La psicologia "prima della psicologa"

La psicologia per la prevenzione e l’intervento nella scuola

L'articolo parte da una breve storia e utilizza alcune teorie psicologiche per riflettere su esempi di criticità che possono presentarsi a scuola. Qui, come in altre organizzazioni, la psicologia potrebbe svolgere un ruolo essenziale in una prospettiva di prevenzione, ben prima di ricorrere agli interventi individuali.

Iniziamo da una storia…

È finito il primo quadrimestre e c’è molta agitazione e preoccupazione nella terza Y. Il passaggio al secondo biennio del liceo, come accade sempre, è stato difficile per la maggior parte delle studentesse e degli studenti: soltanto 4 su 18 non presentano insufficienze, tutti hanno avuto risultati insoddisfacenti e molti presentano sintomi ansiosi e demotivazione. Per questo si richiede un colloquio al coordinatore di classe, con la presenza dei rappresentanti dei genitori per discutere le criticità principali.
Sono tre le materie rispetto alle quali emergono maggiori difficoltà e in tutti questi casi nei due anni precedenti c’è stata discontinuità didattica, dovuta al cambio degli insegnanti; inoltre, l’approccio metodologico di alcuni docenti conosciuti quest’anno mette in soggezione, e la classe è diventata apatica, non partecipa e non propone.
E ancora: al termine del quadrimestre due ragazze hanno cambiato sezione, dopo che avevano iniziato a nutrire dubbi sulle proprie capacità e a pensare di “non potercela fare”.
Nel corso del colloquio il coordinatore afferma che forse qualche docente tende a usare, per modo di dire, “più il bastone della carota”, e dichiara che discuterà della situazione della classe con il resto dei docenti, certo che ci sia la volontà di trovare insieme una modalità efficace di lavorare in classe. Inoltre, suggerisce di prendere in considerazione lo sportello per il supporto psicologico, un servizio che la scuola ha attivato da alcuni anni.

In questo articolo proverò a utilizzare alcune teorie psicologiche per riflettere sulla breve storia presentata e dimostrare come la psicologia possa svolgere nella scuola e in altre organizzazioni un ruolo essenziale, in una prospettiva di prevenzione e intervento, per contribuire al benessere di docenti e studenti. Il lavoro può svolgersi a livello istituzionale, di comunità e di gruppo, attraverso attività di consulenza, formazione, sensibilizzazione, supporto al cambiamento ecc.

Transizioni difficili

A proposito di cambiamento, “come accade sempre” è l’espressione da cui propongo di partire. Alcune transizioni sono sistematicamente più difficili, sfidano le risorse delle persone, richiedono un’elevata mobilitazione di energie, si associano a vissuti di malessere: in questi casi il supporto psicologico è importantissimo – penso all’orientamento tra cicli scolastici o verso il lavoro, ma anche a un trasferimento, a un cambiamento sentimentale, familiare, imprevisto o inatteso. Sorprende però che una transizione come questa, intra-scolastica (ma potremmo trovare equivalenti anche in altri contesti), sia sistematicamente critica: tra il biennio e il triennio c’è uno scarto tra conoscenze e competenze acquisite e richieste che potrebbe essere meglio gestito anzitutto a livello istituzionale (di sistema scolastico, visto che le conseguenze sono talora l’abbandono e il rallentamento del percorso), cercando un diverso equilibrio o un andamento più graduale negli anni, e poi a livello organizzativo, di singola scuola. Sarebbe molto importante, a questo scopo, non soltanto diffondere pratiche – già presenti in molti istituti – di recuperi in itinere e sportelli extra-orario, ma anche integrare la psicologia in un generale ripensamento di impostazione che sia utile a tutti i soggetti che operano nella scuola. Questo potrebbe facilitare la transizione tra un segmento scolastico e l’altro, non limitandosi al punto di vista disciplinare ma favorendo, da un lato, la crescita personale di studenti e studentesse e, dall’altro, fornendo ai docenti strumenti per migliorare e rendere sempre più efficaci i propri feedback di supporto all’apprendimento.
Se torniamo al “come accade sempre”, questa espressione è attraversata dalla resistenza al cambiamento, l’idea che, se è sempre andata così, andrà così “per sempre”. Anche in questo caso la psicologia può contribuire a motivare al cambiamento, supportando la riflessione sui percorsi scolastici, la leadership nelle specifiche scuole, la formazione e la riflessione critica e progettuale.

