La “società” delle parole

Famiglie, compagnie e amicizie speciali

Per usare al meglio il lessico è necessario rivelarne la “socialità”, ovvero mostrare i tanti legami formali e semantici tra tutte le parole della lingua. La scoperta di tali legami ha molteplici effetti benefici sulla rappresentazione del lessico nella mente di allieve e allievi e li aiuta nella scrittura.

Una famosa affermazione tradizionalmente attribuita a Stephen Krashen (per esempio in Serra Borneto 1998, p. 227), linguista e influente teorico della glottodidattica, recita che quando si va in viaggio ci si porta dietro non una grammatica, ma un vocabolario della lingua del luogo. Oggi questa affermazione andrebbe aggiornata alla luce delle nuove tecnologie, per esempio con “quando si è in viaggio si cercano in Internet non le regole grammaticali, ma le parole della lingua del luogo”; tanto la variante attuale quanto quella dell’epoca pre-Internet, comunque, suonano ragionevoli nel suggerire che il lessico è una componente della lingua più importante, per esempio, delle regole di formazione delle frasi, o almeno più utile di queste alla comprensione immediata.

I confini elastici tra il lessico, la sintassi e la testualità

Non bisogna immaginare, però, che esistano barriere nette tra il lessico, la sintassi e la testualità: innanzitutto il confine tra il lessico e la sintassi è elastico, come dimostrano le unità lessicali complesse, o unità polirematiche, come corsa campestre o carta di credito, o le costruzioni a verbo supporto, come dare ascolto, che trasformano un predicato verbale (ad esempio ascoltare) in un predicato nominale (dare ascolto). Spesso, inoltre, in un paese straniero si cerca in Internet non una singola parola, ma un sintagma (ad esempio, per decifrare il nome di un piatto in un menu italiano si potrebbe cercare all’amatriciana), una combinazione di parole (ad esempio, per lo stesso scopo, servito con patate) o una vera e propria frase (per esempio ci porta il conto?). Se poi spostiamo l’attenzione alle occasioni comunicative nella lingua madre, che facilmente riguardano questioni non emergenziali, quindi richiedono una verbalizzazione complessa, vediamo che lessico, sintassi e testualità si sovrappongono costantemente, tanto da rendere artificiosa (ma non per questo inutile: insegnare la lingua, del resto, è un’attività artificiosa, visto che l’acquisizione della lingua madre è spontanea e comincia molto precocemente) la loro separazione.

Nello scrivere una relazione, una sentenza, un post in un social network, uno slogan su uno striscione, le parole vengono alla mente già inserite in una costruzione sintattica, a sua volta inserita in un universo di senso che la motiva e le dà uno scopo (perché nessuno parla, e ancor meno scrive, senza avere uno scopo). Per esempio, se alla fermata dell’autobus saltiamo la fila, una persona arrivata prima potrebbe dire: «Mi scusi, ha saltato la fila», oppure: «Hai saltato la fila», o: «C’è la fila», o anche: «la fila» (e ancora altro). In una situazione del genere, riconoscere le singole parole non ci servirebbe per capire l’intento del parlante e rispondere adeguatamente: dobbiamo prima capire la stringa verbale nel suo insieme (lessico, sintassi e semantica della frase), poi incrociare il significato compreso con le informazioni fornite dalla situazione e dalla nostra conoscenza pregressa del mondo (testualità). Soltanto alla fine di questo processo ci renderemo conto che stiamo ricevendo un rimprovero e un invito a tornare indietro.

La metafora della casa

Potremmo, dunque, rappresentare simbolicamente il lessico come i mattoni della lingua. Rimanendo nella metafora, una casa fatta soltanto di mattoni non si tiene in piedi: ci vogliono i pilastri, le travi, il cemento ecc. (i legami sintattici, semantici e testuali). La casa stessa, inoltre, deve essere collocata stabilmente a terra e deve stare nella giusta relazione con la superficie del terreno, le altre case intorno, le strade, l’arredo urbano ecc. (i legami logici e convenzionali con il contesto, ovvero la coerenza e l’appropriatezza), altrimenti non potrà essere abitata e presto cadrà o sarà abbattuta. Proporre agli studenti e alle studentesse la memorizzazione di elenchi di parole nuove, pertanto, è come consegnare a un operaio mattoni così che questi li impili uno sull’altro, senza indicargli dove collocare la pila e senza fornirgli il materiale per poterli saldare gli uni agli altri per costruire una struttura solida. Una pila siffatta è destinata a essere abbandonata e consumata dalle intemperie. Fuori di metafora, le parole imparate isolatamente non verranno effettivamente usate e saranno presto confuse con altre o del tutto dimenticate.

