Notizie dalla Siria
La fine del regime di Bashar al-Assad dopo anni di guerra civile
Nel dicembre 2024, il regime di Bashar al-Assad in Siria è crollato in pochi giorni, travolto da un’offensiva di gruppi ribelli islamisti.
Questo evento segna la fine della sanguinosa guerra civile scoppiata nel 2011 e di oltre cinquant’anni di dominio della famiglia Assad.
Il regime, che ha resistito per anni grazie al supporto di Russia, Iran e della milizia libanese Hezbollah, con la guerra in Ucraina e il conflitto regionale scoppiato in Medio Oriente dopo il 7 ottobre 2023, ha visto venir meno il sostegno dei suoi alleati.
La caduta di Assad e l’instaurazione di un nuovo governo apre ora una nuova fase per la Siria.
Tra novembre e dicembre 2024, nel giro di circa 10 giorni, il regime del dittatore siriano Bashar al-Assad è caduto a fronte dell’avanzata di una coalizione di gruppi armati ribelli. L’offensiva fulminante dei gruppi di opposizione islamisti, provenienti dalla città di Idlib, loro roccaforte nel nord del Paese, è penetrata nei territori controllati dai soldati del regime senza che ci fossero scontri particolarmente violenti.
«Dopo 54 anni al potere, il terribile regime degli Assad si è sgretolato come una fragile statua di sale» ha commentato il quotidiano arabo “Al-Quds Al-Arabi”. La presunta solidità del regime, che da quasi un decennio aveva riacquisito il controllo di gran parte del territorio del paese, si è rivelata illusoria.
Un oppositore siriano sventola la nuova bandiera della Siria. I gruppi armati ribelli hanno adottato la bandiera usata nei primi anni dell’indipendenza della Siria dalla Francia, per prendere le distanze dal regime di Assad.
(Mohammad Bash/Shutterstock)
La caduta della capitale Damasco e la fuga, l’8 dicembre 2024, di Assad verso Mosca, in Russia, si riallacciano a un capitolo della storia mediorientale che in molti avevano considerato archiviato: la stagione delle “primavere arabe”.
Il termine “primavere arabe” indica una serie di rivolte scoppiate tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 contro i regimi dispotici al potere in diversi Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa per chiedere maggiori libertà, riforme sociali e una redistribuzione più equa delle ricchezze. Alcune sono riuscite nell’intento di cacciare dittatori che governavano da decenni. È il caso, per esempio, di Ben Ali in Tunisia, il primo paese a essere interessato dalle proteste, e poi di Mubarak in Egitto e di Gheddafi in Libia. Tuttavia, in molti casi le rivolte non hanno portato alla nascita di istituzioni democratiche.
Nel 2011, sull’onda di queste rivolte, nella cittadina siriana di Daraa alcuni studenti scrissero sul muro di una scuola «È il tuo turno, dottore», alludendo ad Assad, soprannominato “dottore” per la sua laurea in oftalmologia.
Era l’inizio del capitolo siriano delle “primavere arabe”.
La repressione brutale delle proteste da parte del regime chiuse fin da subito qualsiasi spiraglio di negoziato con i contestatori e la rivolta si trasformò ben presto in una guerra civile. Si stima che 100.000 persone siano scomparse nelle mani degli apparati di sicurezza del regime, la cui famigerata prigione di Sednaya rimane forse il luogo più rappresentativo.
Nel 2013 l’esercito siriano arrivò a usare armi chimiche contro i propri concittadini. La guerra divenne ben presto una delle più sanguinose della storia moderna.
L’Onu ha fatto sapere di non essere più in grado di mantenere il conteggio dei morti dopo che questi avevano superato la soglia di mezzo milione. Milioni sono stati inoltre i rifugiati fuori dal Paese, che hanno provocato una crisi migratoria con forti ripercussioni anche in Europa.
Ben presto Assad dovette ricorrere al sostegno di attori esterni per riuscire ad arginare la rivolta nel Paese. Con l’apporto delle forze aeree della Russia di Putin, il sostegno sul terreno della milizia sciita libanese Hezbollah, e l’appoggio dell’Iran, il regime riprese il controllo di buona parte del territorio, con alcune eccezioni: la regione del Rojava nel nord-est, abitata dalla minoranza curda, una striscia di terra occupata dalla Turchia vicino al proprio confine durante il conflitto, e la roccaforte di Idlib da cui nel 2024 è partito l’assalto dei ribelli, guidati dal gruppo HTS (Organizzazione per la Liberazione del Levante) di Ahmed al-Sharaa, detto al-Jolani. Proprio al-Jolani ha preso le redini del paese dopo la caduta del regime.
Una donna siriana cammina tra le macerie di Aleppo, una tra le città più colpite dai bombardamenti russi.
(Orkham_Azim/Shutterstock)
Che cosa ha riaperto i giochi di una guerra che per anni era sembrata congelata, in una Siria divisa ma in cui il regime aveva cercato di ricostruire una precaria stabilità?
Per capirlo serve guardare ai fattori internazionali. Con la guerra in Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, le risorse che la Russia poteva dedicare alla protezione di Assad sono diminuite. Il 7 ottobre 2023 l’attacco di Hamas a Israele da Gaza ha scatenato un conflitto che ha subito assunto una scala regionale. Hezbollah è entrata in guerra contro lo Stato ebraico, ritrovandosi un anno più tardi con buona parte del suo apparato militare polverizzato. L’Iran si è indebolito.
Il regime siriano, da alcuni anni già afflitto da una durissima crisi economica e stretto nella morsa delle sanzioni occidentali, si è ritrovato sguarnito di alleati esterni. L’offensiva dei ribelli ha così potuto mettere fine a oltre mezzo secolo di dominio degli Assad sul paese.
Ora la Siria ha davanti grandi sfide: in primo luogo garantire una convivenza pacifica tra i diversi gruppi etnici e religiosi che la abitano, al tempo stesso avviare una progressiva ricostruzione che risollevi il paese dalla profonda crisi economica provocata da anni di guerra civile.