Il cannocchiale galileiano: conseguenze scientifiche e artistiche di una rivoluzione
Una scoperta dai mille risvolti, non solo per la sua valenza scientifica
Gli effetti diretti della scoperta del cannocchiale
Un gesto rivoluzionario. Quando nel 1609 Galileo puntò verso il cielo il cannocchiale – uno strumento forse inventato dagli occhialai fiamminghi, ma che lui perfezionò basandosi su ragionamenti teorici, “per via di discorso” – la storia andò incontro a un cambiamento epocale. Il suo perspicillum, come lo definiva Galileo stesso nel Sidereus Nuncius (1610), è un oggetto di concezione abbastanza semplice, formato da un sottile tubo della lunghezza di circa un metro con all’estremità due lenti, di cui aveva calibrato le distanze focali: una convessa (ossia convergente, come negli occhiali per i presbiti) e una concava (divergente, come negli occhiali per i miopi). Grazie a questo semplice dispositivo, Galileo vide particolari sfuggiti all’occhio umano: le irregolarità del suolo lunare, le innumerevoli stelle che affollavano la Via Lattea e gli “Astri Medicei”, ossia i quattro satelliti di Giove. L’osservazione del cielo, da curiosità coltivata dall’uomo comune, si era trasformata in una vera e propria disciplina scientifica: l’astronomia.
Allo stesso tempo, il gesto di Galileo sanciva un’altra storica trasformazione: era nata una nuova scienza in cui gli strumenti giocano un ruolo fondamentale. Come ha scritto in un celebre saggio l’epistemologo Alexandre Koyré [Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, Torino, Einaudi 1967], “è attraverso lo strumento di misura che l’idea dell’esattezza prende possesso di questo mondo e che il mondo della precisione arriva a sostituirsi al mondo del pressappoco”. Da allora, infatti, l’avanzamento della ricerca scientifica si legherà indissolubilmente all’uso di apparecchiature per effettuare sperimentazioni.
L’influenza indiretta sulle altre arti
Non deve dunque meravigliare che una scoperta di tale importanza abbia esercitato una profonda influenza su tutte le arti: non solo la pittura, ma pure la musica, la poesia e quella particolare convergenza tra queste due forme espressive che è il teatro d’opera. Tanto più che, all’epoca, l’approccio scientifico era ancora strettamente collegato a quello artistico.
Basti pensare che, prima dell’avvento della fotografia, per fissare le immagini osservate si poteva ricorrere solo al disegno. Galileo possedeva notevoli abilità pittoriche, che si rivelarono preziose nel momento di scrutare il cielo: annotava in forma di schizzi quanto fissato attraverso il cannocchiale e conosceva le regole della prospettiva, delle ombreggiature, del chiaroscuro. Queste competenze gli diedero un ausilio fondamentale nell’interpretazione dell’aspetto maculato della Luna, permettendogli di spiegarlo proprio a partire dalla forma delle ombre, come dimostrano i disegni esplicativi del Sidereus Nuncius.
Galileo aveva anche approfondite conoscenze musicali sul piano teorico e pratico (suonava il liuto): ancora non si utilizzavano gli orologi e la sua abitudine a scandire il ritmo si rivelò utilissima nella conduzione di molti esperimenti, dove era necessario misurare il tempo. Nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638) arriva a importanti conclusioni di acustica: l’armonia fra i suoni non si può spiegare solo attraverso i rapporti numerici individuati dai Pitagorici, perché dipende pure dalla natura del corpo che ha emesso il suono e dalla risposta della membrana del timpano quando, in seguito alla sollecitazione sonora, comincia a vibrare. Del resto, era figlio di Vincenzo Galilei, uno fra i massimi teorici musicali – termine con cui s’indicava non il semplice suonatore di qualche strumento, ma chi conosceva la teoria legata all’arte dei suoni – e membro della Camerata Fiorentina, storico cenacolo di letterati e musicisti al cui interno, sul finire del Cinquecento, era nato il melodramma.
Il cannocchiale protagonista del suo tempo
Al di là delle suggestioni letterarie esercitate dallo scenario celeste, è comunque il cannocchiale – autentico emblema della modernità fin dalla sua invenzione – a godere di un’attenzione privilegiata nelle arti figurative, nella poesia e pure nel melodramma. Il primo a prendere atto della rivoluzionaria scoperta fu Ludovico Cigoli, amico di Galileo: dipingendo nel 1612 la Luna sotto al piede dell’Immacolata Concezione (nella cupola della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore a Roma), la rappresentò con la stessa superficie accidentata e il medesimo gioco di luci e ombre delle tavole galileiane.
In quegli stessi anni, poi, si verificò un’incredibile fioritura letteraria attorno al cannocchiale, che aveva acceso d’entusiasmo i maggiori poeti. Nei loro versi si trovano inequivocabili riferimenti all’invenzione galileiana e a quello che permetteva di osservare: basterebbe ricordare Giambattista Marino che nel poema Adone, pubblicato nel 1623, cita “un picciol cannone e due cristalli”, descrivendo come si usa l’”ammirabile stromento”.