Spiegare contemporaneamente tutti gli aspetti (o almeno quelli più delicati) di un testo rischia, però, di essere un’operazione dispersiva, perché da una parte ogni testo è un mondo a sé stante, quindi l’analisi specifica non consente di estrarre regole generali, dall’altra l’apprendimento richiede anche esercizio e ripetizione, quindi lo studente deve avere tanti esempi sui quali mettere alla prova le nuove conoscenze.

Se, allora, la spiegazione top-down, esplicita e settorializzata dei vari aspetti della lingua è necessaria per garantire un processo di apprendimento graduale e ordinato, insegnare il lessico deve rimanere un’attività integrata nello studio della lingua, strutturata come approfondimento contestualizzato, quindi sulla base della scoperta delle parole all’interno di testi, proposto potenzialmente in qualsiasi momento (perché ogni parola, anche la più comune, può aprire spiragli di nuova conoscenza). Tale approfondimento deve sempre puntare a rilevare non soltanto la forma (anche nel senso dell’ortografia e, volendo essere davvero meticolosi, dell’ortoepia) e il significato delle parole, ma anche la loro usabilità, in termini di appropriatezza e di regole di associazione con altre parole.

Verso una didattica “sociale” del lessico

Le parole di una lingua sono praticamente impossibili da contare, per cui impossibile (nonché inutile) sarebbe conoscerle tutte. È utile, però, conoscerne molte, per capire testi di tipi diversi e per farsi capire in molti contesti. L’obiettivo quantitativo a cui puntare alla fine dei tre cicli di scuola dovrebbe collocarsi tra i 15.000 lemmi (cioè parole nella forma di citazione, escludendo, quindi, le flessioni morfologiche) registrati nel Dizionario di base della lingua italiana (De Mauro, Moroni 1999), rivolto idealmente a ragazze e ragazzi di 8-11 anni, e i 30.000 lemmi registrati nel Dizionario italiano di base (Mari 2022), rivolto a tutta la famiglia.

La conoscenza di una parola, però, non si limita alla capacità di riconoscerne e riprodurne la forma e di spiegarne, o almeno di intuirne, il significato. Questa conoscenza, stancamente riproposta dai manuali di grammatica e persino da quelli di glottodidattica (che di solito sono più aperti alle esigenze dell’uso) con le etichette di “conoscenza implicita ed esplicita”, o con quelle di “conoscenza quantitativa e qualitativa”, è il risultato di una concezione nozionistica e accumulativa, che non rafforza la competenza testuale (che è la vera finalità dell’insegnamento scolastico dell’italiano). Per usare al meglio il lessico è necessario, invece, rivelarne la reticolarità, la “socialità”, ovvero mostrare i tanti legami formali e semantici tra tutte le parole della lingua. La scoperta di tali legami ha almeno tre effetti benefici sulla rappresentazione del lessico nella mente dello studente:

  1. aiuta la memorizzazione, perché crea raggruppamenti significativi, nei quali il recupero di ogni elemento è facilitato dalla presenza degli altri (in linea con il principio della memorizzazione delle informazioni in script di cui parlano Schank, Abelson 1977);
  2. definisce il significato delle singole parole non in isolamento, ma nella relazione con le altre parole;
  3. facilita la scelta delle parole appropriate, la costruzione delle frasi, la composizione dei testi.

I tre legami

Ci sono almeno tre legami che raggruppano le parole e possono essere sfruttati, alternativamente o anche intrecciandoli, per mostrare allo studente o alla studentessa una rappresentazione reticolare del lessico. Due di questi sono stabilmente presentati nei manuali di grammatica, ma rischiano di essere usati soltanto come dato informativo, conoscenza inerte, senza conseguenze sulla competenza testuale. Si tratta delle famiglie lessicali e dei campi semantici. Il terzo legame, che rimane fuori dalla portata dei manuali, ed è effettivamente più sfuggente, è quello delle collocazioni.

