Un anno di educazione civica nella scuola

Una disciplina nuova ma non troppo, tra luci e ombre

Il quadro di riferimento, i problemi e le potenzialità dell'educazione civica nella Scuola secondaria di II grado.

L’anno scolastico 2020/2021 ha visto l’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado del sistema nazionale di istruzione dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica.
Non si tratta di una novità assoluta per la scuola: già Aldo Moro nel lontano 1958, quando era ministro della Pubblica istruzione, ne istituì l’insegnamento (con il d.p.r. n. 585 del 13 giugno 1958). Da allora sono passati diversi decenni, e la “materia” (perché, all’epoca, tale era considerata) venne progressivamente accantonata, e infine rimossa definitivamente dal quadro degli insegnamenti alla fine degli anni Ottanta.
Il dibattito sulla necessità di inserire nel curricolo “elementi di educazione civica”, e in particolare di sviluppare l’insegnamento della Costituzione come punto di riferimento ed espressione del nucleo fondante dei valori sui quali poggia la convivenza civile nel nostro Paese, non si è mai del tutto interrotto; tanto è vero che nel 2008 la legge n. 169 ha previsto l’attivazione di «azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a Cittadinanza e Costituzione, nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse» (art. 1).
Ancora, nell’ambito del colloquio orale degli Esami di stato, il d.lgs. n. 62/2017 all’art. 17 stabilisce espressamente che: «il colloquio accerta altresì le conoscenze e competenze maturate dal candidato nell’ambito delle attività relative a Cittadinanza e Costituzione»; curiosamente, nella normativa relativa agli esami di Stato del 2020/21 questa formula non trova più applicazione per l’educazione civica.

Il quadro normativo attuale

Sono stati probabilmente i modesti risultati concreti dell’applicazione della legge n. 169 a spingere il legislatore a emanare una nuova disciplina.
La legge n. 92/2019, che ne ha previsto l’istituzione, ha indicato un lungo elenco di temi sui quali si deve sviluppare l’insegnamento dell’educazione civica, ovvero:

  • Costituzione italiana;
  • istituzioni nazionali, dell’Unione europea e degli organismi internazionali;
  • storia della bandiera e dell’inno nazionale;
  • Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile;
  • educazione alla cittadinanza digitale, anche per valutare criticamente la credibilità e l’affidabilità delle fonti e per essere consapevoli di come le tecnologie digitali possano influire sul benessere psicofisico e sull’inclusione sociale, con particolare riferimento ai comportamenti riconducibili a bullismo e cyberbullismo;
  • elementi fondamentali di diritto, con particolare riferimento al diritto del lavoro;
  • educazione ambientale, sviluppo ecosostenibile e tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari;
  • educazione alla legalità e al contrasto delle mafie;
  • educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni;
  • formazione di base in materia di protezione civile;
  • educazione stradale;
  • educazione alla salute e al benessere;
  • educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva.

Dopo la pubblicazione della legge, avvenuta a fine agosto 2019, a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico, ci si rese presto conto di come la complessità delle tematiche organizzative e didattiche che la nuova disciplina impone (tra l’altro in presenza di una clausola di invarianza finanziaria, per cui la concreta realizzazione della legge è prevista «nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica») rendesse di fatto impossibile attuarla immediatamente. Saggiamente si decise di rinviare l’entrata in vigore all’anno scolastico successivo (2020/21), procedendo nel contempo all’elaborazione delle Linee guida, pubblicate poi nell’estate del 2020.
Quindi il quadro normativo di riferimento della disciplina è composto dalla legge 92/2019 e dalle Linee guida: in queste ultime, in particolare (anche se in qualche passaggio sembrano presentare alcune difformità rispetto alla legge di riferimento), ci si è sforzati di produrre una cornice più “strutturata” da fornire alle istituzioni scolastiche per l’elaborazione di un curricolo di educazione civica.

I nuclei concettuali e il curricolo di Istituto

Nelle Linee guida, le tematiche previste dalla legge sono ricondotte a tre nuclei concettuali individuati come “pilastri disciplinari”, ovvero:

  • Costituzione, diritto (nazionale e internazionale), legalità e solidarietà;
  • sviluppo sostenibile, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio;
  • cittadinanza digitale.

Sempre le Linee guida stabiliscono che, limitatamente agli anni scolastici 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023, la valutazione dell’insegnamento di educazione civica debba fare riferimento agli obiettivi/risultati di apprendimento e alle competenze che i singoli collegi docenti, nella propria autonomia di sperimentazione, avranno individuato e inserito nel curricolo di Istituto.
In sostanza il legislatore, sia pure nell’ambito della cornice di cui sopra, lascia ampia libertà alle istituzioni scolastiche nell’elaborazione del curricolo, sia pure vincolato alla presenza di una progettazione pluridisciplinare e per competenze.
Il legislatore di fatto suggerisce a ogni Istituto di dotarsi in questa fase di uno strumento di programmazione dove individuare un quadro di riferimento articolato per traguardi di competenze. Uno strumento necessariamente snello e flessibile, perché dovrà essere adattato dai singoli Consigli di classe, in base agli specifici obiettivi di apprendimento definiti in sede di programmazione annuale.