Esaurimento emotivo scolastico e risorse inadeguate

Un secondo punto su cui mi vorrei soffermare è relativo al cambiamento collettivo della classe, con un peggioramento dei risultati e un sentimento diffuso di preoccupazione e demotivazione. Quando un’intera classe sperimenta vissuti comuni possiamo considerare sistemico il problema: diversi studi hanno applicato il modello teorico delle richieste e delle risorse[1] all’ambito scolastico e accademico[2], evidenziando che i vissuti di esaurimento emotivo scolastico sono collegati a un eccesso di richieste a cui non corrispondono adeguate risorse (momenti di formazione integrativa, aiuto all’apprendimento ricevuto dal personale docente e dai pari, clima di apprendimento aperto). L’esaurimento emotivo è conseguenza di un eccessivo carico di studio, risente del peggioramento nel rendimento, per poi innescare un circolo vizioso in cui l’esaurimento a sua volta riduce la motivazione, le energie, l’impegno, fa percepire il carico di studio come insormontabile, concorre al peggioramento dei risultati.
In ambito scolastico – come in qualsiasi contesto organizzativo – le richieste sono fondamentali e devono esserci, sono la spinta per l’azione: e infatti quella teoria non afferma che si debbano annullare le richieste, ma che queste debbano essere bilanciate da un sistema di risorse adeguato. Quando è una singola studentessa o un singolo studente a sperimentare la condizione di impairment potrebbe trattarsi di mancanza di risorse personali (conoscenze, competenze, autoefficacia ecc.) e in questo caso sono adatti interventi individuali. Quando invece è un fenomeno diffuso è più probabile che sia il contesto a presentare richieste eccessive e risorse insufficienti: quando è così, gli interventi individuali sono inadatti perché fanno ricadere sulle singole persone le responsabilità collettive.

Approcci didattici e motivazione

Tornando all’esempio iniziale, quale ruolo ha avuto il nuovo approccio didattico rispetto al clima “apatico” della classe? Riferendoci alla nota teoria di Kurt Lewin, sappiamo che l’autoritarismo ha effetti negativi diretti sulla motivazione e sul rendimento qualitativo. In proposito, Lewin scriveva “[…] pochissime esperienze mi hanno impressionato tanto quanto il vedere come si trasformava l’espressione delle facce dei bambini al primo giorno di regime autocratico: il gruppo amichevole, aperto, cooperante e pieno di vita, diveniva in mezz’ora un’adunata apatica e priva d’iniziativa […]”[3]. All’opposto, anche l’approccio laissez-faire ha conseguenze dannose perché perde di vista gli obiettivi e genera disorientamento; l’approccio democratico, invece, il più impegnativo, richiede credibilità, coerenza, apertura e tempo, ma consente di ottenere i risultati migliori, associando rendimento e clima.

Il valore degli errori e dei feedback e il concetto di “autoefficacia”

In presenza di un obiettivo di apprendimento ambizioso, come quello che sopravviene nel passaggio dal biennio al triennio della scuola superiore, sono particolarmente efficaci le funzioni associate allo scaffolding[4] descritte da Jerome S. Bruner, David Wood e Gail Ross. Esse consistono nel suscitare l’interesse per il compito, iniziare semplificando per aumentare gradualmente la difficoltà, mantenere l’attenzione sull’obiettivo, riconoscere e insegnare a riconoscere i possibili errori, contribuendo in questo modo al controllo della frustrazione.
Nel processo di apprendimento sono fondamentali i feedback forniti, soprattutto nelle fasi preliminari e in itinere. In queste fasi, infatti, gli errori sono opportunità di apprendimento, chi sbaglia deve sentirsi protetto da giudizi e deve essere sostenuto nella comprensione delle ragioni dell’errore, a beneficio di tutti. La nostra è però una cultura che condanna l’errore, e lo fa in diversi contesti, spesso a partire dalla scuola. Ad esempio, un feedback durante un’interrogazione avvertito dagli studenti come particolarmente severo o riferito a un “difetto” di motivazione o attitudine può influenzare pesantemente l’autoefficacia, producendo demotivazione e disinvestimento. E proprio l’autoefficacia è un altro concetto cruciale nelle dinamiche di apprendimento. Introdotta da Albert Bandura[5], l’autoefficacia è la convinzione di potercela fare in un determinato ambito: influenza la motivazione, le scelte e la prestazione; a sua volta, è influenzata da diversi fattori, tra cui i risultati ottenuti, gli stati emotivi, gli esempi ma anche i feedback ricevuti da persone considerate “importanti”. Questo non significa che non si possano dare feedback negativi, ma che tali feedback, nel contesto dell’apprendimento, è utile siano accompagnati da alternative d’azione.