1. Famiglia lessicale

La famiglia lessicale è un rapporto associativo tra le parole basato sulla comunanza della radice. In italiano, questo principio generale interagisce con alcuni fenomeni il cui approfondimento può servire a migliorare l’uso delle parole:

  • l’allotropia (lavor-o ma col-labor-are, estrane-o ma stran-o);
  • il cambiamento causato da un processo fonetico interno alla parola (can-e ma cagn-a, luog-o ma s-log-are, civ-ile ma cittad-ino e, inoltre, città);
  • la coesistenza di radici latine e greche sinonimiche (acqu-a e idr-ico, cittad-ino e tendo-poli, onni-voro e pan-demia).

Far scoprire alle studentesse e agli studenti questi fenomeni può aprire una finestra sull’evoluzione storica del lessico e può favorire la comprensione del significato delle singole parole attraverso il confronto con le altre (si pensi alla familiarità tra lieve e lievito, già di per sé rivelatrice, ma estensibile ulteriormente all’anglismo levitazione e al francesismo antico leggero). Sul versante dell’ortografia, inoltre, associare collaborare a lavoro, accelerare a celere, meteorologia a meteora ecc. può servire a prevenire (senza ricorrere a esercizi mnemonici e meccanici) grafie come collabborare, accellerare, metereologia; similmente, evidenziare che leg- / legg- è una radice allotropica può prevenire leggittimo, leggislatura, leggiferare.

2. I campi semantici

Le famiglie si intrecciano con i campi semantici, che possiamo considerare la compagnia, il gruppo di amici e conoscenti gravitante intorno a una parola. Un campo semantico è «un microsistema di significati interrelati che struttura un’area dell’esperienza» (Assenza, Rossi, Ruggiano 2023, p. 127) e comprende sia parole dal significato simile (sinonimi) o confrontabile (iperonimi, iponimi e antonimi), sia parole semanticamente solidali, cioè che si attraggono a causa della coerenza dei rispettivi significati.

  • La sinonimia è un principio che stimola la riflessione sulla semantica, in quanto ciascuna parola ha necessariamente sfumature specifiche, che la distinguono in astratto dalle altre parole che le somigliano e, nel concreto, la rendono più o meno usabile, e persino usabile o no, in alcuni contesti. Nella coppia di aggettivi attraente e affascinante, per esempio, il primo indica la forza di una persona o un oggetto di attrarre l’attenzione di qualcuno, mentre il secondo rimanda al fascino, l’incantesimo che una persona o un oggetto lancia su qualcuno per ottenerne il controllo. Dal punto di vista dell’uso, potremo avere una persona attraente e una persona affascinante (con significati simili ma diversi); potremo, però, avere un’offerta attraente ma non un’offerta affascinante e, di converso, una storia affascinante ma non una storia attraente.

  • La sinonimia si intreccia, inoltre, con la diafasia, ovvero la variazione del registro; alcune parole dal significato molto simile, cioè, si distinguono perché sono appropriate a registri diversi: giusto ed equo, comprare e acquistare, rimandare e procrastinare… Ovviamente il registro a cui ogni parola è adatta si riconosce soltanto osservando i contesti in cui quella parola è usata; anche su questo versante, le parole, la sintassi e la testualità si influenzano vicendevolmente.

  • Anche l’antonimia, ovvero la relazione di opposizione tra due significati, deve essere valutata con attenzione: i termini delle coppie dal significato opposto mantengono sempre sfumature di significato autonome rispetto all’opposizione, quindi hanno ambiti d’uso non sovrapponibili, come per la sinonimia. Si pensi a pieno (con il significato di “sazio”), a cui non corrisponde certo vuoto, o grande (con il significato di “autorevole”, es. un grande statista), che non ha come antonimo piccolo.

