Perché parlare di educazione alla cittadinanza, di partecipazione e responsabilità ai bambini della scuola primaria?
Si potrebbe pensare che questi argomenti siano da riservare a ragazzi più grandi, in grado di comprendere ragionamenti complessi e di intraprendere azioni concrete anche al di fuori dalla scuola.
Eppure, il periodo dai 6 ai 10 anni è quello in cui i bambini costruiscono la propria visione di come funzionano i rapporti tra le persone, di che cosa è giusto e che cosa no. Tale periodo offre l’opportunità di incoraggiare pensieri innovativi e ragionamenti che toccano l’essenza del nostro stare insieme.
Certo, le modalità per farlo devono essere attentamente vagliate.
Come possiamo, in qualità di insegnanti ed educatori, far comprendere che buona parte delle decisioni che prendiamo, per quanto piccole, può influire sul nostro benessere sociale? E come possiamo farlo sperimentare in prima persona?
È infatti solo nella dimensione di una pratica agita e consapevole che le nozioni astratte di collaborazione, tolleranza, giustizia e responsabilità diventano una base sulla quale costruire un piano di vita.
Siamo consapevoli che gli insegnanti sono quotidianamente alle prese con compiti complessi, legati a emergenze sociali, culturali e ambientali che generano sfide mai affrontate prima. A loro vengono richieste competenze a cui l’università non li ha preparati, di cui neanche le famiglie comprendono appieno la portata. Ma sappiamo altrettanto bene che, se incontreremo in futuro cittadini consapevoli e pronti ad agire per il bene comune, dovremo in buona parte dire grazie a loro.
Da dove si può partire per costruire un percorso di educazione alla cittadinanza attiva?
Il primo passo può essere quello di interrogarsi sul contesto in cui ci troviamo e sul tipo di società che si intende promuovere. La risposta, ce ne rendiamo subito conto, non può essere chiusa e definitiva. La realtà in cui viviamo è in continua, profonda trasformazione. Tuttavia, come afferma Jacques Delors: “L’educazione deve fornire la mappa di un mondo complesso e in continuo cambiamento e la bussola che consenta di orientarsi”.
Ecco che cosa viene richiesto a noi educatori: saper leggere la realtà che ci circonda, e fornire a chi viaggia con noi uno strumento per agire in tale realtà. Ma lo scenario in cui muoverci deve essere la nostra realtà locale? Quella nazionale?
Dopo un’attenta riflessione, ci rendiamo conto che dovremo agire a vari livelli. Sarà certo importante conoscere le leggi che regolano la vita della nostra nazione. Prima fra tutte la Carta Costituzionale.
Sarà però fondamentale conoscere anche la realtà più vicina. Interrogarci su come è organizzata la comunità locale, sapere chi nel nostro territorio prende le decisioni che ci riguardano, conoscere i luoghi dei beni comuni – l’acquedotto, l’ospedale, il municipio, la piazzuola della raccolta differenziata – comprendere in che modo ognuno di noi può fare la propria parte nel quotidiano.
D’altro lato sarà indispensabile aprirsi a una dimensione globale, planetaria. Il mondo oggi è UNO. Mezzi di comunicazione come Internet evidenziano come ormai facciamo parte di una comunità allargata a tutto il pianeta.
Una volta definito il contesto, in che modo si può costruire una “mappa” che ci guidi nel nostro percorso?
Davanti a una realtà tanto complessa può capitare di provare un forte senso di impotenza. I problemi sono così grandi, noi siamo così piccoli e insignificanti...
Raccogliere le storie di persone “normali” che si sono organizzate per cambiare le cose può fornire modelli accessibili per sentirsi meno impotenti, più ricchi di possibilità.
Possiamo riconoscere quattro momenti nel processo verso una partecipazione attiva:
- Consapevolezza
- Assunzione del problema
- Cambiamento personale
- Cambiamento del contesto
La nostra missione di educatori è infatti trasformare il contesto nel quale viviamo. Non ci accontentiamo di educare i singoli. Dai semi che coltiviamo vogliamo sboccino frutti maturi di trasformazione sociale.
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