Per tutto il 2025, la Striscia di Gaza ha vissuto tra fame e bombardamenti, mentre in Cisgiordania sono aumentati gli scontri e gli insediamenti israeliani. Per mesi i tentativi di mediazione della comunità internazionale e la mobilitazione della società civile in molti Paesi non sono riusciti a fermare la guerra a Gaza.
Finalmente, all’inizio di ottobre, è stato firmato un accordo per la pace, che però appare ancora molto fragile.
La situazione nella Striscia di Gaza è drammatica
Dopo la tregua del gennaio del 2025, Hamas ha liberato alcuni ostaggi israeliani e Israele ha lasciato entrare a Gaza più aiuti umanitari. Sembrava l’inizio di un periodo di maggiore calma, ma la tregua è durata poco: già a marzo i bombardamenti israeliani sono ricominciati con grande intensità.
L’estate è stata tra le più dure dall’inizio della guerra nell’ottobre 2023. Le operazioni militari israeliane hanno colpito sia Gaza City sia il sud della Striscia, costringendo centinaia di migliaia di persone a lasciare le loro case. Migliaia di famiglie palestinesi vivono ora in tende o rifugi di fortuna, senza servizi essenziali.
A Gaza quasi tutta la popolazione soffre la fame: un rapporto dell’OMS dell’agosto del 2025 ha parlato apertamente di una condizione di carestia. Mancano cibo, acqua potabile, medicine e ripari sicuri. Migliaia di bambini sono gravemente malnutriti e tanti ospedali non riescono a curare i pazienti perché i medicinali sono finiti.
Nell’agosto e nel settembre 2025 Israele ha distrutto diversi edifici residenziali: i bombardamenti hanno causato centinaia di morti, tra cui molti civili. Alcuni di loro sono rimasti uccisi mentre erano in fila per ricevere aiuti umanitari, in attesa di cibo e acqua. Queste stragi di civili hanno colpito profondamente l’opinione pubblica di tutto il mondo.

Aiuti per la popolazione di Gaza lanciati tramite paracaduti dagli Emirati Arabi Uniti.
In Cisgiordania gli scontri sono sempre più frequenti
Nel corso del 2025, mentre la guerra infuria a Gaza, anche in Cisgiordania la situazione è diventata sempre più tesa. La Cisgiordania è un territorio palestinese grande all’incirca come la Liguria: non ha sbocco sul mare e si trova a est di Israele. Qui vivono più di tre milioni di palestinesi, ma il territorio è controllato in parte dall’Autorità Nazionale Palestinese e in parte dall’esercito israeliano.

Nel corso del 2025 gli scontri tra israeliani e palestinesi sono aumentati. Quasi ogni settimana l’esercito israeliano entra nelle città e nei villaggi palestinesi col pretesto di arrestare militanti di Hamas; scontri e sparatorie sono all’ordine del giorno e, accanto ai combattenti, vengono uccisi anche molti civili.
Un punto centrale della tensione riguarda gli insediamenti dei coloni israeliani. Gli insediamenti sono quartieri e villaggi costruiti da famiglie israeliane, con l’aiuto dell’esercito, all’interno della Cisgiordania. Negli ultimi mesi del 2025 il governo israeliano ha approvato nuovi progetti di costruzione. Per i palestinesi questo significa perdere case, campi coltivati e anche interi villaggi, e vedere fortemente limitata la libertà di movimento.
La vita delle comunità palestinesi della Cisgiordania è sempre più difficile: spostarsi da un villaggio all’altro richiede ore di attesa ai posti di blocco; la raccolta delle olive, che per tante famiglie è la principale fonte di reddito, è stata interrotta più volte a causa degli scontri con i coloni.

Hebron: un check point sorvegliato da militari israeliani, che controllano gli spostamenti della popolazione palestinese.
Tentativi di pace e nuove violenze
Alla fine di luglio del 2025, a New York, si è tenuta una grande conferenza internazionale per rilanciare la cosiddetta “soluzione dei due Stati”: l’idea, cioè, di avere uno Stato israeliano e uno Stato palestinese che possano vivere fianco a fianco in pace. In questa prospettiva, a settembre la Palestina è stata riconosciuta formalmente come Stato anche da Canada, Australia, Regno Unito, Portogallo e Francia; così oggi sono 152 i Paesi che hanno ufficializzato questo riconoscimento, mentre altri – come Stati Uniti, Italia e Germania – al momento si rifiutano di farlo.
Intanto, in Israele è cresciuto il malcontento interno: molte famiglie degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas sono scese in piazza in segno di protesta, insieme a decine di migliaia di persone, accusando il governo di non fare abbastanza per riportarli a casa. Il primo ministro Benjamin Netanyahu mantiene una linea dura, ma è sempre più contestato, sia dall’opposizione politica sia da una parte della società civile.
Nel frattempo, nel settembre 2025 la violenza non si è fermata neanche fuori da Gaza. A Gerusalemme un attentato contro un autobus ha causato numerose vittime, aumentando la paura tra la popolazione israeliana. E, poche ore dopo, l’aviazione israeliana ha bombardato in Qatar il palazzo dove erano riuniti alcuni leader e negoziatori di Hamas.

Le recenti proteste anti-governative in Israele.
La Global Sumud Flotilla
Sempre nel settembre del 2025 si è compiuta un’iniziativa organizzata dalla società civile internazionale che ha attirato l’attenzione del mondo: la Global Sumud Flotilla (sumud è una parola araba che in italiano può essere tradotta come “resistenza”, “perseveranza”), una flotta composta da oltre sessanta imbarcazioni private provenienti da porti di diversi Paesi affacciati sul Mar Mediterraneo, Italia compresa, che è partita con l’obiettivo di raggiungere Gaza per portare aiuti umanitari.
Dopo alcune settimane di navigazione la Global Sumud Flotilla, ormai vicina alle coste della Striscia di Gaza, è stata intercettata dalle navi militari israeliane: gli attivisti (tra cui Greta Thunberg) sono stati arrestati e poi espulsi. L’iniziativa, in ogni caso, ha rappresentato un segnale di come le persone comuni, in molte parti del mondo, continuassero a mobilitarsi, sperando nella fine della guerra.

Porto di Barcellona: una delle imbarcazioni della Global Sumud Flotilla.
L’accordo di pace
Un accordo è arrivato pochi giorni dopo, grazie alla mediazione di Stati Uniti, Qatar, Turchia ed Egitto. L’8 ottobre 2025, a Sharm el Sheikh in Egitto, Hamas e il governo israeliano hanno sottoscritto un piano di pace proposto dal presidente statunitense Donald Trump. L’accordo prevede, oltre al cessate il fuoco, la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora tenuti prigionieri da Hamas e la restituzione dei corpi degli ostaggi morti, e la scarcerazione di molti prigionieri palestinesi detenuti da Israele.
Altri impegni presenti nell’accordo, in particolare il disarmo di Hamas e il ritiro completo dell’esercito israeliano dai territori palestinesi, appaiono molto fragili e potrebbero non essere attuati. Così come non è chiaro come sarà organizzata in futuro la Striscia di Gaza e come si sosterrà la sua ricostruzione: decine di migliaia di edifici sono stati danneggiati dai bombardamenti o rasi al suolo.
Inoltre le violenze non si sono fermate del tutto: anche dopo l’accordo ci sono stati attacchi da parte di miliziani di Hamas e bombardamenti da parte dell’esercito israeliano. La pace è ancora fragile.
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