Tanti problemi e molte potenzialità

L’entrata in vigore della normativa sull’educazione civica ha coinciso con uno dei periodi più difficili della storia del nostro Paese, e nello specifico della scuola: la pandemia da Covid-19.
È un fattore che ha avuto un peso rilevantissimo su tutte le istituzioni scolastiche nella fase della costruzione dei curricoli di educazione civica, nell’elaborazione dei singoli progetti - specie di natura pluridisciplinare - e nella valutazione degli studenti: l’estrema difficoltà nella gestione quotidiana della vita scolastica in epoca Covid non ha di aiutato a una riflessione pacata sul ruolo della nuova disciplina, talvolta guardata con fastidio, se non con ostilità, da docenti e dirigenti scolastici impegnati a reinventarsi un ruolo nella scuola della didattica a distanza.
In questo contesto emergenziale, le scelte operate dal Ministero a supporto delle scuole sono apparse timide e spesso inadeguate: il piano di formazione nazionale dei referenti di Istituto di educazione civica, al di là del generoso impegno personale di tanti formatori, si è rivelato poco più di “una goccia nell’oceano”, mentre l’obbligo della valutazione numerica in pagella alimenta la confusione (rischiando di fare percepire l’educazione civica come una “materia” come le altre, quando non lo è affatto), spingendo i docenti a una valutazione “forzata” e condizionata dalle scadenze della didattica ordinaria (il trimestre, il quadrimestre) piuttosto che dal raggiungimento delle finalità della disciplina.

Ma quali sono tali finalità? Partiamo, ad esempio, da una di esse, espressamente prevista dalla normativa: la capacità per lo studente di riconoscere e identificare il ruolo delle diverse istituzioni nazionali ed europee.
È un obiettivo importante, centrale nelle tematiche indicate dalla legge. Tuttavia, non va letto come fine in sé, ossia correlato alla sola acquisizione di conoscenze, perché questa non è affatto la finalità della disciplina. Più correttamente, deve essere interpretato come uno degli strumenti utilizzabili per potenziare nello studente l’idea di far parte di una comunità (potremmo definirlo come senso di appartenenza), in una dimensione non identitaria ma di conoscenza e di rispetto dell’altruità, intesa come forma di attenzione e di riconoscimento dell’altro (ad esempio, rappresentando i doveri legati a ogni diritto acquisito).
L’educazione civica è infatti una disciplina che trova la sua ragion d’essere nello stimolare la partecipazione piena, consapevole e responsabile dello studente-cittadino all’interno di una dimensione comunitaria, nella sua presenza attiva alla gestione della cosa pubblica.

Si tratta di un obiettivo molto ambizioso, vincolato a un approccio didattico caratterizzato dalla prevalenza di una modalità di lavoro che ha lo scopo di incidere sugli atteggiamenti e sui comportamenti, dove diventa centrale l’adesione a valori di natura sociale e civica.
Di conseguenza l’insegnamento dell’educazione civica necessita di una metodologia non fondata sulla semplice trasmissione di contenuti, bensì centrata sullo sviluppo di competenze. È una sfida importante per la scuola italiana, nella quale la valorizzazione dell’esperienza della studentessa e dello studente, l’apprendimento induttivo e sociale, l’assunzione di responsabilità, diventano gli elementi qualificanti del percorso, in sintonia con il principio di “apprendimento efficace” tipico della didattica per competenze, e finalizzato a trasformare quanto appreso nel patrimonio permanente di ogni studente.
Il legislatore sembra essere consapevole di questa necessità e delle difficoltà che tale approccio può comportare: lo dimostra la lettura dell’art. 9 della legge 19/2021, che istituisce l’Albo delle buone pratiche di educazione civica, pensato proprio per valorizzare esperienze «per l’attuazione delle tematiche relative all’educazione civica e all’educazione alla cittadinanza digitale, al fine di condividere e diffondere soluzioni organizzative ed esperienze di eccellenza».
La sfida, in altre parole, è quella di ricondurre la riflessione sui valori comuni – di cui la nostra Carta costituzionale rappresenta il punto di riferimento e la sintesi – in comportamenti e pratiche positive. Un compito a cui i docenti non devono arrivare impreparati, ma che implica anche l’adozione di comportamenti virtuosi da parte di chi gestisce la politica scolastica nel nostro Paese.

Referenze iconografiche:   Monkey Business Images/Shutterstock

Claudio Guzzi

laureato in scienze politiche, è docente di area giuridico-economica dell'istituto Cremona di Milano. Da molti anni si occupa di progetti innovativi nel campo della didattica. È autore per Paramond di un corso di diritto ed economia per il biennio dal titolo Costituzione al futuro.