Ritratti di donne nella Resistenza

Il ruolo delle donne nella Resistenza fu riconosciuto dalla storiografia trent’anni dopo la fine della guerra, con l’elaborazione di categorie interpretative nuove, adatte a rappresentare la complessità della presenza femminile. In questo articolo, cerchiamo di darne conto attraverso la ricostruzione di tre percorsi, in cui emergono differenze sia di estrazione sociale che di appartenenza ideologica e di motivazioni nella scelta.

Il ruolo delle donne nella Resistenza italiana

«Volontarie a pieno titolo nella Resistenza»[1], secondo l’efficace espressione di Anna Bravo e Annamaria Bruzzone, in quanto non sottoposte ai bandi di reclutamento, le partigiane in Italia vennero escluse da numerose sfilate partigiane al momento della Liberazione. Eppure, anche stando solo alle cifre ufficiali, vi furono 35.000 donne che dal 1943 al 1945 parteciparono alle azioni di guerriglia partigiana; 4.500 furono arrestate, torturate, condannate; 623 furono fucilate, impiccate o cadute in combattimento; circa 3.000 furono le deportate in Germania. Cifre che in ogni caso implicano una sottovalutazione del loro ruolo, tenendo conto che tante, presumibilmente, furono quelle che non chiesero il riconoscimento.

Il riconoscimento sul piano storiografico venne circa un trentennio dopo la fine della guerra, cominciando ad elaborare categorie in grado di restituire la complessità del ruolo femminile nella Resistenza. Quella di «maternage di massa», ad esempio, con cui la storica Anna Bravo alludeva alla disponibilità femminile nei confronti dei giovani uomini, resi vulnerabili dall’occupazione nazifascista del territorio, che si rivolgevano alle donne alla ricerca di protezione e sostegno: donne che continuarono a cucinare, cucire, preparare indumenti, confezionare pacchi viveri, avvisare dei rastrellamenti, consentendo ai combattenti di mettersi in salvo.

Un altro aspetto peculiare della mobilitazione femminile durante la Resistenza fu il compito della staffetta: donne, perlopiù giovani, che reperivano informazioni, trasportavano armi e munizioni, accompagnavano brigate e comandi per strade sicure e soprattutto facevano chilometri e chilometri per portare notizie da una zona all’altra. Condividevano molti aspetti della vita dei combattenti - spesso con grave scandalo per la mentalità del tempo -, la paura, la fuga, il freddo, la fame, talvolta anche il nascondiglio; dimostravano sangue freddo, prontezza di riflessi, lucidità, capacità di improvvisazione per mimetizzarsi in situazioni difficili.

La lotta di Liberazione offrì alle donne un’occasione storica di politicizzazione, che fino ad allora era stata appannaggio di ristrette élites. I Gruppi di Difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà, formati inizialmente da donne di diversa appartenenza politica - socialiste, comuniste, gielline (aderenti a Giustizia e Libertà), liberali e talora democratico-cristiane[2] - furono la struttura organizzativa femminile della Resistenza italiana; ebbero un proprio organo di stampa, il periodico “Noi donne”, pubblicato clandestinamente durante l’occupazione nazifascista e successivamente divenuto la testata dell’Unione donne italiane (Udi), in cui si riconobbero le militanti della Sinistra. Anche grazie al lavoro dei Gdd e dell’Udi, che creò un Comitato nazionale pro-voto, al termine della guerra si ebbe la prima grande svolta nella cittadinanza femminile in Italia, ovvero la conquista dell’elettorato attivo e passivo.

Cercheremo qui di dare conto della complessità della presenza femminile nella lotta resistenziale attraverso la ricostruzione di tre percorsi diversi, in cui emergono differenze sia di estrazione sociale che di appartenenza ideologica e di motivazioni nella scelta.

