Per me si va nella città moderna
“Attraversare le città letterarie” per riflettere sulla propria
In più, non perdete la videolezione del Professor Langella sulle Città invisibili di Italo Calvino.
Apprendimento e dati di esperienza
Nella “scorciatoia” precedente ho proposto un “caffè letterario” su quel particolare genere narrativo che è il romanzo di formazione. Stavolta immagino, invece, un percorso tematico sulla città moderna. Anche in questo caso, la scelta è caduta su un aspetto nevralgico e pervasivo della nostra comune esperienza. I dati di esperienza – giova ricordarlo – costituiscono sempre il miglior alleato per la condivisione di qualsiasi contenuto didattico e valgono per le conoscenze non meno che per le competenze e le abilità. Al contrario, è assai più difficile che possa scattare, nei ragazzi, l’interesse per un determinato argomento, quando non riescono a vedere quale legame esso possa avere con la loro vita. In ogni atto di conoscenza entra in gioco, anche senza volerlo, una componente, per dir così, utilitaristica, quella che si riassume nella domanda: a che mi serve? L’apprendimento avviene per sedimentazione di esperienze, passa attraverso un rimando continuo al bagaglio pregresso di ciò che abbiamo già imparato, verificato, accertato. Ogni nuova informazione viene passata al vaglio delle precedenti: se è simile a esse, consolida e arricchisce il bagaglio acquisito; se invece è incompatibile con quel che sappiamo, ci costringe o a respingerla come inattendibile o a rivedere le nostre certezze; se infine esula dalle nostre conoscenze ma non confligge con esse, ci induce a dilatare il perimetro del nostro sapere. Il patrimonio in crescita delle nostre conoscenze filtra automaticamente le nuove informazioni, confermandole, smentendole o scoprendole sulla base dei dati via via accumulati in maniera più o meno coerente.
Punti di innesco
Per sviluppare un “caffè letterario” sulle rappresentazioni novecentesche della città, suggerisco alcuni possibili punti di innesco.
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Il primo è la Divina Commedia, segnatamente l’Inferno, perché la descrizione della Firenze d’antan fatta da Cacciaguida nel XV canto del Paradiso, pur adattissima, si legge, di norma, nel quinto anno e ben poco farebbe guadagnare in termini di “scorciatoie” e anticipazioni. Tornano utili, invece, in termini di tempistica, la profezia di Ciacco, nel VI dell’Inferno, sulle lotte tra Bianchi e Neri che avrebbero lacerato la città all’inizio del Trecento e l’aspro diverbio con Farinata degli Uberti nel canto X, dove Dante avrebbe appreso, fra l’altro, del suo prossimo esilio.
I due episodi fanno emergere il volto politico della città. Il sommo poeta dipinge una Firenze «assalita» dalla «discordia», divenuta teatro di uno scontro implacabile tra due opposte fazioni. Coinvolto anche lui in quelle turbolenze intestine, mostra fino a che punto, accecati da «superbia, invidia e avarizia», i partiti che si contendono il potere possano dimenticarsi del bene comune. -
Se la manualistica facesse posto al genere, discretamente praticato tra Medioevo e Rinascimento, della laudatio urbis, sarebbe bello, poi, prendere le mosse da un brano delle Meraviglie di Milano di Bonvesin de la Riva, piuttosto che da una pagina della Descrizione della città di Roma di Cola di Rienzo o del Panegirico della città di Firenze di Leonardo Bruni. Ma è ben difficile che questi scritti entrino nelle antologie scolastiche, sacrificati ad altri più canonici per comprensibili ragioni di economia.
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Un aggancio più facilmente praticabile potrebbe offrirlo, invece La città del Sole di Tommaso Campanella, argomento cui si concede un po’ di attenzione nell’ambito della trattatistica secentesca. In quest’opera, com’è noto, si disegna una città ideale, dai contorni utopici, collocata non a caso nell’esotica isola di Taprobana. Il filosofo calabro illustra i princìpi fondanti, gli ordinamenti e l’organizzazione che regolano la vita comunitaria dei Solari.
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In alternativa, si può sempre far conto sulla novella boccacciana di Andreuccio da Perugia, che ci dà uno spaccato di Napoli e dei suoi abitanti, convenzionale quanto si voglia, ma tale da offrire un’ottima base di partenza per svolgere una riflessione sulle dinamiche e su certi risvolti indesiderati dei rapporti sociali in ambiente urbano. Più efficaci ancora, nello stesso campo d’osservazione (e fruibili, volendo, già in seconda), sono i capitoli milanesi dei Promessi sposi, dove avviene l’iniziazione alla vita adulta di Renzo. La Milano di Manzoni, tanto quella che il giovane protagonista maschile sperimenta durante i tumulti di San Martino, quanto quella che attraversa mentre infuria la peste, è in primo luogo la città della folla in preda alle passioni e degli incontri insidiosi, con gente sconosciuta, ipocrita e diffidente.
