Curiosità molecolari

L'idrogeno

Tra musica e storia

Nel 1968, Robert Plant, Jimmy Page, John Paul Jones e John Bonham fondano il celebre gruppo rock Led Zeppelin che, a loro dire, sarebbe andato a picco come un dirigibile di piombo, un “Lead Zeppelin”: «Ci stava a cuore Lead Zeppelin. Aveva qualcosa a che fare con l’espressione popolare “una pessima battuta sale in alto come un palloncino di piombo”. Ci era rimasta in mente perché era buffa e perché ci piaceva quella connotazione pesante-leggero. Per evitare fraintendimenti fonetici abbiamo eliminato la a di Lead in modo da non dover spiegare per anni come andasse pronunciato il nome della band.»

Gli Zeppelin sono dirigibili che prendono il nome dal conte Ferdinand von Zeppelin, generale dell’esercito tedesco che, ritiratosi dalle funzioni pubbliche nel 1891, si dedica all’aeronautica e fonda la Gesellschaft zur Förderung der Luftschiffahrt, una società che si occupa della costruzione di questi particolari, almeno ai nostri occhi, mezzi di trasporto.

Il primo prototipo, LZ-1, ospita sacche di gas all’interno dello scheletro di metallo, pesa 12 tonnellate, è lungo 128 metri e fa il suo esordio il 2 luglio del 1900, con un volo che dura 18 minuti. Non più utilizzati a fini militari dopo la Grande Guerra, i dirigibili sono impiegati a scopi commerciali e turistici: «vedere il mondo dall’alto, su un dirigibile, è un’esperienza incomparabile», recita una famosa pubblicità dell’epoca.

Il 6 maggio 1937, però, lo Zeppelin LZ 129 Hindenburg in arrivo nel New Jersey, accolto da una folla di fotografi che aspetta i 97 passeggeri che hanno attraversato l’Atlantico a bordo della lussuosa aeronave, esplode durante l’atterraggio. I morti sono 36 (35 a bordo del dirigibile e un membro dell’equipaggio a terra). L’embargo imposto dagli USA alla Germania obbliga gli ingegneri tedeschi a sostituire l’elio, sostanza inerte, con 200 000 metri cubi di idrogeno (H2). LZ 129 Hindenburg è una bomba che fluttua nel cielo.

Un elemento particolare

L’idrogeno (H) è il solo elemento che non ha una collocazione ben definita nella tavola periodica; può appartenere, infatti, al gruppo 1, al gruppo 17 o a entrambi. La sua chimica è particolare e non è riconducibile pienamente a quella dei metalli alcalini (gruppo 1) o a quella degli alogeni (gruppo 17); ciò nonostante, risulta fondamentale.

La maggior parte della materia dell’universo è idrogeno, tanto è vero che  la vita come la intendiamo dipende molto da questo elemento, che forma legami sufficientemente stabili con azoto (N), ossigeno (O) e carbonio (C), i mattoni delle biomolecole: carboidrati, lipidi, proteine e acidi nucleici (DNA, RNA).

Allo stato libero, a temperatura ambiente e alla pressione atmosferica, si trova sotto forma di gas biatomico (H2), una molecola piccola – la più piccola – incolore, inodore, insapore, non molto reattiva. Necessita di una discreta quantità di energia per rompere il legame H-H, ma è estremamente funzionale come materia prima nell’industria, come combustibile e come risorsa in diversi settori strategici. Poco reattiva sì, ma se mescolata con l’ossigeno (O2) e in presenza di una scintilla, diventa tragicamente esplosiva! 

I colori dell’idrogeno

Henry Cavendish (1731-1810) è il padre dell’idrogeno (H2), meglio: è colui che scopre, facendo reagire un acido con un metallo, come ferro o zinco, l’aria infiammabile. Cavendish è il primo a studiare in modo sistematico le proprietà di questa sostanza. Tra le molteplici caratteristiche della molecola, una è particolarmente apprezzata ancora oggi: l’idrogeno (H2) è un combustibile a zero emissioni, che non genera diossido di carbonio (CO2), il temibile gas serra, ma sviluppa semplicemente vapore d’acqua ed energia quando reagisce con l’ossigeno.

A dire il vero, il primo a cui viene in mente di sfruttare l’idrogeno è Jules Verne nell’Isola misteriosa, del 1874, in cui scrive: «L’acqua sarà un giorno un combustibile. L’idrogeno e l’ossigeno di cui è costituita, utilizzati isolatamente, offriranno una sorgente di calore e di luce inesauribile». È importante chiarire che l’idrogeno (H2) non è una fonte di energia, dato che non è disponibile in natura da solo, ma è un vettore, cioè una sostanza in grado di immagazzinare energia riutilizzabile in un secondo momento e in un altro luogo.

La nostra generazione associa diversi colori a questa molecola, che dipendono dalle modalità di produzione. Il grigio è l’idrogeno sporco, perché originato da combustibili fossili, quali carbone, gas naturale e altri idrocarburi. Questa produzione non porta alcun vantaggio al clima, anzi, la quantità di diossido di carbonio (CO2) immessa in atmosfera supera enormemente quella legata alla resa di produzione dell’idrogeno.