1. Ada Prospero Gobetti

Ada Prospero (1902-1968) nasce a Torino, frequenta il liceo Balbo e si laurea in filosofia nel 1925 con una tesi sul pragmatismo anglosassone. Dopo aver sposato nel 1923 Piero Gobetti, con cui condivide la passione culturale e politica, segue la casa editrice da lui fondata, non accettando mai attività subalterne, forte di una concezione radicalmente egualitaria del rapporto tra i sessi. Quando Gobetti viene colpito dai fascisti e si decide poi all’esilio in Francia, dove morirà, la casa della ‘signora Ada’ si trasforma in un centro di antifascismo, mentre riprende l’attività d’insegnante. Gli anni dal ’28 al ’37 sono segnati dall’amicizia con Benedetto Croce, grazie alla quale Ada traduce per Laterza numerose opere, tra cui la Storia d’Europa di A.H.L. Fischer e il romanzo Tom Jones di Henry Fielding. Dall’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940, Ada s’impegna nell’attività clandestina: aderisce a “Giustizia e Libertà” ed è poi tra i fondatori del Partito d’Azione. Partecipa alla lotta armata, in cui assume il nome di battaglia “Ulisse”, come narra nell’avvincente Diario partigiano (1956). Animata da una visione paritaria del rapporto tra i sessi, Ada Gobetti finisce presto col rendersi conto che i Gruppi di difesa della donna potevano rappresentare una forma peculiare di attività politica; entra quindi nel direttivo e fa parte della segreteria dei Gdd per l’Alta Italia.

Dopo la Liberazione, viene nominata vicesindaco della Giunta municipale di Torino con le deleghe all’Assistenza, all’Istruzione e alle Belle arti; è inoltre eletta nel Consiglio nazionale dell’Anpi e dell’Udi e nel ’56 aderisce al Partito comunista italiano.

2. Ida D’Este

Nata a Venezia (1917-1976), Ida cresce in una famiglia colta e benestante: il padre, di orientamento liberale, è primario all’ospedale civile, mentre la madre si dedica alla famiglia. La giovane frequenta le scuole presso le Suore di Nevers e all’età di 15 anni emette un voto di dedizione a Dio, che vive come un atto di profondo cambiamento nella sua vita. Per volontà dei genitori frequenta l’istituto magistrale, mentre avrebbe voluto iscriversi al liceo scientifico, e nel 1936 si iscrive alla facoltà di Lingue e letterature moderne all’Università Cà Foscari. Si laurea nel 1941 e nel ’43 sosterrà poi l’esame di maturità classica per accedere alla facoltà di Giurisprudenza a Padova. Durante gli studi universitari è attiva nella Federazione universitari cattolici (Fuci) veneziana e dopo l’8 settembre ’43 organizza con le amiche di Azione cattolica una regolare forma di soccorso ai soldati italiani prigionieri nelle navi ferme al porto di Venezia. Insegnante di lingue, grazie a Giovanni Ponti[3], docente di latino e greco a Venezia, e a Egidio Meneghetti[4], entra in contatto con il Comitato di liberazione regionale veneto. Con il nome di battaglia “Giovanna” - come l’eroina francese beatificata dalla Chiesa nel 1909 - diviene staffetta di collegamento tra il Cln regionale e i Cln provinciali di Belluno, Padova, Rovigo, Vicenza e Venezia. Entra in clandestinità nel ‘44, dopo la revoca dell’incarico di insegnamento. È arrestata il 7 gennaio 1945 assieme a un gruppo di dirigenti del Cln veneto. È detenuta per oltre un mese a Palazzo Giusti, nelle mani della “Banda Carità”[5], il Reparto Servizi speciali della Repubblica sociale italiana, dove è sottoposta a umiliazioni e torture. Viene poi deportata nel campo di Bolzano, dove è costretta a lavorare sia come addetta alle pulizie, sia come operaia in una fabbrica di cuscinetti a sfera, finendo per contrarre un’infezione polmonare. Non entra nei Gruppi di difesa della donna, ma è in prima fila nel Movimento femminile della Democrazia cristiana, di cui diventa nel gennaio ’46 vicepresidente provinciale. Nel marzo dello stesso anno è eletta consigliere comunale a Venezia ed è la prima dei non eletti alle politiche del 18 aprile ’48. Entra poi alla Camera dei deputati nel ’53, dove collabora attivamente a sostegno del progetto di legge Merlin contro la regolamentazione pubblica della prostituzione, promulgato nel 1958. Nel ’63 fonderà l’istituto secolare delle “Missionarie della carità”, dedite in particolare alla riabilitazione civile e sociale delle prostitute.