La moderna metropoli
La città in d'Annunzio e Marinetti
La massa anonima che affolla le grandi metropoli moderne è anche la prima immagine che ci viene incontro sfogliando i testi novecenteschi, appena voltate le spalle alle città di d’Annunzio, fastosamente mondane (Il piacere) o struggenti (Il fuoco), sul cui antico splendore d’arte e di storia stagnano ormai la desolazione (La città morta) e il silenzio (Elettra).
Di tutt’altra specie è la città futurista, vibrante, caotica e rumorosa, celebrata da Marinetti nel manifesto di fondazione del suo movimento (1909). Basterà sottoporre alla classe queste poche frasi: «Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi».
Come si vede, la città descritta da Marinetti è uno spazio antropico densamente popolato e pulsante di vita. I flussi della folla, che si spande ovunque come una marea, obbediscono a tre specifiche necessità: il lavoro, lo svago e le manifestazioni di piazza. Il paesaggio urbano è dominato dalle stazioni, dai cantieri e dalle fabbriche, che prendono il posto dei monumenti, dei musei e delle biblioteche. Il cielo sovrastante è come oscurato dal fumo che esce dalle locomotive e dalle ciminiere. Della città moderna viene posta in primo piano la vocazione industriale, affidata al ritmo febbrile della produzione a ciclo continuo, che non si ferma neppure di notte. È il trionfo della vita artificiale, di cui sono simboli non solo gli edifici ma anche l’illuminazione elettrica, che abolisce il chiaro di luna, modifica le abitudini e prolunga le attività.
La città in Rebora e Pirandello
Fanno eco alla visione di Marinetti, ma senza condividerne l’entusiasmo, Clemente Rebora nei Frammenti lirici (1913) e Luigi Pirandello nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1916, 1926). Rebora vive la città moderna, col suo frenetico attivismo, come sforzo titanico e peso opprimente, causa di ansie, malesseri e nevrosi. Si possono proporre, a scopo dimostrativo, i frammenti III, V, X, XXXIV, XLV. La civiltà contemporanea ha spezzato l’armonia che da sempre legava l’uomo alla natura. Incatenata ai suoi ritmi produttivi e schiava del dio denaro, la società ha sviluppato un bisogno spasmodico di sollievo, di liberazione, di orizzonti non solo materiali, per sottrarsi all’usura di un tempo alienato.
Dal canto suo, proprio in apertura dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Pirandello stigmatizza la civiltà delle macchine. Esse infatti, inventate e costruite dall’homo faber per il proprio benessere e la propria felicità, si sono trasformate nei suoi nuovi idoli, tiranniche e dominatrici. L’uomo, consegnatosi a esse, sta precipitando in un’attività febbrile completamente priva di senso, che può sfociare solo nello «stordimento» e nella «stupidità». Le macchine si stanno impossessando di tutto, perfino del nostro tempo libero, ci impediscono di pensare, rendono “superflui” i nostri sentimenti, ci divorano anche l’anima.
La città in Palazzeschi e Bontempelli
Quella, invece, che nello stesso giro d’anni ci propone, beffardo, Aldo Palazzeschi nella Passeggiata (testo poetico inserito nell’edizione 1913 dell’Incendiario) è la città commerciale dello shopping, che cerca di sedurre i passanti a colpi di insegne e di slogan pubblicitari, in una sequenza ininterrotta, babelica e frastornante, di messaggi. Peraltro, ad attraversarla sono due individui di cui non sappiamo nulla, figure anonime e senza volto, che tristemente testimoniano, nella loro totale inconsistenza, la condizione spersonalizzata dell’uomo delle metropoli.
La città degli affari torna, all’indomani della guerra, nella Vita operosa (1921) di Massimo Bontempelli, che si popola di pescecani, di vampiri e di parassiti cinici e spregiudicati, pronti a trarre profitto da ogni opportunità, godendo di coperture e protezioni. Centrale, in questo mondo, diventa la pubblicità, osannata come l’anima del commercio, in quanto capace di irretire i consumatori, generando miti e bisogni. Dove quel che conta è unicamente far soldi a palate, si afferma una morale utilitaristica sintetizzabile nell’assioma secondo cui «è meglio produrre che inventare, meglio vendere che produrre, e meglio far vendere che vendere».
Punti cardine su cui incentrare il caffè letterario in classe
A partire da questi testi, per molti versi provocatòri e quanto mai vicini all’esperienza che tutti abbiamo della vita cittadina, non dovrebbe essere difficile far decollare una fruttuosa discussione all’interno del “caffè letterario”. Volendo incanalarla affinché non vada perso nessuno degli aspetti salienti dell’universo urbano segnalati dagli autori fin qui citati, si potrebbe convogliare ordinatamente l’attenzione su questi punti:
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Il mondo artificiale, il rapporto con gli oggetti e il ruolo della tecnologia.