Se al processo di sintesi dell’idrogeno dagli idrocarburi si associa la cattura e l’immagazzinamento della CO2, la neutralità carbonica dovrebbe essere raggiunta: quanto diossido di carbonio è immesso, tanto ne è stoccato! In questo caso, il colore vira dal grigio al blu. Questa transizione è legata all’efficienza delle tecnologie che sequestrano il gas serra (CO2). Nella migliore delle ipotesi, si ha un’efficacia dell’80-90%, ma spesso si arriva a fatica al 50%. La produzione di idrogeno blu è sicuramente più ecocompatibile, ma non risulta la soluzione migliore per l’ambiente e l’economia, visto che si immette comunque CO2 in atmosfera e si è sempre dipendenti dai combustibili fossili.

La possibilità di produrre idrogeno sostenibile si nasconde dentro la molecola d’acqua, che può essere scissa in ossigeno (O2) e idrogeno (H2) attraverso l’elettrolisi, un processo che scompone l’acqua mediante il passaggio di energia elettrica fornita da fonti rinnovabili. Così si ottiene l’idrogeno verde, quello veramente pulito che, ad oggi, rappresenta però una nicchia: la necessità di reperire enormi quantità di energia proveniente da fonti rinnovabili per ottenerlo e gli elevati costi di produzione, sostanzialmente doppi rispetto all’idrogeno blu, ne limitano l’impiego.

L’ultima importante variazione di colore riguarda l’idrogeno viola, che è prodotto sfruttando l’energia delle centrali nucleari. Anche questo processo è a zero emissioni di CO2, ma le problematiche politiche, economiche e sociali che si porta dietro canalizzano la ricerca verso l’ottimizzazione delle strategie di produzione dell’idrogeno verde e la ricerca di nuove e concorrenziali sfumature di colore.

L’interesse e lo sviluppo delle tecnologie legate allo sfruttamento dell’idrogeno risiedono anche nell’elevata densità energetica che possiede questo carburante: 1 kg di idrogeno contiene la stessa energia di 2,4 kg di metano e 2,8 kg di benzina.

Per molti scienziati, comunque, se il diciannovesimo secolo è il secolo del carbone, il ventesimo quello del petrolio, il ventunesimo si candida ad essere il secolo dell’idrogeno.

Sociologia molecolare

L’importanza dell’idrogeno non è solo legata al comportamento atomico e molecolare, si spinge oltre. La base stessa della vita dipende sostanzialmente da due proprietà associate a questo straordinario elemento: la somiglianza chimica tra carbonio e idrogeno, e la capacità dell’idrogeno di formare legami speciali quando è in coppia con l’azoto, l’ossigeno o il fluoro.

Nel primo caso, la natura (bassa polarità) del legame carbonio-idrogeno garantisce stabilità a molte sostanze organiche, in un mondo, quello chimico, piuttosto irrequieto. Nel secondo, invece, se l’unione di due atomi, nella realizzazione di una molecola, è dovuta alla formazione di legami forti, l’interazione tra due o più molecole è spesso garantita dalla presenza dell’idrogeno.

Nell’acqua, il legame tra ossigeno e idrogeno (O−H) è fortemente polarizzato: l’ossigeno attrae gli elettroni di legame, trasformandosi in un polo negativo, mentre l’idrogeno, impoverito del suo elettrone, diventa un centro positivo. In ogni molecola d’acqua è come se coesistessero una carica negativa, legata all’ossigeno, e due positive, dovute agli idrogeni. Siccome cariche di segno opposto si attraggono, risulta evidente che molecole differenti possono interagire come se fossero delle piccole calamite.

Si forma così un legame a idrogeno, in cui l’atomo H agisce da ponte tra due o più individui molecolari distinti. Tali interazioni sono deboli e determinano molte delle proprietà fisiche dell’acqua. Acido solfidrico, metano, ammoniaca sono paragonabili all’acqua come dimensione, ma si manifestano solo allo stato gassoso, a temperatura ambiente.

Nelle stesse condizioni anche l’acqua dovrebbe esistere solo come gas; tuttavia, grazie ai legami a idrogeno, questa sostanza presenta un punto di ebollizione decisamente più alto. Quando solidifica, poi, i legami a idrogeno formano una struttura regolare che dà origine a delle cavità, cioè intercapedini d’aria che permettono al ghiaccio di galleggiare per minor densità, preservando in tal modo le innumerevoli forme di vita.

Il legame a idrogeno influenza anche il comportamento di molecole più complesse. Alcune strutture chimiche sono capaci di interpretare e riconoscere alcune informazioni – forma, dimensione, geometria – contenute in altre molecole, tanto da legarsi ad esse. Queste curiose abilità, manco a dirlo, sono riconducibili nella maggior parte dei casi ai legami a idrogeno, capaci di leggere e decodificare l’ambiente chimico circostante. In quanto legami deboli, si formano e si rompono facilmente, conferendo elevata flessibilità alle strutture assemblate che ne derivano.

