Luca Serianni studioso di lessico
Panorama della lessicografia italiana e spunti didattici
Nell’attività di ricerca e di studio di Luca Serianni l’attenzione al lessico e alla lessicografia è stata costante. Ripercorrere i suoi scritti principali sui due temi, spesso intrecciati tra di loro, può essere utile a tutte le docenti e a tutti i docenti che dedicano una parte del loro insegnamento al lessico e agli strumenti che lo descrivono, cioè i dizionari.
I primi scritti
Risalendo ai primi contatti di Serianni con questi temi, voglio ricordare la sua collaborazione, nel 1982, al Nuovissimo dizionario della lingua italiana diretto da Maurizio Dardano, per il quale curò gli inserti “extradizionario”, tra i quali c’era, significativamente, proprio il lemma “dizionario”. Si trattava di un dizionario di taglio scolastico e mi fa piacere immaginare che forse l’interesse dello studioso per i dizionari generali o dell’uso, rivolti soprattutto alle studentesse e agli studenti, abbia preso il via da quella prima esperienza.
Qualche anno più tardi, nel 1984, l’attenzione di Serianni si concentrò di nuovo sulla lessicografia, nel volume Teorie e pratiche linguistiche nell’Italia del Settecento: cito quel saggio perché, insieme a una serie di osservazioni sulle nuove creazioni settecentesche, sui dizionari dialettali e su quelli tecnico-scientifici, si manifestò in quell’intervento per la prima volta il suo interesse per la lingua della medicina, interesse che poi lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, arrivando, nel 2005, alla pubblicazione di Un treno di sintomi. I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente.
Il primo Ottocento e Il secondo Ottocento: l’attenzione alla didattica
Ma procediamo: tra il 1989 e il 1990 furono pubblicati due libri fondamentali non solo per la storia della lingua italiana, ma anche per la storia del lessico e dei dizionari nell’Ottocento: mi riferisco al Primo Ottocento e al Secondo Ottocento. In entrambi i volumi il quarto capitolo era dedicato alla lessicografia. Basta scorrere le pagine della seconda parte di queste opere, dedicata a un’antologia di testi, per verificare la ricchezza di osservazioni sui singoli termini, con un’attenzione che è la stessa sia per la lingua di poeti e scrittori sommi sia per l’italiano dei semicolti. Oggi siamo ormai abituati a considerare con la dovuta attenzione, grazie a Enrico Testa, il cosiddetto “italiano nascosto”; ma quei volumi, lo voglio ricordare, uscirono nel 1989 e 1990. E si concludevano con una sezione intitolata “Applicazioni ed esercizi”, di cui colpisce l’attenzione alla ricaduta didattica. Ho ricordato in altra occasione l’importanza e lo spazio che Serianni riservò sempre alla didattica, ma voglio citare quello che scriveva in apertura del primo dei due volumi: «Data la natura del presente testo, concepito in servizio del pubblico universitario, ci sembra opportuno suggerire alcune prove di verifica anche allo scopo di familiarizzare lo studente con i principali strumenti di lavoro di cui si serve lo storico della lingua». Quell’espressione, “in servizio del pubblico universitario”, esprime bene lo spirito col quale lo studioso curava i testi rivolti a quelli che restarono sempre i destinatari principali di tutto il suo lavoro: gli allievi, quelli ai quali, in una conversazione con Giuseppe Antonelli dichiarava di voler trasmettere “la passione” per la lingua italiana e per l’insegnamento.
Lessicografia e lessico negli anni Novanta
Riprendo il percorso cronologico, per citare il volume L’Italianistica, del 1992, curato da vari studiosi e varie studiose (da Francesco Bruni a Bice Mortara Garavelli, da Carlo Ossola ad Alberto Varvaro e altri): in quell’opera Serianni curò proprio il capitolo intitolato La lessicografia: un testo ancora prezioso per le osservazioni disseminate qua e là, sempre con nonchalance. Ne cito qualcuna: «Un diffuso pregiudizio vuole che i dizionari – in particolare i dizionari dell’uso – siano copie di dizionari precedenti. È una malignità non priva di fondamento». E poi, bonariamente, aggiungeva: «In generale un lessicografo […] tiene conto del lavoro già fatto con l’intento di perfezionarlo e, naturalmente, di arricchirlo con apporti originali: non sarebbe né realistico né auspicabile un dizionario creato ex nihilo, soltanto sulla base della competenza linguistica dei compilatori».
L’attenzione per il lessico continuò negli anni successivi nel capitolo dedicato alla Prosa nel primo volume della Storia della lingua italiana Einaudi (1993), diretta con Pietro Trifone: nella sua analisi della prosa affiorano continuamente osservazioni sul lessico: dai tecnicismi scientifici presenti nella Composizione del mondo di Ristoro d’Arezzo fino al volume degli Oscar Mondadori intitolato Italiana, dedicato a scrittori allora giovani, di cui lo studioso segnalava il disinteresse per qualsiasi tipo di prosa d’arte e il rifiuto di un lessico ricercato. Qualche anno dopo, nel 1997, Serianni tornò a dedicarsi a un autore allora giovane, Michele Mari, soffermandosi proprio sul suo uso particolare del lessico, sul suo “falso che arieggia l’antico”, sulla ricchezza sinonimica, sul lessico medico inserito nel romanzo La stiva e l’abisso (1991), sui regionalismi imprevedibili, sui popolarismi grafici tratti dal linguaggio dei fumetti, sugli americanismi presi dal doppiaggio dei film statunitensi. Mi sono soffermata su questo caso come esempio di un’attenzione di Serianni nei confronti di un autore che lo incuriosiva proprio «per il suo rompere la struttura tradizionale del romanzo, per il suo guardare in varie direzioni, senza rinunciare a nulla».
