Una rete di relazioni: umanità, natura, tecnologia

Alcuni spunti sulla letteratura dell’antropocene nel Novecento e negli anni Duemila

L’articolo propone alcuni spunti per far dialogare autori del passato e autori contemporanei intorno a grandi temi come l’umanità, la natura e la tecnologia: da Leopardi a Filelfo, da Calvino a Mancuso, da Pirandello ad Arpaia. Suggerimenti ideali per avviare delle discussioni di classe nelle ore di Educazione civica.

Uno dei più diffusi problemi degli insegnanti di Italiano nell’ultimo anno del triennio della scuola superiore è il tempo: spesso risulta infatti difficile includere nel programma di studi di letteratura gli autori e le autrici del secondo Novecento o degli anni Duemila. Una buona pratica che abbiamo sperimentato e ci sentiamo di suggerire è quella di proporre alle studentesse e agli studenti, a partire dal terzo anno, la lettura di passi o di testi integrali contemporanei, che per ragioni di tema, forma, ispirazione possano essere messi in dialogo con i testi del passato. Su temi molto attuali e sentiti dalle giovani generazioni – come il rapporto umanità-natura e lo sviluppo accelerato della tecnologia – si possono per esempio individuare interessanti relazioni tra gli autori classici e le voci del presente. Nelle righe che seguono vorremmo offrire alcuni spunti utili per le discussioni in classe nelle ore di letteratura e di Educazione civica.

1. Gli esseri umani, gli animali

Iniziamo dal rapporto degli esseri umani con gli animali, che sono stati per secoli considerati strumentalmente come esseri privi di sensibilità e del tutto asserviti all’uomo (usati cioè come veri e propri attrezzi da lavoro, strumenti di difesa o cibo di cui nutrirsi). Uno sguardo diverso, più empatico e rispettoso, si può osservare nell’opera di Giacomo Leopardi che, dotato di un’anima sensibilissima, sino dall’infanzia prova un’istintiva compassione per gli animali esposti alla sofferenza tanto quanto gli esseri umani. In un passo dei Ricordi d’infanzia e di adolescenza, per esempio, egli racconta il proprio sgomento di fronte a un ragazzetto che acchiappa una lucciola per il solo gusto di schiacciarla al suolo («io domandava fra me misericordia alla poverella l’esortava ad alzarsi ec. ma la colpì e gittò a terra»), mentre nelle Operette morali (1827), scritte dopo la svolta filosofica del 1824, introduce anche gli animali nel proprio sistema filosofico radicalmente negativo. La partecipazione sensibile di Leopardi alla sofferenza universale non viene mai meno, come testimoniano tra l’altro gli ultimi versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia («forse in qual forma, in quale / stato che sia, dentro covile o cuna, / è funesto a chi nasce il dì natale», vv. 141-143).

 

Suggerimento didattico: da Giacomo Leopardi a Filelfo

In riferimento a questo aspetto della riflessione leopardiana, può essere interessante proporre a studentesse e studenti la lettura integrale di una favola allegorica moderna, L’assemblea degli animali (2020), opera in cui lo scrittore italiano contemporaneo che ha scelto per sé lo pseudonimo di Filelfo racconta il fallimento del controllo della natura da parte degli esseri umani. All’inizio della vicenda tutte le specie animali della Terra, allarmate per il comportamento dell’umanità, distruttivo per sé e per gli altri esseri viventi, si riuniscono in assemblea e giungono a deliberare di scatenare una pandemia per indurre gli esseri umani a cambiare. L’assemblea degli animali, in cui sono inseriti riferimenti al sapere universale, tratti dalle opere di filosofi, scienziati, poeti di ogni tempo, si conclude con un’apertura di speranza: sulla Terra comincia infatti ad affermarsi una umanità rinnovata, costituita da esseri ibridi, misti tra umani e bestie (i cosiddetti «animandri»), capaci di comprendere il proprio legame indissolubile con le altre creature viventi e di ricostituire la perduta armonia. Così infatti la gatta bianca li descrive al cane MoMo, da poco divenuto parzialmente umano: «Questi giusti si sono ricordati che i capelli, le foglie e le piume degli uccelli sono un’unica cosa […]. Si sono rivelati allo sguardo di noi bestie, […] anche se non ancora l’uno all’altro, assumendo la loro parte animale non solo dentro di sé. Alcuni di loro, trasformando anche la loro apparenza fisica, sono diventati animandri, sacri ibridi. Come te, ma seguendo il percorso opposto: mentre tu, da cane che eri, sei divenuto in parte il padrone che amavi, loro, da umani, sono diventati parzialmente animali, mescolandosi alla natura che hanno scoperto di amare» (Filelfo, L’assemblea degli animali, Einaudi, Torino 2020).

