Motivare i giovani allo studio letterario oggi

Problemi e prospettive (parte seconda)

Pubblichiamo la seconda parte del saggio del professor Guido Baldi dedicato al tema della motivazione allo studio della letteratura; nel numero di novembre abbiamo pubblicato la prima parte.

La dimensione civile

Oltre a giocare sul piano soggettivo ed esistenziale, un modo per cercare di coinvolgere gli studenti nella lettura dei testi letterari, evitando al tempo stesso la chiusura nel privato, è puntare sulla loro attualità anche sul piano civile, della società, dell’economia, della politica: far vedere cioè come i testi del passato, al momento di essere scritti, non si collocassero affatto in una sfera astratta e separata dal vissuto della gente e dai problemi anche pratici, materiali, affrontati quotidianamente; e questo può far sentire quei testi ancora vicini a noi, ancora capaci di parlarci direttamente, nella misura in cui certi problemi travalicano la distanza temporale e sono riconoscibili ancora oggi. Due soli esempi: la feroce polemica di Dante contro i barattieri si può collegare alla corruzione attuale di una buona parte del ceto politico, alla prassi delle tangenti, che ha occupato tanto spazio nelle cronache di questi anni; parimenti lo sdegno di Dante contro l’avidità dei «subiti guadagni» che riscontra nel proprio tempo può far pensare all’avidità speculativa della grande finanza internazionale odierna, che è all’origine della terribile crisi in cui ci dibattiamo: sono problemi che non possono e non devono lasciare indifferente un giovane che si affaccia alla vita civile e magari è già chiamato a esercitare il diritto-dovere del voto. Contemporaneamente, però, devono risaltare le differenze tra il passato e l’oggi, in modo che il giovane sia strappato alla palude dell’eterno presente creata dal postmoderno e si abitui a vedere la realtà in una prospettiva storica, assuma coscienza del divenire delle formazioni sociali, economiche, politiche.

A questa forma di attualizzazione della letteratura del passato si oppone un grave ostacolo: l’estraneità effettiva di tanti giovani alla dimensione pubblica, il loro rinchiudersi nel bozzolo del privato che, a ben vedere, è un rifiuto della vita adulta e delle sue responsabilità. A questo contribuisce, certo, una componente oggettiva, la prospettiva dell’impossibilità di raggiungere attraverso il lavoro un’indipendenza economica, che è un basilare mezzo di maturazione personale. Per tale motivo diventa difficile coinvolgere l’interesse degli studenti attraverso le problematiche civili proposte dai testi, ma è una sfida che la scuola deve affrontare, se non vuole abdicare ai suoi compiti di formare il cittadino consapevole e responsabile. [...]

Il nozionismo

Se i test con le crocette presentano [...] gravi aspetti negativi quando vengono usati al livello dell’interpretazione, si può pensare che un loro campo legittimo di applicazione sulle opere letterarie sia quello dei meri dati: in realtà in tal caso dal dogmatismo si cade nel più squallido nozionismo, la peste della scuola d’un tempo, che si sperava definitivamente sconfitta, in nome di un’impostazione dell’insegnamento che facesse crescere intellettualmente i giovani e li conducesse alla maturità, sul piano culturale come civile (sarà un caso allora che la parola maturità, ambiziosa certo, ma rivelatrice di obiettivi alti nell’insegnamento, sia scomparsa dalla denominazione ufficiale di un esame in cui sono comparsi i test?). Penso che sia inequivocabile la distinzione fra nozionismo e nozioni. Tutti sono d’accordo nel riconoscere che le nozioni sono un’intelaiatura indispensabile a sorreggere le conoscenze, che senza di esse sarebbero inconsistenti e volatili, ma non valgono di per sé stesse, bensì solo se sono collegate a un discorso critico complessivo. Ad esempio sapere le date delle tre redazioni dei Promessi sposi di per sé, come dato isolato, è una nozione inerte, è sterile nozionismo, appunto; acquista un senso solo se quelle date sono inserite in un discorso più ampio sulle caratteristiche di quelle tre redazioni e sulle loro differenze di visione, di strutture narrative e di linguaggio, che le collochi nel contesto in cui matura il capolavoro manzoniano, in modo che valgano a chiarire il processo della sua elaborazione (qui allora non può che scattare il confronto delle interpretazioni [...]); così conoscere la data di pubblicazione del Piacere può avere una validità didattica solo se serve a situare l’opera nel percorso dello scrittore e a segnare una tappa della sua evoluzione, e magari se si tiene presente che nello stesso anno esce ancora un capolavoro della stagione verista come Mastro-don Gesualdo, in Francia comincia ad apparire in appendice uno dei più tipici romanzi naturalisti, La bête humaine di Zola, e al tempo stesso viene pubblicata l’opera che segna la reazione al naturalismo zoliano e costituisce il manifesto del romanzo psicologico, Le disciple di Bourget, mentre in Italia Svevo sta già scrivendo Una vita: in modo che dalla semplice cronologia risaltino i rapporti reciproci tra fondamentali correnti letterarie. Lo stesso si può dire degli aspetti linguistici, metrici e stilistici di un testo poetico, lessico, sintassi, figure retoriche, tipi di versi, strofe, rime e così via: l’indagine a tali livelli deve essere sempre finalizzata all’interpretazione, mai restare fine a sé stessa, altrimenti risulta arida e improduttiva, nella ricerca scientifica come nella didattica.

