Lo spirito olimpico

La rinascita delle Olimpiadi in età moderna

Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, momento in cui lo sport si stava diffondendo dall’Inghilterra all’Europa e al resto del mondo, il barone francese de Coubertin promosse l’idea di far rinascere i Giochi olimpici. Come sede delle prime Olimpiadi dell’età moderna fu scelta Atene, città simbolo della grande civiltà greca in cui i Giochi nacquero. La cerimonia inaugurale si svolse il 6 aprile 1896 e vi parteciparono 13 nazioni, ma fu soltanto con l’edizione di Londra del 1908 che le Olimpiadi acquisirono una vera e propria dimensione internazionale. Dopo la guerra, divennero l’appuntamento sportivo più prestigioso del mondo.

Le prime competizioni tra nazioni

Nella seconda metà dell’Ottocento iniziarono a tenersi le prime competizioni sportive fra le nazioni. Quella tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti fu intrapresa nel 1851, quando il Royal Yacht Squadron sfidò il New York Yacht Club dando origine al più famoso trofeo velico del mondo: l’America’s Cup (“Coppa America”). Nel 1877 si svolse la prima edizione del torneo di Wimbledon, il più antico evento tennistico ufficiale. La storia dello sport ricorda poi il primo meeting internazionale di atletica che si svolse al Manhattan Field di New York il 21 settembre 1895 tra il London Athletic Club e il New York Athletic Club.

L’internazionalismo dall’economia allo sport

La sfida fra nazioni attraverso lo sport era dunque già iniziata quando, alla fine del secolo, il barone francese Pierre de Coubertin (1863-1937) concepì l’idea di renderla un appuntamento stabile attraverso la rinascita delle Olimpiadi. Non era nuova l’idea di rilanciare i Giochi. Nel 1858 un ricco commerciante greco di cereali, Evangelis Zappas, aveva offerto a re Ottone di Grecia una donazione per ristabilire le antiche Olimpiadi, che si sarebbero dovute tenere, come tradizionalmente avveniva nell’antica Grecia, con cadenza quadriennale. Ma la proposta non ebbe successo.
Destinato invece ad avere un grande seguito fu il tentativo di de Coubertin, fondatore della Union des Sociétés françaises des sports athlétiques (“Unione delle società francesi degli sport atletici”). Nel novembre del 1892, in occasione del quinto anniversario della fondazione, nella sala riunioni della Sorbona, l’Università di Parigi, de Coubertin lanciò la proposta di organizzare dei nuovi Giochi olimpici, con l’intento di «ristabilire, su una base conforme alla vita moderna, una grande e magnifica istituzione». De Coubertin motivava il loro allestimento spiegando che l’esercizio sportivo avrebbe dovuto adeguarsi a quel processo di universalizzazione che, nell’età delle industrie, dei commerci internazionali e delle comunicazioni di massa, aveva messo in contatto popoli e nazioni diversi. «A poco a poco – argomentò de Coubertin – l’internazionalismo si è spostato sullo sport».
Da qui l’idea del ripristino delle Olimpiadi intese non più come gare fra le diverse città dell’antica Grecia, ma come momento di competizione fra le nazioni di tutto il mondo.

Il modello sportivo inglese

De Coubertin era cresciuto negli anni della Terza repubblica francese, e dunque nel clima di umiliazione al quale la Prussia aveva costretto la Francia in seguito alla sconfitta nella battaglia di Sedan (1870). Animato da un forte nazionalismo, egli aveva originariamente concepito l’idea di far coincidere la prima edizione delle Olimpiadi moderne con l’Esposizione Universale di Parigi, che si doveva tenere nel 1900. Ma il barone francese guardava anche ammirato ai primati dell’Inghilterra vittoriana.
Sulla scorta delle osservazioni dello scrittore e saggista Hippolyte Taine, che nel 1872 aveva pubblicato Notes sur l’Angleterre (“Note sull’Inghilterra”), dando l’avvio a un diffuso sentimento anglofilo, de Coubertin era convinto che l’elevato grado di sviluppo economico, sociale, culturale e bellico raggiunto dalla potenza imperiale inglese fosse dovuto proprio al sistema di istruzione e al ruolo che in esso aveva l’educazione sportiva. Attraverso lo sport gli allievi dei colleges inglesi imparavano i valori della competizione e si abituavano al primato del successo.
Erano esagerazioni? Resta il fatto che oggi un parco alla periferia di Waterloo ricorda una celebre partita di cricket che i soldati inglesi disputarono fra di loro prima di intraprendere la battaglia che, il 18 giugno 1815, avrebbe definitivamente sconfitto Napoleone e le sue armate.
Lo sport, dunque, avrebbe consentito il “riarmo morale” della nazione francese.

La creazione del Comitato Internazionale e della Carta olimpica

L’entusiasmo suscitato negli ambienti sportivi internazionali dall’idea di de Coubertin accelerò alquanto i programmi e già nel 1894, in occasione di un congresso preparatorio di esperti di educazione fisica, il delegato greco Dimitrios Bikelas propose di anticipare la data al 1896 e di far svolgere i primi Giochi olimpici moderni ad Atene. La proposta fu votata all’unanimità dai delegati (de Coubertin compreso). 
Per curare l’organizzazione del grande evento fu creato il CIO, il Comité International Olympique, noto in Italia come Comitato Olimpico Internazionale; inoltre venne scelto il motto latino citius, altius, fortius (“più veloce, più alto, più forte”) e fu stabilito un programma, la Carta olimpica, che – opportunamente aggiornata – è tuttora in vigore.
Seppur non comparabile con le ingenti somme che oggi si investono per una competizione olimpica, anche la prima edizione dei Giochi dovette affrontare problemi di carattere finanziario. Un ricco mercante greco, George Averoff, offrì un milione di dracme per la ricostruzione dell’antico Stadio Panatenaico. Altri proventi derivarono da sottoscrizioni e dall’emissione di una serie commemorativa di francobolli sportivi, i primi nella storia della filatelia.

