Dal locale al globale: il viaggio dell’acqua

Un esempio operativo di transcalarità

Le Nuove indicazioni nazionali per lo studio della geografia hanno aperto una nuova prospettiva didattica, basata su un approccio transcalare. Viene promossa, cioè, la “capacità di collocare fatti e relazioni a scale diverse (dal locale al globale) e di passare agevolmente dall’osservazione del proprio quartiere fino alle dinamiche planetarie”. Si tratta di un’opportunità per conoscere meglio il proprio spazio vissuto e, contemporaneamente, comprendere fenomeni ed esperienze relativi a realtà fisiche e antropiche anche molto distanti da noi.

Un ricordo di viaggio per cominciare

Alla fine dell’estate, come consuetudine, ho partecipato in Valtellina alla tradizionale transumanza del bestiame dagli alpeggi d’alta quota, con le loro baite in pietra, ai paesi di fondovalle. Ad aiutare i genitori a incolonnare le mucche verso i camion che le avrebbero trasportate ai pascoli invernali erano, oltre ai cani, ragazzi e ragazze ai quali, pochi giorni dopo, si sarebbero aperte le porte della scuola.
Una classica scena pastorale che mi ha ricordato un’analoga esperienza vissuta all’inizio dell’estate tra le montagne del Pamir in Tagikistan, ai piedi <<delle montagne che si dicono le più alte del mondo>> (come si legge nel Milione): un altro tassello delle ricerche che conduco da anni sullo storico viaggio di Marco Polo verso la Cina. Bambini tagiki guidavano verso il loro accampamento di yurte, situato a circa 4200 metri di quota, una mandria di yak, per poi separare – lanciando sassi e con urla – i maschi dalle femmine destinate alla mungitura serale. Sono scene che ho filmato e inserito come “Video d’autore” nei miei corsi di geografia, tra cui Il grande viaggio e Alisei per dimostrare come, nonostante il contrasto di ambienti naturali, così lontani fra loro (i boschi di conifere e i pascoli delle Alpi e i deserti sassosi degli altipiani d’alta quota dell’Asia centrale) e le differenze di etnie e di tipologie di insediamenti, i ritmi quotidiani di vita dei popoli dediti alla pastorizia siano in fondo piuttosto simili.
Lo stesso avrei potuto fare prendendo come esempio altri popoli pastori transumanti che ho incontrato nei miei viaggi: dai Quechua peruviani, allevatori dei camelidi delle Ande (lama e vigogne), ai Sami della Finlandia che, alla fine dell’estate, radunano le mandrie di renne per la marchiatura dei cuccioli.

Un nuovo approccio transcalare

Secondo la tradizionale scansione dei manuali di geografia per la Scuola Secondaria di Primo Grado, potrebbe risultare complesso collegare fra loro queste esperienze in un unico contenuto didattico, perché avvenute in realtà fisiche e antropiche molto distanti e in continenti diversi. Le Nuove indicazioni nazionali per lo studio della geografia hanno invece aperto una nuova prospettiva didattica, basata su un approccio globale e transcalare. Viene promossa, infatti, la “capacità di collocare fatti e relazioni a scale diverse (dal locale al globale) e di passare agevolmente dall’osservazione del proprio quartiere fino alle dinamiche planetarie”. Si favorisce così un approccio che, anziché procedere in modo lineare (Italia-Europa-Mondo), incoraggia a “saltare di scala” per comprendere analogie, differenze, connessioni e interdipendenze. In definitiva, per meglio descrivere e interpretare il mondo, si suggerisce di analizzare criticamente prospettive e problemi partendo dal “locale” (la scala italiana) per giungere al globale o anche trovando il locale nel globale.
Altro punto centrale delle nuove indicazioni didattiche è il concetto di territorializzazione, cioè la comprensione di come le comunità umane abitano e trasformano il pianeta modellandone i paesaggi. E questo non solo come studio dei singoli Stati, ma anche come possibilità “di rappresentare le relazioni fisiche, politiche e culturali di un luogo a scale diverse, individuando le relazioni e le interdipendenze fra regioni geografiche lontane fra di loro”.

Strumenti transcalari

Il confronto della propria realtà (spazio vissuto) con quelle più lontane e, viceversa, il passaggio dal globale al locale sono del resto oggi sempre più facilitati dalla possibilità di utilizzare carte geografiche digitali, fotografie satellitari, immagini e rappresentazioni spaziali dei Sistemi Informativi Geografici (GIS), prodotti multimediali, cioè un insieme assai ampio e variegato di fonti e strumenti della geografia consultabile online e di per sé stesso di natura transcalare.

Collegare la geografia allo spazio vissuto

Ma se la geografia è la scienza dell’organizzazione dello spazio, il suo “spazio” non può essere quello chiuso dell’aula scolastica ma deve aprirsi anche a quello esterno, che studenti e studentesse dovrebbero imparare a esplorare, descrivere e interpretare, partendo dal vicino per raggiungere in un secondo tempo orizzonti più ampi. Le Nuove indicazioni incentivano infatti le attività di educazione all’aperto (outdoor education) per promuovere una conoscenza diretta e rispettosa degli ambienti naturali. Perché si impara a rispettare soprattutto quello che si conosce e si vede con i propri occhi. I contenuti geografici si memorizzano meglio, infatti, se vengono collegati alle esperienze di vita, ai viaggi, alle sensazioni provate nell’esplorazione dei luoghi, a partire dagli spazi scolastici per giungere a quelli più lontani. Che è poi il motivo conduttore dei miei corsi di geografia.