Anche il nozionismo è la negazione dello spirito critico, quindi il suo riprendere quota nella scuola attuale, attraverso strumenti didattici che si gabellano per “moderni”, “avanzati” e finalmente “oggettivi”, è un’altra insidia per la funzione democratica dell’insegnamento, che i docenti dovrebbero impegnarsi a combattere. Si può certo applicare un test a risposta chiusa per verificare semplicemente il possesso di certi dati da parte degli studenti o la conoscenza di aspetti linguistici, metrici e retorici, per poi passare al dialogo interpretativo di cui si parlava sopra, ma scindere troppo nettamente i due momenti può essere pericoloso, perché può spezzare quel legame tra nozione e discorso critico che deve sempre essere molto chiaro al discente: legame che risulta evidente e didatticamente produttivo solo se i due livelli, dati e interpretazioni, sono intimamente congiunti.

Nella didattica della letteratura un campo di applicazione dei test a crocette che può essere accettabile è la verifica della comprensione di un testo; ma non certo di un testo letterario, che è per sua natura polisemico, bensì di qualche testo che risulti abbastanza univoco da consentire un’unica risposta ai quesiti: è il caso di un articolo di giornale o delle pagine di un manuale. Un esercizio che può quindi riuscire utile è il test proposto per verificare ad esempio se e in che misura gli allievi abbiano capito il paragrafo di un quadro generale su un periodo, di un profilo di un autore, di un’analisi del testo, di un microsaggio, di un passo critico […]. Ciò non toglie naturalmente che poi il momento veramente formativo della didattica, quello che costituisce l’essenza del lavoro scolastico, debba essere costituito dal dialogo all’interno della classe come comunità interpretativa, di cui quel test deve essere solo una fase preliminare, costituire un punto di partenza, nella misura in cui fornisce la verifica della conoscenza, tramite il manuale, di una delle possibili interpretazioni di un problema o di un testo.

Il dialogo e la tradizione dell’Umanesimo

Quindi ciò che conta davvero a scuola non possono misurarlo i test: vale a dire lo spirito critico, la capacità di elaborare idee proprie e di individuare i punti deboli o l’insostenibilità delle tesi altrui. Tutto ciò può essere valutato solo attraverso il dialogo interpersonale, lo scambio fecondo tra docente e discente mediante la parola. Certo si corrono i rischi opposti dell’arbitrarietà soggettiva, che ha come corollario la disparità di valutazione tra insegnante e insegnante, ma è un prezzo che è necessario pagare, se si intende salvare il nucleo vivo della scuola, il dialogo appunto. E comunque, se si vogliono trovare rimedi per ovviare il più possibile all’arbitrio e all’eccessiva differenza dei giudizi, essi saranno quelli che portano a una maggiore omogeneità culturale del corpo docente, a una seria professionalità (fatte salve sempre la libertà e la ricchezza degli orientamenti personali), quindi tali rimedi hanno la base nella formazione degli insegnanti. Al contrario negli anni passati in ambito ministeriale si è parlato addirittura di abolizione delle prove orali alla maturità, conformemente alla prassi seguita da scuole straniere (e comunque già oggi il punteggio attribuito ai colloqui orali è inferiore a quello degli scritti). Con questa svalutazione della dimensione dialogica dell’insegnamento si dimostra la soggezione a modelli importati da altre tradizioni didattiche, una soggezione culturale che rivela una subalternità da colonizzati: mentre si dimentica proprio la nostra grande tradizione del dialogo, che risale alla civiltà dell’Umanesimo.

Referenze iconografiche: Gorodenkoff/Shutterstock

Guido Baldi

Ha insegnato Letteratura italiana contemporanea all’Università di Torino ed è autore di fortunati manuali scolastici pubblicati da Paravia. Si è occupato in particolare di narrativa otto-novecentesca, di teoria narratologica e di didattica della letteratura.