Pure il neonato melodramma non si sottrasse al fascino della nuova scoperta. Nell’opera Diana schernita (1629) su musica di Giacinto Cornacchioli e libretto di Francesco Parisani d’Ascoli – una favola mitologica, secondo le consuetudini dell’epoca – compare un esplicito riferimento al cannocchiale. Già in una didascalia introduttiva al terzo atto si legge come il pastore Endimione avesse ricevuto da Diana, dea della Luna, un “occhialone dorato” che gli consentiva di rimirarla in cielo. Poco dopo è invece lo stesso Endimione a descrivere in modo assai preciso lo strumento:
ed accioché la notte
tu possi vagheggiare il puro argento
del volto immaculato,
ecco già [Diana] t’ha donato,
composto di sua man, questo stromento,
[…] questo cannone aurato,
fatto in forma di piva,
ch’appena al cinto arriva,
da capo a piè di doi cristalli ornato.
Da queste basse valli,
mentre l’aer s’imbruna,
per mirar la mia luna
scorciar potrò longhissimi intervalli.
Il cannocchiale nelle arti dei secoli successivi
In anni successivi il cannocchiale avrà un ruolo determinante in numerosissime opere: le più note sono quelle sul tema del Mondo della luna messe in musica da Galuppi, Haydn, Paisiello e Piccinni, che utilizzano – pur sottoponendolo a una serie di modifiche – l’omonimo libretto scritto nel 1750 da Goldoni. Ma in questi casi lo strumento scientifico, della cui importanza esisteva ormai piena consapevolezza, aveva perso ogni carattere di novità, fornendo solo un pretesto nel marcare la distanza fra personaggi retrivi e ancorati a un vecchio mondo da quelli colti e aperti al nuovo.
Tuttavia, nella Diana schernita non veniva mai menzionato esplicitamente Galileo. In quest’opera, infatti, il desiderio di nuove scoperte non produce esiti positivi: tramutato in cervo, Endimione verrà ucciso dai pastori e dalle ninfe. Per Galileo d’altronde era imminente, dopo numerosi avvertimenti più o meno velati, un nuovo e definitivo verdetto del Sant’Uffizio (l’atto di abiura è del 1633): nella sua versificazione, il librettista aveva scelto la prudenza.
Nei secoli successivi furono molti gli uomini di teatro a ispirarsi a Galileo, con particolare attenzione alla sua vicenda umana. È stato però Bertolt Brecht, in Vita di Galileo (testo dalla stesura tormentata, rimaneggiato fino al 1956), a offrirci la più appassionante riflessione sugli effetti dell’oscurantismo di cui fu vittima lo scienziato. E sulla scia del grande drammaturgo tedesco nasceranno poi le opere musicali del rumeno Corneliu Cezar (1964) e dello svizzero Michael Jarrell (2005).
Il cannocchiale nella musica contemporanea
Nel 2001 si discostò invece da Brecht – per basarsi su una puntuale ricostruzione a partire dall’epistolario – lo statunitense Philip Glass, musicista con studi di matematica alle spalle e che ha dedicato altre opere a importanti scienziati. Il libretto del suo Galileo Galilei, scritto insieme alla regista Mary Zimmerman, è improntato a un’ottimistica visione della scienza ed esalta il piacere della ricerca, senza paura di addentrarsi in dettagli tecnici e lasciando in secondo piano le ambiguità dell’uomo.
L’opera procede come una pellicola cinematografica avvolta al contrario: prende le mosse da Galilei studioso ormai celebre per arrivare al Galileo bambino, intento ad assistere a un’esecuzione musicale del padre Vincenzo. Utilizzando la forma dialogica (il modello è il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo) viene descritta, oltre alla scoperta del cannocchiale, l’esperienza del piano inclinato, condotta dallo scienziato per spiegare la caduta dei gravi. È poi riportato l’episodio, fra realtà e leggenda, di Galileo che in chiesa osserva le oscillazioni di una lampada (mentre il sacerdote, nell’omelia, propugna le idee di Aristotele sull’immobilità della Terra) e, notandone l’andamento pendolare, ne misura il tempo aiutandosi con il battito del polso della figlioletta, in modo tale da calcolare la durata delle pulsazioni. L’epilogo, teatralissimo e suggestivo, è invece di pura fantasia: s’immagina la rappresentazione di un’opera attribuita a Vincenzo Galilei – il quale, peraltro, non scrisse mai melodrammi – dove il piccolo Galileo, in sala ad assistere al lavoro del padre, utilizza il programma della serata arrotolato a mo’ di cannocchiale per osservare meglio la scena. Un gesto premonitore del suo futuro e degli sviluppi della scienza.
Referenze iconografiche: Lea Rae/Shutterstock