Locale-globale: il viaggio ideale dell’acqua

Un approccio di tipo transcalare può essere molto efficace nello studio di una risorsa preziosa come l’acqua.
Quello che più mi ha stupito viaggiando nel mondo è la capacità dell’essere umano di riuscire, nel corso dei secoli, a creare ecosistemi agricoli, urbani e industriali trasportando l’acqua dalle sorgenti fino alle città e alle regioni apparentemente più anecumeniche, come quelle dei deserti e d’alta montagna. Questa dinamica è osservabile tanto a livello locale, in Italia, quanto a livello globale.

Un itinerario attraverso l'acquedotto storico di Genova

Il viaggio ideale che l’acqua compie dalle sue sorgenti al cuore di una città può essere svolto percorrendo l’Acquedotto Storico di Genova (u cundutu, come lo chiamano i genovesi), le cui origini risalgono ai romani, che sentirono l’esigenza di trasportare più acqua per il rifornimento delle navi e per il funzionamento dei mulini e degli opifici. Dall’XI al XVII secolo, a seguito dell’espansione dell’abitato cittadino nella zona collinare e dell’aumento del traffico portuale, l’acquedotto subì continue modifiche e prolungamenti, fino a quando nel 1951 cessò la sua funzione.
Dopo anni di abbandono e degrado, alcune associazioni si sono impegnate a restaurare questo prezioso patrimonio storico e architettonico, trasformandolo in un itinerario escursionistico lungo 22 chilometri, interessante anche dal punto di vista naturalistico. L’avventura inizia dal ponte-canale di Cavassolo sul rio Concasca. Anche se a pochi passi dalla città, ci si sente subito immersi in un’altra realtà: angoli di campagna coltivata e delimitati da muretti a secco, boschi di querce e castagni e, sui versanti assolati, la macchia mediterranea. Non mancano le testimonianze antropiche: antichi lavatoi, mulini, fornaci per la calce, chiesette, ma soprattutto le testimonianze di archeologia industriale: gli straordinari ponti-canale, veri e propri capolavori di ingegneria che permettevano il passaggio dell’acqua attraverso un sifone posto nella struttura del ponte stesso, così da consentire all’impianto idrico di superare una valle senza doverne seguire il profilo.
Per compiere questa escursione bisogna ricordarsi di mettere nello zaino, assieme alla colazione al sacco, una capiente borraccia d’acqua. Anche se si segue il percorso dell’acquedotto, infatti, non si trovano fontanelle. Ed è proprio quando si ha sete che si capisce l’importanza di una risorsa tanto importante per l’essere umano da essere definita “l’oro blu” .

Il Viaggio dell'acqua lungo i canali sotterranei dei deserti

A partire da un’esperienza come quella sopra descritta, si può far rilevare a studentesse e studenti la differenza tra gli acquedotti delle regioni temperate e quelli delle zone desertiche, che si sono sviluppati nel sottosuolo per evitare l’evaporazione dell’acqua (a tale scopo, si possono reperire in rete fotografie e immagini satellitari).
Ne accenna già Marco Polo nel Milione, descrivendo nel capitolo dedicato alla Persia i fiumi sotterranei d’acqua dolce che scorrono attraverso delle grotte: <<Qui i viandanti stanchi e assetati per l’asprezza del deserto si riposano dissetandosi con le loro bestie>>.
È un chiaro riferimento ai qanat, l’ingegnoso sistema di canali sotterranei realizzati già in epoca achemenide per prelevare l’acqua dalle sorgenti e trasportarla per gravità anche a decine di chilometri di distanza, fino al punto in cui esce in superficie e viene distribuita a ventaglio per irrigare i campi e per l’uso domestico. Dalla Persia questa tecnica ingegnosa si è diffusa nei secoli a oriente, lungo la Via della Seta nell’Asia Centrale (per esempio i kariz dell’Uzbekistan) e in Cina (i qarez di Turfan o Turpan, nello Xinjiang), e a occidente in Oman (i falaj), in Algeria (le foggare), in Marocco (le kettare), per poi essere portata dagli Arabi in Spagna e in Sicilia (gli ‘ngruttati di Palermo). La loro gestione era profondamente legata alle strutture sociali e all’identità delle comunità che le avevano create, le mantenevano e ne decidevano i tempi di utilizzo. Oggi gran parte di questi canali, abbandonati nel tempo per il costo eccessivo della loro manutenzione, sono stati dichiarati Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO e trasformati in veri e propri “musei dell’acqua” .

Agora_11nov_2025_Corbellini_DSCN8467Raccolta dell’acqua potabile da un qanat in Iran, come descritto nel Milione di Marco Polo. 

Il Qanat Gesuitico Alto di Palermo

Il cerchio locale-globale-locale si può chiudere a Palermo, dove si può percorrere il Qanat Gesuitico Alto (così chiamato da quando i gesuiti, nel XVIII secolo, acquistarono i terreni soprastanti), scavato dai maestri d’acqua, i cosiddetti muganni. Ancora oggi a 16 metri di profondità rispetto al piano di campagna la rete dei qanat cattura l’acqua di falda e la porta ai parchi e ai campi coltivati della Conca d’Oro dove gli Arabi impiantarono coltivazioni di palme da dattero, banani, aranci e limoni.

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 Esplorazione del qanat di Palermo. 

Referenze iconografiche Immagine di copertina: Interno di un qanat, provincia di Kerman, Iran, Alamy / Imageselect / ARV 
Le foto sono pubblicate per concessione dell’autore.

Giancarlo Corbellini

Geografo e viaggiatore, è autore per Sanoma-Edizioni scolastiche Bruno Mondadori di numerosi corsi di geografia per la Scuola secondaria di primo grado. Tra questi, Il grande viaggio – la nuova edizione 2026 è in preparazione.