Le difficoltà degli INVALSI

Gli studenti capiscono i testi?

Gli esiti INVALSI 2025 rivelano una situazione piuttosto preoccupante circa il livello di Italiano di studentesse e studenti. Per risopndere all'esigenza di lavorare in classe sulla comprensione dei testi, abbiamo recentemente pubblicato il volume Non ho capito, a cura di F. Caon, A. Brichese, G. Barone, A.V. Saura, di cui vi proponiamo un estratto.

Il tredicesimo anno della Newsletter Folio.net metterà a fuoco il tema della comprensione del testo, a partire dai risultati delle prove Invalsi 2025 e considerando le novità normative costituite dalla entrata in vigore, nel prossimo anno scolastico, delle rinnovate Indicazioni Nazionali per la Scuola secondaria di primo grado.
Gli ultimi due anni sono stati molto ricchi dal punto di vista della ricerca e hanno visto la presentazione dei risultati Invalsi 2025 e delle prove PISA 2024, ma anche lo svolgimento dell’indagine OCSE-PISA nel 2025.

La lettura dei risultati ottenuti da studentesse e studenti nelle prove INVALSI di Italiano (si può vedere il Rapporto Invalsi 2025 consultabile a questo link) «sembra confermare l’ipotesi di un effetto pandemico a medio-lungo termine sugli apprendimenti che appare tuttora ancora difficile da riassorbire».

Questa constatazione vale a livello di conclusioni generali, ma nello specifico si applica ai risultati di ciascuno dei livelli analizzati in particolare per le competenze in italiano: per esempio, per la scuola secondaria di primo grado «dopo un primo calo del risultato medio nazionale tra 2018 e 2021, si è registrata una sostanziale stabilità tra 2021 e 2023 (la differenza, infatti, non è statisticamente significativa). Nel 2024 e nel 2025 si osservano punteggi medi nuovamente in contrazione. Questo andamento suggerisce un progressivo indebolimento degli apprendimenti in Italiano nel corso del tempo» (p. 48).

 

Analizziamo un po’ di dati

In particolare, considerando il Paese nel suo complesso e senza distinzioni tra macro-indirizzi di studio per le scuole superiori:

  • al terzo anno della Scuola secondaria di primo grado, il 58,6% di studenti e studentesse raggiunge almeno il livello 3 in Italiano, ossia il livello base definito dalle Indicazioni Nazionali, con una diminuzione rispetto all’anno precedente di 1,5 punti percentuali.
  • al secondo anno della Scuola secondaria di secondo grado, il 62,4% di studenti e studentesse raggiunge almeno il livello 3 in Italiano, facendo registrare una diminuzione di più 6 punti nel punteggio medio della prova rispetto al 2018.
  • all’ultimo anno della Scuola secondaria di secondo grado, il 51,7% di studenti e studentesse raggiunge almeno il livello 3 in Italiano, una quota inferiore rispetto a quella osservata per l’anno precedente di 4,8 punti percentuali e con un punteggio medio di più di 15 punti inferiore rispetto al 2019.

Dal quadro dei risultati emerge l’influenza di alcuni fattori preoccupanti:

  • disuguaglianze territoriali rilevanti, già evidenti nella Scuola primaria e ancora più marcate nei cicli successivi: molte regioni del Mezzogiorno mostrano valori più bassi, segnalando il permanere di una significativa frattura territoriale;
  • l’effetto del background socio-economico o di origine migratoria: già a partire dalla Scuola primaria studentesse e studenti di prima generazione conseguono complessivamente un esito inferiore rispetto ai compagni e alle compagne non di origine immigrata, la stessa cosa succede per le seconde generazioni. Le differenze si attenuano passando alla secondaria di secondo grado ma permangono.
  • differenze significative tra i vari indirizzi della Scuola secondaria di secondo grado: i licei mostrano risultati medi più elevati rispetto agli istituti tecnici e professionali ma si nota anche una gerarchizzazione interna agli stessi licei; questo fenomeno “rischia di rafforzare diseguaglianze già presenti nel sistema, compromettendo l’equità dell’offerta formativa”.