L’utilità della psicologia come prevenzione e formazione

Attraverso la psicologia possiamo dunque analizzare situazioni problematiche utilizzando una mappa teorica che aiuta la lettura dell’esperienza. La psicologia potrebbe di conseguenza supportare il collegio docenti, lavorare alla formazione/sensibilizzazione degli insegnanti, affiancare il lavoro della direzione scolastica, entrare nelle classi per far emergere più precisamente le criticità e sostenere le studentesse e gli studenti nella rielaborazione comune dei loro vissuti, per nutrire condivisione, collaborazione e propositività.
La psicologia si declina in metodologie multiformi e poggia su teorie talvolta persino ovvie, ampiamente conosciute nella loro versione semplificata, e condivise da molti, ma altrettanto spesso “dimenticate” nella vita quotidiana, dove invece la loro applicazione potrebbe essere un valido aiuto per accompagnare anche i non esperti alla scoperta di dinamiche individuali e collettive al fine di attuare i cambiamenti necessari nello specifico contesto.
Ecco perché potrebbe essere utile portare anzitutto la psicologia nei luoghi in cui si prendono decisioni organizzative, si vive la vita quotidiana, si ripensa insieme a ciò che accade. Questo significa affermare che “rivolgersi allo sportello di supporto psicologico” non serve? Assolutamente no. Gli interventi di supporto individuale sono momenti preziosi e dovrebbero essere disponibili, gratuiti e accessibili. Ma la psicologia serve anzitutto per ridurre al minimo la probabilità che le persone abbiano bisogno di una consulenza individuale come conseguenza di dinamiche problematiche, sulle quali è possibile intervenire o che addirittura si possono prevenire.

[1] Bakker, A. B., & Demerouti, E. (2024). Job demands–resources theory: Frequently asked questions. “Journal of Occupational Health Psychology”, 29(3), 188.
[2] Ghislieri, C., Sanseverino, D., Dolce, V., Spagnoli, P., Manuti, A., Ingusci, E., & Addabbo, T. (2023). Emotional Exhaustion and Engagement in Higher Education Students during a Crisis, Lessons Learned from COVID-19 Experience in Italian Universities. Social Sciences”, 12(2), 109.
[3] Lewin, K. (1948, tr. it. 1980). Resolving social conflicts, 1948, 121-122.

[4] Lo scaffolding è uno stile di insegnamento che sostiene e facilita lo studente e la studentessa nell’apprendimento di una nuova abilità o concetto, con l’obiettivo finale di renderlo autonomo. Derivato dalle teorie di Lev Vygotskij e ripreso da Jerome Bruner, prevede l’insegnamento di concetti/competenze oltre il livello a cui lo/la studente potrebbe arrivare in autonomia.
[5] Bandura, A. (1982). Self-efficacy mechanism in human agency. “American Psychologist”, 37(2), 122–147.

Referenze iconografiche: Studio Romantic/Shutterstock

Chiara Ghislieri

Chiara Ghislieri è professoressa ordinaria di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino. Svolge attività di ricerca sui temi della conciliazione lavoro-vita, del benessere al lavoro, della leadership e della formazione. È autrice di diversi articoli scientifici pubblicati su ResearchGate. Tra i suoi libri, Psicologia della conciliazione tra lavoro e famiglia (Cortina, Milano, 2014; con Lara Colombo); PassportTest. Uno strumento per rilevare le soft skill (PensaMultimedia, Openaccess, 2022, con Paola Ricchiardi e Federica Emanuel).
Per Sanoma Italia, è autrice dei corsi Le sfide della psicologia e, insieme a Adriano Favole e Giovanni Semi, Le sfide delle scienze umane.