3. Le sorelle Gelmini

Partigiane nel Modenese, le sorelle Gelmini provengono da una famiglia chiaramente antifascista: la madre Zelinda è socialista e ha partecipato attivamente ai moti del cosiddetto “biennio rosso” (1919-1920); il padre, artigiano della lavorazione del legno, si è avvicinato al Partito comunista negli anni Trenta. A sua volta il fratello Oreste (1912-2005, detto ‘Paolo’), militante comunista, dal ’43 è commissario politico della Brigata Garibaldi “Remo” e rappresentante del Pci nel Comitato di liberazione nazionale modenese[6].

La maggiore delle due sorelle, Clementina, nasce nel 1921 a San Possidonio (Mo) e frequenta la scuola fino alla quarta elementare, per poi fare la sarta, anche se ogni anno, nella fase della monda del riso, interrompe il suo lavoro per guadagnare qualcosa in più. Dall’autunno del ’43, col nome di battaglia “Claudia”, comincia la sua attività come staffetta e poi combattente nella brigata Walter Tabacchi[7], operante tra Modena, la Bassa modenese e gli Appennini. Negli ultimi mesi della guerra, Clementina svolge a Modena la funzione di ufficiale di collegamento del comando della brigata ed è attiva anche nei Gruppi di difesa della donna a Concordia sulla Secchia. Agli inizi del ’45 con un matrimonio partigiano[8] -“celebrato” da un delegato civile di collegamento -, sposa Luigi Borsari (nome di battaglia “Gianni”), commissario politico della stessa brigata Tabacchi.

Anche la sorella minore, Adriana, nata nel 1926, dopo quattro anni di scuole elementari comincia a lavorare a domicilio come sarta. Diviene poi staffetta nella brigata “Remo”, dove milita anche il fratello Oreste, col nome di battaglia “Alda” e comincia a trasportare stampa clandestina e armi, oltre a mantenere collegamenti tra membri della Resistenza locale. Durante un rastrellamento nella zona di Fossa di Concordia, nel marzo del ’45, viene arrestata e poi rilasciata. Andando a risiedere a Modena, entra nell’organizzazione della Sap di zona (Squadre di azione patriottica promosse dalle brigate Garibaldi, soprattutto in area urbana), che per ampliare il coinvolgimento popolare nella lotta resistenziale di notte affiggeva manifesti e volantini. Anche Adriana partecipa alle attività dei Gruppi di difesa della donna, facendo opera di reclutamento nella sua zona.

 

[1] A. Bravo-A.M. Bruzzone, In guerra senz'armi. Storie di donne, 1940-1945, Roma, Bari, Laterza, 1995, p. 189.

[2] Le donne cattoliche e appartenenti alla Democrazia cristiana dal ‘44 si dissociarono dai Gdd e costituirono il Centro italiano femminile (Cif).

[3] Giovanni Ponti (1896-1961) fu insegnante di lettere classiche, esponente del Partito popolare nel primo dopoguerra e poi nominato sindaco di Venezia dal Cln nel 1945.

[4] Egidio Meneghetti (1892-1961) fu docente di farmacologia all’Università di Padova. Membro di “Giustizia e Libertà”, fu tra i fondatori del Cln del Veneto.

[5] Così chiamato per il nome del comandante, Mario Carità, il Reparto dei Servizi speciali della Repubblica di Salò fu tristemente noto per la disumanità dei metodi utilizzati e inflisse gravi danni alle organizzazioni partigiane in Toscana e Veneto.

[6] Oreste Gelmini fu sindaco di Mirandola dal 1948 al 1956, successivamente eletto deputato e ancora senatore; quindi dirigente della Confederazione artigianato e dell’Anpi. È autore con Franco Canova e Amilcare Mattioli di Lotta di liberazione nella Bassa modenese, Modena, A.N.P.I., 1976.

