non è nuova a queste riscoperte: nel 2017, infatti, ha avviato l’ambizioso progetto Search for Lost Species, che punta a ritrovare 25 specie di animali e piante. E sinora è andata di lusso, ne sono state trovate 8: l’ape gigante di Wallace, la salamandra di Jackson, la pianta carnivora Nepenthes mollis, il sengi somalo, la testuggine gigante fantastica citata prima, il granchio della Sierra Leone, il camaleonte di Voeltzkow, e ovviamente il tragulo del Vietnam. Ognuna di loro ci ricorda quanto ancora c’è da fare per tutelare la biodiversità.
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