 

2. Le piante, gli alberi

 

Per quanto riguarda invece il mondo vegetale, verso il quale gli esseri umani rivolgono spesso uno sguardo distratto, come a una presenza scontata del paesaggio circostante, è Italo Calvino a offrirci alcuni interessanti spunti di riflessione. Calvino è uno scrittore che ha saputo anticipare importanti nodi della modernità, come:

  • l’urbanizzazione estrema e la cementificazione (La speculazione edilizia, 1958);
  • l’inquinamento urbano (La nuvola di smog, 1965);
  • il dilagare dei rifiuti, la perdita di identità dei luoghi, la bruttezza delle periferie (Le città invisibili, 1972);
  • lo smarrimento del rapporto autentico dell’essere umano con la natura (Marcovaldo, 1963).

Per Calvino, figlio di un agronomo e di una dottoressa in scienze naturali, quello degli alberi è uno spazio ideale, che permette libertà dalle inutili costrizioni e insieme partecipazione alla vita sociale. È l’utopia del Barone rampante (1957), in cui il sogno di una vita sugli alberi del giovane Cosimo Piovasco di Rondò non va inteso come una immersione totale nello stato di natura, ma è la scoperta di una possibile collaborazione tra l’umanità civile e le piante. Cosimo resta uomo ma impara a conoscere profondamente gli alberi, crea sistemi per evitare gli incendi, apprende le tecniche di potatura e così via (è «amico a un tempo del prossimo, della natura e di sé medesimo»). Il barone, che vive nel tempo delle rivoluzioni del Settecento, elabora una Costituzione che include tutti gli esseri viventi – esseri umani, animali, vegetali – per tutelarne i diritti: «Cosimo in quel tempo aveva scritto e diffuso un Progetto di Costituzione per Città Repubblicana con Dichiarazione dei Diritti degli Uomini, delle Donne, dei Bambini, degli Animali Domestici e Selvatici, compresi Uccelli Pesci e Insetti, e delle Piante sia d’Alto Fusto sia Ortaggi ed Erbe. Era un bellissimo lavoro, che poteva servire d’orientamento a tutti i governanti; invece nessuno lo prese in considerazione e restò lettera morta» (Italo Calvino, Il barone rampante, Mondadori, Milano 2006).

 

Suggerimento didattico: da Italo Calvino a Stefano Mancuso

La medesima idea di una “Carta dei diritti delle piante” è il filo conduttore di un breve saggio di Stefano Mancuso, intitolato La nazione delle piante (2019), che per il suo taglio divulgativo e il linguaggio accessibile può essere proposto ai ragazzi come lettura integrale. Mancuso immagina che gli alberi offrano all’umanità una Costituzione in otto articoli per costruire un futuro rispettoso di tutti gli esseri viventi. Così recita ad esempio l’ultima parte dell’articolo 8: «La Nazione delle Piante riconosce e favorisce il mutuo appoggio fra le comunità naturali di esseri viventi come strumento di convivenza e di progresso».

Mancuso confuta la versione semplificata e riduttiva dei darwinisti sociali di fine Ottocento, che presentavano il pensiero di Charles Darwin con la formula della lotta di tutti contro tutti in natura, nella quale solo il più forte sopravvive, e sottolinea invece l’importanza della reciproca collaborazione: «È la cooperazione o la competizione la vera forza trainante che decide il destino degli esseri viventi? Sebbene a prima vista sembri una questione cui non è facile rispondere – cooperazione e competizione convivono e indicare sempre e con chiarezza chi abbia la prevalenza non è semplice –, tuttavia è vero che la cooperazione ha una potenza generatrice superiore. […] Insomma, le piante sono maestre della cooperazione e attraverso alleanze e comunità sono riuscite a costruire società mutualistiche in qualunque ambiente della Terra. Il fatto che le simbiosi fra i vegetali siano così comuni è probabilmente legato alla loro impossibilità di spostarsi dal luogo in cui sono nate. In queste condizioni, costruire comunità stabili e cooperanti con gli altri individui con i quali ci si trova a dover condividere lo spazio vitale diventa una necessità. Non potendosene andare in giro a cercare ambienti o compagni migliori, una pianta deve per forza imparare a ottenere il massimo dalla convivenza con i suoi vicini. Quest’arte della convivenza la ritroviamo nella maggior parte delle relazioni vegetali. […]. Anche con l’uomo, sebbene non ce ne accorgiamo, le piante hanno iniziato da lungo tempo relazioni di cooperazione. La maggior parte delle piante che ci circondano nelle nostre case, nei parchi, negli orti, nei campi sono, infatti, specie che con la domesticazione hanno iniziato con noi uno speciale rapporto di cooperazione che a ragione può essere definito di simbiosi. Perché proprio questo è la domesticazione: una lunga relazione durante la quale due specie imparano a stare insieme e dalla quale ambedue traggono benefici» (Stefano Mancuso, La nazione delle piante, Laterza, Bari 2019).