Nei sistemi biologici il riconoscimento molecolare permette la realizzazione di processi che stanno alla base della vita e dell’evoluzione. L’accoppiamento fisso adenina-timina e citosina-guanina tra le basi azotate nella sintesi del DNA è proprio dovuto ai legami a idrogeno, capaci di “fiutare”, riconoscere e legare strutture complementari. Tale comportamento ha portato a far maturare la bizzarra e suggestiva idea che anche le molecole potessero avere una… “sociologia molecolare”.  

Lo sai che…

  • Toyota Woven City, città giapponese, dovrebbe essere il prototipo di ecosistema urbano completamente connesso e alimentato a idrogeno.
  • L’idrogeno (H) ha tre importanti isotopi: il prozio, 1 protone; il deuterio, 1 protone e 1 neutrone; il trizio, 1 protone e 2 neutroni. Quest’ultimo è radioattivo e quindi instabile.
  • In natura esistono dei microrganismi fotosintetici che producono idrogeno con l’aiuto dell’energia solare. I ricercatori stanno studiando la possibilità di ottenere quantità di idrogeno proprio da questi sistemi. Si parla di tecniche che sfruttano l’energia solare abbinata ad alghe, microrganismi, rifiuti organici.
  • Nel 1839, il fisico britannico William R. Grove riuscì a generare corrente elettrica da idrogeno e ossigeno.
  • L’inventore svizzero François Isaac de Rivaz, nel 1807 progettò il primo prototipo a quattro ruote alimentato con l’idrogeno e l’ossigeno gassoso. Il gas idrogeno era contenuto in un palloncino e l’avviamento era elettrico.
  • Gli americani finanziarono una serie di ricerche per un nuovo tipo di ordigno dalle potenzialità distruttive superiori alla bomba atomica. Il gruppo di scienziati, diretto da Edward Teller, portò alla realizzazione della bomba H, o all’idrogeno, la cui potenza distruttiva è eccezionale.
  • “Ivy Mike” è il nome in codice della prima bomba H fatta esplodere l’1 novembre 1952 nell’isoletta di Eniwetok, nell’arcipelago delle Marshall. L’ordigno, del peso di 65 tonnellate, scavò un cratere largo circa 2 chilometri e profondo 50 metri, cancellando praticamente l’isola.
  • Fino a poco tempo fa, si pensava che l’ambiente dello stomaco fosse troppo acido per la sopravvivenza di batteri e germi. Nel 2005, gli australiani Barry Marshall e Robin Warren vinsero il premio Nobel per la scoperta del batterio Helicobacter pylori, in grado di sopravvivere in ambienti così acidi. Tale batterio non solo riesce a sopravvivere in un pH così estremamente basso, ma ha anche un ruolo nel provocare la gastrite e l’ulcera peptica.
  • L’analisi del pH nel sangue è attualmente effettuata con due tecniche: l’emogasanalisi, che permette di misurare il pH del sangue arterioso, e l’analisi dei gas disciolti nel sangue. Tali tecniche furono sperimentate nel 1957 dal medico anestesista John Severinghaus, presso il Clinical Center del National Institutes of Health.

Proposta di attività didattica

  • Individuate i termini chiave presenti nel testo e create un breve glossario che chiarisca il significato di ciascun termine tecnico-scientifico.
  • Ascoltate i seguenti podcast che fanno parte del progetto di Sanoma Ascoltando s’impara:
    - È tutta colpa della CO2?
    - Il triangolo del litio

Dopo aver approfondito l’argomento sull’utilizzo dell’idrogeno come vettore energetico, registrate un podcast di quattro minuti che riassuma i punti chiave della vostra ricerca. Potete seguire questa traccia:

  1. individuate un titolo accattivante/interessante;
  2. scrivete un testo che riassuma i concetti che avete studiato e imparato dalle attività svolte;
  3. utilizzate uno smartphone o un computer per la registrazione del podcast;
  4. condividete il lavoro con l’insegnante. Prima di consegnarlo, riascoltate con attenzione quanto prodotto per verificare che tutto ciò che avete detto si capisca e sia spiegato bene.

Referenze iconografiche: Michael Rosskothen/Shutterstock

Giovanni Casavecchia

laureato in Chimica, dopo alcune esperienze lavorative nel campo della ricerca medica in Svizzera e a Milano, dal 1998 insegna nelle Scuole secondarie di secondo grado. Scrive libri scolastici di chimica, è curatore di testi e si dedica alla diffusione della cultura scientifica, organizzando incontri con docenti universitari, ricercatori e giornalisti del settore. È stato co-ideatore, insieme ad Agorà Scienza, della scuola MIDAS, Masterclass in Innovazione Didattica Applicata alle Scienze. Autore per Sanoma per le Scienze del corso Il linguaggio della Chimica.