  • Le parole semanticamente solidali, che, come si è detto, si attraggono perché i rispettivi significati si richiamano a vicenda (come storia e affascinante), co-occorrono frequentemente nelle frasi e nei testi; pertanto, più parole di un campo si conoscono, più sarà facile fare previsioni sulle parole usate in un brano e più sarà naturale trovare, in fase di scrittura, le parole giuste per costruire un testo. Per esempio, il campo semantico dello studio comprende parole come studio, libro, conoscenza, studiare, leggere, ripetere, approfondito, superficiale, intensamente e molte altre; non comprende parole come bottiglia, arrivare, caldo, amichevolmente. Ovviamente, non è escluso che alcune delle parole appena elencate appaiano in una frase o in un testo insieme a parole del campo semantico dello studio; se appare una delle parole di un campo, però, è probabile che ne seguano anche altre.

In virtù delle qualità descritte, le parole di un campo semantico sono alla base delle catene anaforiche dei testi (insieme agli aggettivi pronominali dimostrativi e possessivi e all’ellissi); sono, cioè, espressioni diverse che rimandano a un referente evitando le ripetizioni e contribuendo passo passo a identificarlo meglio.

È impossibile, per la verità, stabilire quante e quali parole rientrino in un campo, visto che ogni significato di un campo può essere a sua volta il centro di un altro campo, o di più campi, e così via (per esempio studio può entrare nel campo semantico della casa insieme a stanza da letto, ampio, abitare…, come anche in quello degli ambienti di lavoro insieme a professionista, legale, lavorare…). La teoria dei campi, pertanto, non deve essere considerata una classificazione conclusa e netta, ma è una possibile linea guida da seguire per ampliare il lessico in modo significativo, cioè aggiungendo gradualmente informazioni collegandole ad altre già possedute.

3. Le collocazioni

Così come tra gli amici nascono a volte legami speciali, particolarmente forti, all’interno del campo semantico nascono le collocazioni. Queste ultime sono combinazioni tra le parole che i parlanti usano più spesso di altre, per ragioni non sempre chiaramente spiegabili. Esempi di collocazioni sono apparecchiare la tavola, bandire un concorso, parcheggiare l’automobile, cogliere il senso, commettere un reato, un’amara sorpresa, una perdita irreparabile, un dolore lancinante, un’occasione imperdibile, perfettamente consapevole, particolarmente fastidioso... Le collocazioni dipendono da un certo tipo di solidarietà semantica tra le parole coinvolte, ma non si può prevedere quali parole diventeranno una collocazione né è possibile decidere se una combinazione sia una collocazione o no, visto che l’unica qualità che accomuna tutte queste espressioni è l’alta frequenza d’uso (quanto alta debba essere questa frequenza è quello che ho tentato di stabilire in Ruggiano 2018).

Non sorprende che i manuali di grammatica tralascino un concetto così difficile da definire, eppure esso torna utile per spiegare perché alcune soluzioni espressive tentate da studenti e studentesse non vanno bene senza ricorrere a categorie impressionistiche come suona male, è strano, non mi piace e simili (esempi adattati da Ruggiano 2011):

  • prendere firme (invece di raccogliere firme);
  • fare la stessa morte (invece di fare la stessa fine);
  • mezzi bruschi (invece di modi bruschi);
  • versare le proprie aspirazioni su qualcuno (invece di riversare le proprie speranze…);
  • cercare consulenza (invece di cercare aiuto);
  • andarsene per il proprio destino (invece di andarsene per la propria strada).

A volte l’espressione infelice nasce dalla sovrapposizione di due collocazioni simili: prendere una scelta (che ormai si è largamente diffuso) è il risultato della sovrapposizione di prendere una decisione e fare una scelta; assumersi le conseguenze deriva da assumersi la responsabilità più accettare le conseguenze; mettere al primo piano da mettere al primo posto più mettere in primo piano ecc.

Per lavorare in classe su questi temi, propongo un’attività in più passaggi basata sulla scoperta del campo semantico (e delle collocazioni) intorno all’aggettivo equo, particolarmente utile per capire le sfumature semantiche e, quando serve, i diversi livelli di formalità, dei sinonimi (per esempio equo/giusto).

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Fabio Ruggiano

È professore di seconda fascia al Dipartimento di Civiltà antiche e moderne dell’Università di Messina, nel quale insegna Linguistica italiana e Storia della lingua italiana. Ha insegnato italiano e linguistica in Libia e in America e ha scritto numerosi articoli e monografie sulla storia e sulla didattica dell’italiano. Con il prof. Fabio Rossi è fondatore e curatore della pagina di consulenza e informazione linguistica DICO.