Nel 1994 Serianni si concentrò sulla lessicografia italiana contemporanea. Sorprendente l’attacco del saggio Panorama della lessicografia italiana: «Fino a una trentina d’anni fa la lessicografia italiana poteva offrire l’immagine d’una vecchia signora decaduta».
Per raccontare la storia del declino della “vecchia signora decaduta” Serianni era partito dal caso del Dizionario di Enrico Mestica del 1936, di cui scrisse che si trattava di «opera sottoposta a una frettolosa epurazione, come se bastasse censurare termini come fascista o littorio per rendere digeribile tutto il resto». E veniva riportata, da quel dizionario, la voce donna, per sottolineare che nell’edizione del 1959 la definizione era rimasta identica, salvo la soppressione grottesca del solo aggettivo fascista. La descrizione del panorama della lessicografia novecentesca continuava, con la descrizione delle contraddizioni presenti in alcuni dizionari pubblicati negli anni Cinquanta, anzi per citare le parole dell’autore, «nell’Italietta degli anni Cinquanta».
I giornali scuola di lessico?
Ogni scritto di Serianni sulla lessicografia, anche risalente ad anni ormai molto lontani, riserva sorprese e soprattutto elementi utili, operativi, per chi utilizza i dizionari nel proprio lavoro di docente. Ripercorrere tutte le opere nelle quali si è occupato di lessico e dizionari è quasi impossibile, per il numero dei contributi dedicati a questi temi. Non posso non citare, però, l’articolo intitolato “I giornali scuola di lessico?”, in cui l’interesse per il lessico e quello per la scuola si fondono, in una proposta concreta di lavoro sulla lingua dei quotidiani, con la presentazione di tre “assaggi” (questo il termine usato dallo studioso) diversi:
- la presenza nei giornali di parole rare nel linguaggio comune perché insidiate da sinonimi più correnti;
- il rinvenimento di termini relativi all’area semantica del ragionamento e della confutazione;
- la citazione di arcaismi o forme letterarie adoperate perlopiù con intento scherzoso o ironico.
«Un modello di lingua accurata ricca e varia che potrebbe essere portata ad esempio, per gli usi lessicali, ad uno studente italiano o straniero».
Due strumenti utili per lavorare in classe sul lessico
Ma voglio arrivare a citare due scritti che per chi si occupa (e occuperà in futuro) di lessico e dizionari resteranno il lascito generoso di Luca Serianni. Mi riferisco prima di tutto al volumetto Il lessico: di nuovo un’opera rivolta sia ai lettori comuni sia alle e ai docenti e alle studentesse e agli studenti, con capitoli nei quali di ogni parola si fa la storia e ogni parola descritta potrebbe servire come modello esemplare cui ispirarsi nella didattica.
Del resto qualche anno prima, nel 2016, Serianni aveva scritto il saggio intitolato “Ha un futuro il dizionario d’uso?”. Ebbene, in quel testo il professore aveva osservato: «Credo che il dizionario dell’uso possa resistere se si trasforma in libro di lettura e se assume decise caratteristiche di ‘dizionario d’autore’ […] mi piacerebbe una trattazione discorsiva, che non temesse di allargarsi a notazioni enciclopediche […] un dizionario che fornisca al lettore ciò che la rete non può dargli; e che, in particolare, offra alla scuola uno strumento specificamente tarato sulle esigenze di studio di un adolescente […] bisogna che il dizionario sia qualcosa di radicalmente diverso: da consultare, ma soprattutto da sfogliare attraverso una lettura distesa, sollecitata dalla curiosità che ai parlanti appena avvertiti, anche giovanissimi, suscita la riflessione sulla propria lingua». Come sempre, non si trattava di indicazioni teoriche: anche in questo caso, lo studioso ci ha lasciato tre voci modello alle quali è possibile ispirarsi per un lavoro in classe sul lessico (le tre voci sono cane, fare e flebile).
Luca Serianni ha continuato fino agli ultimi giorni a dedicare le sue energie al lessico e alla lessicografia: non solo attraverso la direzione del Nuovo Devoto-Oli ma anche attraverso le pagine delle grammatiche prima Pearson e poi Sanoma rivolte alle studentesse e agli studenti della Scuola secondaria di primo e secondo grado. In quelle pagine ha sparso generosamente spunti, osservazioni, argomenti che hanno aiutato e continueranno ad aiutare il lavoro di chi insegna e di chi impara. E anche di questo, oltre che di tutto il resto, il mondo della scuola gli sarà sempre grato.
Referenze iconografiche: Dabarti CGI/Shutterstock