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Come si sono modificati la percezione e il rapporto con la natura.
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Lo sviluppo insostenibile e l’inquinamento.
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La vita organizzata: attività, servizi, consumi.
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L’accelerazione del tempo e l’espropriazione degli spazi di autonomia.
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Come cambiano i rapporti tra le persone quando non ci si conosce.
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Mutamenti antropologici: produrre, consumare, distrarsi.
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L’idolatria del benessere e della ricchezza: risvolti etici.
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La politica e la comunicazione nella società di massa.
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Disagi e disturbi (Freud ha parlato di Psicopatologia della vita quotidiana).
Oltre i primi anni del secolo: verso la città dei sogni
Gli autori del Novecento hanno spesso rappresentato, a tinte realistiche, le nostre città come si sono venute sviluppando sotto la spinta del progresso, del massiccio inurbamento, delle trasformazioni radicali verificatesi in campo economico e sociale, dei nuovi stili di vita. Quelli che ho citato finora sono stati, per così dire, i pionieri di questa tempestiva e lucida registrazione delle caratteristiche della città moderna. Si potrebbero allegare, naturalmente, tanti altri nomi e titoli di opere. Ne cito solo qualcuno, con beneficio d’inventario, per chi volesse allargare ulteriormente gli orizzonti e spingersi oltre i primi anni del secolo:
- L’uomo nel labirinto di Corrado Alvaro (1926);
- Ascolto il tuo cuore, città di Alberto Savinio (1944);
- Spaccanapoli di Domenico Rea (1947);
- Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini (1955);
- Quel pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda (1957);
- La nuvola di smog (1958) e Marcovaldo (1963) di Italo Calvino;
- Un amore di Dino Buzzati (1963);
- Dissipatio H.G. di Guido Morselli (1977);
e si potrebbe arrivare almeno fino ai Cannibali.
Ma la letteratura del Novecento non si è limitata a fotografare l’esistente. Proprio perché la metropoli moderna presenta, in termini di vivibilità, molti lati insoddisfacenti o senz’altro negativi, c’è chi si è preoccupato di immaginarne altre più a misura dei nostri sogni, un po’ come aveva fatto, all’inizio del Seicento, Tommaso Campanella nella Città del Sole.
La città in Vittorini e Calvino
In un “caffè letterario” sulle città di carta non devono assolutamente mancare due libri cruciali come:
- Le città del mondo (1969) di Elio Vittorini;
- Le città invisibili (1972) di Italo Calvino.
Per bocca di Rosario, un ragazzo che sa tenere la schiena dritta, sorretto da un fiero sentimento della propria dignità sebbene sia un semplice pastorello, Vittorini enuncia, nel cap. IV del romanzo, i requisiti che deve possedere una città per essere «la più bella città del mondo»: «Qui ciascuno dev’essere come se fosse un re o un barone. […] Con nessuno che può dargli del tu e trattarlo male. […] Con niente che sia costretto a fare o non fare per paura. Invitato alle feste di ogni casa. Accolto dovunque voglia entrare. Con ogni ragazza che lo può prendere per marito anche se è un povero capraio».
Calvino, più cauto, chiude l’«utopia discontinua» delle sue Città invisibili con un appello a «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno» delle nostre città invivibili, «non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». Se Vittorini con Le città del mondo ci fa riflettere sui requisiti che deve possedere una collettività umana per soddisfare i bisogni e le aspettative di ciascuno, il Calvino delle Città invisibili si preoccupa, dal canto suo, di suggerirci un metodo, empirico e paziente ma concreto e produttivo, per approssimarsi a quell’ideale.
Un semplice e interessante esercizio
Una volta ho voluto fare un esperimento coi miei studenti: ho chiesto loro di immaginare e descrivere, sul modello delle “cartoline” di Calvino, la loro città dei sogni. Il risultato è stato quasi sempre sorprendente. Provate anche voi: sarà un modo, oltre tutto, per educare i ragazzi alla cittadinanza attiva. In ogni caso, i due libri “utopici” di Vittorini e Calvino sollevano questioni di tale rilievo, da meritare un immediato confronto, ad esempio, su questi nodi:
- C’è qualcosa di bello nella tua città, che va preservato?
- Cos’è, invece, che vorresti cambiare?
- Quali sono le più gravi emergenze cui bisogna far fronte?
- Cosa ti manca di più?
- Pensi che sia possibile rendere la città dove abiti più conforme ai tuoi desideri?
- Come e con chi pensi di farlo?
- Come immagini la tua vita futura?
Guarda la videolezione di Giuseppe Langella
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