[7] Walter Tabacchi (1917-1944), marinaio decorato con croce di guerra per la difesa della base navale di La Spezia nel ’42, dopo l’8 settembre passò alla Resistenza, combattendo sugli Appennini. Nell’aprile del ’44 fu colpito a morte durante uno scontro e in memoria gli venne attribuita la medaglia d’oro al valore militare.

[8] Cfr. la raccolta di racconti di Renata Viganò, Matrimonio in brigata, Vangelista, 1976. Durante la Resistenza i comandi partigiani, su delega dei responsabili dei comitati Cln, ebbero anche la funzione di celebrare matrimoni civili per favorire la regolarizzazione di molte situazioni di fatto e per avviare la costruzione di un nuovo ordine sociale.

Fonti e bibliografia 

Podcast e video

Tobagi, La Resistenza delle donne, Torino, Einaudi, 2022.

Si può ascoltare anche il podcast in 5 episodi con testimonianze audio di partigiane raccolte a partire dagli anni Settanta.

Nel 1965, in occasione del ventesimo Anniversario della Liberazione, Liliana Cavani dava voce all’esperienza femminile nella Resistenza con il documentario Le donne nella Resistenza reperibile su YouTube.

 

Bibliografia

L. Bellina, M. T. Sega (a cura di), Tra la città di Dio e la città dell'uomo: donne cattoliche nella Resistenza veneta, Cierre, Venezia-Treviso, 2004.
A. Bravo (a cura di), Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari, 1991. 
A. Bravo, Maternage, Resistenza civile, Politica, in D. Gagliani, E. Guerra, L. Mariani, F. Tarozzi (a cura di), Donne guerra politica. Esperienze e memorie femminili della Resistenza, Clueb, Bo-logna, 2000.
M. L. Cavarra, …”quando si dice staffetta…”, Anpi, Modena, 1982. 
M. Flores, M. Franzinelli, Storia della Resistenza, IX. Donne resistenti, Laterza, Roma-Bari, 2019.
D. Gagliani, Guerra, Resistenza Politica. Storie di donne, Aliberti, Reggio Emilia, 2006.
B. Guidetti Serra, Compagne. Testimonianze di partecipazione politica femminile, Einaudi, To-rino, 1977.
C. Liotti, N. Corsini, Pane, pace, libertà. I gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà a Modena (1943-1945), Centro di documentazione Donna, Modena, 2018. 
C. Lusuardi, Di pialla e scalpello. Oreste Gelmini, artigiano della democrazia, Edizioni CDL, Fina-le Emilia, 2013. 
M. Mafai, Pane nero, Mondadori, Milano, 1987.
M. Michetti, M. Ombra, L. Viviani (a cura di), I gruppi di difesa della donna 1943-1945, Udi, Roma, 1995.
M. Ombra, Le staffette del coraggio, il coraggio delle staffette, in «Patria Indipendente», Apri-le 2014, speciale 70° Anniversario della Liberazione.
C. Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena 1940-1945, Franco Angeli, Milano, 1986.

Referenze iconografiche:  Milano, 26 aprile 1945. Una sfilata di donne nel quartiere Brera nell’atto di consegnare le armi agli Alleati, Wikimedia Commons

Liviana Gazzetta

Dottore di ricerca in Storia sociale europea presso l’Università degli Studi di Venezia, è docente di Storia e Filosofia presso il liceo scientifico statale ‘Enrico Fermi’ di Padova e docente a contratto presso l’Università di Padova.
I suoi interessi di studio e la sua attività di ricerca si sono sviluppati nell’ambito della Storia delle donne e della Storia di genere in età contemporanea. Tra i suoi principali saggi le monografie Cattoliche durante il fascismo. Ordine sociale e organizzazioni femminili nelle Venezie, Roma 2011 e Orizzonti nuovi. Storia del primo femminismo in Italia (1865-1925), Roma 2018. Per la Società Italiana delle Storiche ha curato, insieme con Franca Bellucci e Alessandra Celi, il volume I secoli delle donne. Fonti e materiali per la didattica della storia, Roma 2019.