Un volume per lavorare in classe sulla comprensione del testo

In considerazione di questa sintetica analisi dei dati, Folio.net intende riconoscere «l’importanza del processo di comprensione dei testi (scritti e orali) come base per poter giungere all’autonomia dello studente (anche nel pensiero critico in generale in una prospettiva di lifelong learning)». Da qui la decisione di mettere a tema, come si trattasse di un filo rosso, la comprensione del testo della riflessione proposta ai docenti di italiano e di pubblicare un volume sul tema, dal titolo Non ho capito. Strategie e proposte didattiche per la comprensione del testo, a cura di F. Caon, G. Barone, A. Brichese, A.V. Saura (Sanoma 2025). Vi proponiamo di seguito un estratto (pp. 141-143) che approfondisce il ruolo dell’insegnante come facilitatore nel processo di apprendimento.

 

Facilitare la comprensione: il ruolo dell’insegnante

Per cogliere la prospettiva dell’insegnante come facilitatore dell’apprendimento, ci teniamo a fissare alcuni punti generali sull’apprendimento stesso:

  • l’apprendimento è “globale”, ossia coinvolge la sfera cognitiva, emotiva, affettiva, sociale;
  • l’apprendimento è un processo costruttivo, di integrazione di nuove informazioni con concetti preesistenti nella mente dello studente;
  • la qualità dell’apprendimento, in termini di persistenza nella memoria, è condizionata in senso positivo o negativo dalla motivazione; quest’ultima dipende in larga misura da fattori interni al soggetto quali, ad esempio, l’interesse, il piacere o il bisogno (cfr. Balboni 2018).

Su queste basi, il ruolo del docente si configura, appunto, come un facilitatore dell’apprendimento che:

  1. inizialmente attiva degli interessi, recupera e fa esplicitare quanto è conosciuto dalla classe e cerca dei collegamenti con quanto lui/lei conosce e propone;
  2. crea dei “bisogni” di conoscenza (attraverso, per esempio, il problem solving o compiti di realtà o, semplicemente, con domande aperte) nei suoi studenti con l’obiettivo di riorganizzare gli schemi mentali alla luce dei nuovi input interiorizzati;
  3. esplicita e fa inferire dei nuovi possibili legami di senso tra le informazioni presentate o emerse dallo scambio di idee;
  4. varia le risorse e le metodologie di lavoro al fine di porre attenzione ai diversi stili cognitivi e di apprendimento, alle differenti attitudini e intelligenze;
  5. è ricorsivo nella presentazione dei contenuti, ovvero ritorna più volte sui medesimi concetti ma con modalità di lavoro e tipi di compito diversi al fine di permettere agli studenti di compiere diverse operazioni mentali sui medesimi contenuti, creando ridondanza e facendo così emergere progressivamente dubbi e domande;
  6. orienta la lezione verso l’interazione piuttosto che verso il monologo. Secondo i principi del costruttivismo, «l’ambiente di apprendimento è caratterizzato da una condivisione di principi che sostengono un apprendimento attivo, costruttivo e collaborativo, nonché intenzionale e complesso, contestuale, conversazionale e riflessivo, in cui la costruzione della conoscenza avviene attraverso l’interazione e il riconoscimento delle caratteristiche di tutti i soggetti, la didattica è orientata all’azione e basata su un’esperienza linguistica olistica, centrata sullo studente e sulla consapevolezza dei processi. Inoltre, tutti gli apprendenti sono individui che portano in classe conoscenze ed esperienze diverse, che imparano in modo differenziato, unico e soggettivo. L’apprendimento, quindi, non ha tanto a che fare con la trasmissione e la ricezione del sapere, ma con il trovare un senso e un significato personale e significativo. Ogni studente è una persona unica e diversa, che da uno stesso stimolo impara cose personali e non uniformi» (Vettorel 2006, p. 93);
  7. integra risorse “tradizionali” con quelle “innovative”, legate, ad esempio, alla multimedialità e ipermedialità e al web come risorsa non solo per alcuni contenuti ma soprattutto per le possibilità di interazione e per sviluppare nuove motivazioni allo studio e strategie didattiche. L’ottica integrativa, da un lato, va incontro ai nuovi modi di elaborare le conoscenze dei “nativi digitali” e alle loro motivazioni intrinseche, dall’altro, non dimentica le forme consolidate di trasmissione e di costruzione del sapere. Le strutture maggiormente partecipative e collaborative legate al web e ai social network, in particolare, promuovono «la diffusione di una cultura partecipatoria dell’inclusione [e creano] comunità di apprendimento o di pratica in ambienti dove l’interazione e la collaborazione tra insegnanti-studenti porta alla condivisione e costruzione di conoscenze, abilità e prodotti innovando rispetto alla tradizionale attività di classe» (Di Sparti, Dell’Aria 2010). Sappiamo come il bisogno di “controllo” che sfugge nel momento in cui si affida alla tecnologia una funzione anche solo di supporto rende spesso scettici i docenti i quali, magari poco pratici nell’uso delle nuove tecnologie, temono di “smarrire il filo” nel labirinto di internet. Di Sparti e Dell’Aria (2010) ne riconoscono la possibilità e il rischio, proponendo però una chiave di lettura che è coerente con quanto sostenuto in questo volume: «rispetto alla pianificazione della lezione tradizionale pre-media diventano prioritarie l’interattività, la dinamicità (essere capaci di dare o sfruttare lo spunto o l’informazione al momento opportuno) e la modularità. Nell’insieme la nuova pratica didattica potrebbe sembrare frammentaria e disordinata; probabilmente lo è, ma l’insieme è giustificato dal principio costruttivista: è nell’implicito mentale e nella elaborazione individuale che le conoscenze si organizzano e trovano la loro omogeneità e sistematicità. L’asse della reticolarità digitale diventa luogo e alimento della conoscenza per i nuovi digital natives»;
  8. favorisce la socializzazione e la qualità delle relazioni in termini di fiducia verso l’altro dei pari. Tale attenzione all’aspetto “socio-relazionale” dell’apprendimento si realizza anche con l’utilizzo dei metodi a mediazione sociale (di cui parleremo più avanti) che rappresentano, a nostro avviso, la più coerente risposta operativa per facilitare sia la creazione di un gruppo classe coeso sia l’apprendimento significativo dei contenuti;
  9. valorizza la dimensione metacognitiva affinché studentesse e studenti possano gestire in autonomia, con consapevolezza ed efficacia, differenti strategie di studio;
  10. favorisce attività esperienziali, multisensoriali in cui il codice linguistico attraverso cui si passano i contenuti sia il più possibile integrato con codici non linguistici (per esempio, quello visivo grazie a immagini, disegni, film, grafici, mappe ecc. o musicale). Dal momento che è noto il valore dell’esperienza per facilitare l’apprendimento, offrire all’alunno/a la possibilità di appropriarsi di nuovi concetti attraverso la simulazione, la manipolazione, l’esperienza diretta, la sperimentazione attiva è funzionale ad agire sull’apprendimento sia a livello conscio che inconscio (Jensen 1994; Jacomuzzi 2023). Il valore dell’apprendimento inconscio è stato oggetto di vari studi (Jensen 1994), secondo i quali la gran parte di ciò che si apprende è incidentale, non consapevole.

 

Non ho capito

Strategie e proposte didattiche per la comprensione del testo

Fabio Caon, Gianluca Barone, Annalisa Brichese, Anna Valeria Saura

Il manuale, rivolto a docenti di ogni grado, fornisce strategie ed esercizi per migliorare le competenze di lettura e comprensione di studentesse e studenti; propone inoltre indicazioni metodologiche per adattare le attività per alunne e alunni con DSA e background migratorio.

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Referenze iconografiche: zhukovvvlad/Shutterstock

Massimiliano Singuaroli

È professore presso il Liceo scientifico Alessandro Volta di Milano. È curatore della newsletter Folio.net di Sanoma, rivolta a docenti di Italiano della Scuola secondaria.