 

3. La tecnologia

 

Nella prospettiva di una riflessione da compiere in classe sull’alienazione dell’umanità conseguente allo sviluppo tecnologico, può essere utile soffermarsi sui Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925) di Luigi Pirandello, un romanzo di cui si possono scegliere per le studentesse e gli studenti alcune pagine significative. Nell’opera, Pirandello rappresenta in modo fortemente critico l’avvento della modernità e polemizza con l’accelerazione della vita cittadina, nella quale gli esseri umani sono perennemente affaccendati e smarriscono la consapevolezza delle proprie azioni, irritandosi se qualcuno li costringe a porsi delle domande. Nel mondo moderno, secondo Pirandello, l’intellettuale è emarginato, l’arte perde la propria unicità e gli strumenti tecnologici sono assimilati a inquietanti mostri. L’uomo è ridotto a una «mano che gira una manovella» e la macchina da presa cinematografica di Serafino Gubbio, che quando è appoggiata sul suo supporto sembra un animale minaccioso (un «grosso ragno nero in agguato sul treppiedi»), vive al posto dell’uomo: vede attraverso gli occhi di Serafino, si muove sulle sue gambe, agisce attraverso la sua mano. Serafino crede di dare in pasto alla macchina la vita degli altri, ma si accorge che la sua stessa vita viene risucchiata dallo strumento; egli non è più padrone del suo corpo, né del suo cervello o del suo cuore, che alla macchina non servono: «Ecco, non sono più. Cammina lei, adesso, con le mie gambe. Da capo a piedi, son cosa sua: faccio parte del suo congegno» (Luigi Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, 3, III, in Tutti i romanzi, volume II, a cura di Giovanni Macchia, Mondadori, Milano 1996).

 

Suggerimento didattico: da Luigi Pirandello a Bruno Arpaia

La degradazione degli esseri umani, legata al tragico fallimento della rivoluzione tecnologica e alla scomparsa del sapere critico e del pensiero umanistico, è uno dei temi centrali del romanzo contemporaneo Qualcosa, là fuori (2016), di Bruno Arpaia. Si tratta di un climate fiction, un genere narrativo che proiettandosi in un futuro non troppo lontano immagina le conseguenze dei cambiamenti climatici. In questo caso intere masse di disperati sono costrette a emigrare dal sud Italia verso le regioni scandinave, ultime zone d’Europa ancora adatte a un insediamento umano, che si proteggono dall’invasione dei profughi attraverso una gigantesca fortezza. Il romanzo, che si fonda su una rigorosa conoscenza di fonti scientifiche e filosofiche, è costruito su due piani temporali:

  • il passato, in cui il disastro ambientale appare imminente ma forse ancora controllabile;
  • il presente, in cui il protagonista, lo scienziato Livio Del Mastro, ormai anziano, si ritrova in mezzo alla carovana di profughi che attraverso pianure arse, fiumi aridi e città abbandonate è diretta a nord.

 

Segni evidenti del declino dell’umanità sono – già nella parte del libro che riguarda il passato – l’arretramento della cultura, l’incapacità da parte delle nuove generazioni di decodificare i testi scritti e la totale inconsapevolezza critica. Così si esprime infatti una rinomata scienziata amica di Livio: «Ma vi rendete conto? Qui, ormai, siamo alla fine della civiltà della scrittura e tutti se ne fregano… Invece è una catastrofe, stiamo tornando indietro di centinaia d’anni e il mondo tira dritto come se niente fosse… […] il novanta per cento di quello che si spaccia per cultura è puro e semplice intrattenimento. Lodevole, a volte divertente, ma pur sempre intrattenimento. Invece la cultura è anche fatica, tempo, pensiero… E se l’86 per cento dei ragazzi praticamente non sa nemmeno leggere, vuol dire che a poco a poco perderemo pezzi, saperi, conoscenze… E torneremo indietro. Ma come fate a non preoccuparvi?» (Bruno Arpaia, Qualcosa là fuori, Guanda, Milano 2016).

Referenze iconografiche:  nexusplexus/123RF

Alessandra Terrile e Paola Biglia

Alessandra Terrile
Laureata in Lettere moderne indirizzo storico all’Università di Torino, dopo aver svolto per alcuni anni attività di ricerca accademica, Alessandra Terrile dal 1987-1988 è docente di italiano e latino presso il liceo scientifico Amaldi di Orbassano (TO). Per diversi anni ha tenuto corsi di scrittura agli studenti dell’Ateneo torinese. Da circa diciotto anni svolge attività editoriale come autrice di manuali scolastici di italiano, di vasta diffusione nella scuola. Dal 2011 svolge in tutta Italia attività di formazione e aggiornamento prevalentemente sui temi della poesia e della narrativa del Novecento, della scrittura e più in generale dell’insegnamento della letteratura.

Paola Biglia
Si è laureata in Lettere moderne indirizzo filologico moderno all’Università di Torino. Si è occupata di insegnamento agli adulti e di scrittura creativa. Dal 2000-2001 è docente di italiano e latino presso il liceo scientifico Amaldi di Orbassano (TO) e ha lavorato nella ricerca e sperimentazione di metodi didattici. Da circa tredici anni svolge attività editoriale ed è autrice, insieme con Alessandra Terrile, di manuali scolastici di italiano di vasta diffusione. Svolge attività di formazione e aggiornamento sull’insegnamento della letteratura.