Dilettantismo e assenza di medaglie d’oro

Il principio del dilettantismo, fortemente sostenuto da de Coubertin, costituì un rigido criterio di partecipazione alle gare olimpiche, tanto che per il vincitore non fu prevista la medaglia d’oro, che avrebbe fatto pensare a un movente di lucro, ma soltanto l’assegnazione di medaglie d’argento e di bronzo rispettivamente al secondo e al terzo classificato. Ai primi di ogni disciplina sarebbe spettato l’onore di vedere issato il proprio numero di gara e la bandiera nazionale sul pennone più alto; l’attuale sistema di medaglie sarà introdotto a Londra nel 1908.
Lo “sport pulito”, ovvero senza contaminazioni con somme di denaro, rimase a lungo l’ideale del movimento olimpico, pure in una realtà sportiva che si dimostrava, specialmente negli Stati Uniti, sempre più attratta dal denaro.
Sport sempre più aperti e inclini al professionismo – come il football o la boxe – sarebbero stati a lungo emarginati dalle competizioni olimpiche.

La cerimonia di apertura

La cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Atene si svolse il 6 aprile 1896 alla presenza di 285 atleti in rappresentanza di 13 nazioni: Australia, Austria, Bulgaria, Cile, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia, Svizzera e Ungheria. Tuttavia, la stragrande maggioranza degli atleti proveniva dalla Grecia, mentre il numero dei partecipanti delle altre nazioni era assai scarso: Svizzera, Danimarca, Svezia e Austria erano presenti ciascuna con soltanto un atleta. Dei sei atleti che componevano la rappresentativa britannica, uno era australiano e due erano camerieri presso l’ambasciata del Paese ad Atene.
Appassionata e numerosa fu la partecipazione di pubblico. Stando alle cronache, il giorno di apertura dei Giochi lo Stadio Panatenaico di Atene, costruito sul modello di quello antico di Delfi, ospitò 60 000 persone.

Le discipline in programma

Per almeno un quarantennio i ginnasti si opposero alle Olimpiadi. Il 15 maggio 1894 Nicolas Cupérus, esponente di primo piano della ginnastica europea, affermò che «la ginnastica e gli sport sono cose opposte ed essa ha sempre combattuto questi ultimi come incompatibili con i suoi principi». In realtà la ginnastica, pur in mezzo a queste polemiche, entrò nei programmi olimpici fin dalla prima edizione, assieme ad altre otto discipline sportive: atletica leggera, ciclismo, lotta, nuoto, scherma, sollevamento pesi, tennis e tiro sportivo.
Il greco Spyridon Louis (1873-1940) si aggiudicò la maratona, dando così alla Grecia il più prestigioso titolo olimpico, intestato all’eroe leggendario Filippide che nel 490 a.C. aveva corso da Maratona ad Atene per portare la notizia della vittoria dei greci sui persiani.

La mancata partecipazione italiana

Le Olimpiadi di Atene non ebbero grande eco in Italia. Il numero inaugurale della “Gazzetta dello Sport” uscì proprio tre giorni prima dell’evento, il 3 aprile 1896, ma all’ appuntamento internazionale non furono dedicate che scarne cronache.
Inoltre, il podista italiano Carlo Airoldi (1869-1929) fece le spese dei rigidi principi del dilettantismo su cui si basavano i Giochi: dopo aver percorso a piedi la strada da Milano ad Atene attraverso la Iugoslavia e l’Albania, non fu ammesso alla gara della maratona in quanto «reo» di avere accettato un premio di due lire in occasione di una competizione disputatasi tempo addietro in Italia.
Scarso fu l’interesse dell’Italia anche quando, nel 1908, fu proposto di celebrare la sesta Olimpiade a Roma, la seconda sede della classicità dopo Atene: l’allora Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti fece cadere del tutto l’iniziativa.

La svolta delle Olimpiadi di Londra del 1908

Alla fine di quella prima edizione, la famiglia reale greca avanzò la proposta di tenere sempre nella città di Atene i Giochi olimpici, con cadenza quadriennale. In seguito all’opposizione di de Coubertin, a cui stava a cuore lo svolgimento della manifestazione a Parigi, si giunse a un compromesso: il CIO stabilì che i Giochi si tenessero nuovamente nella capitale ellenica nel 1906, per celebrare il primo decennale olimpico, ma ritenne più opportuno che ogni edizione fosse ospitata da un Paese diverso, proprio per sottolineare il carattere universale dell’iniziativa.
Per la seconda edizione del 1900 venne scelta Parigi e per la successiva Saint Louis, negli Stati Uniti, ma questa prima edizione delle Olimpiadi organizzata fuori dall’Europa si rivelò un fallimento, in quanto per molti atleti la sede era troppo distante, e dei 496 partecipanti soltanto 64 provenivano da altri continenti.
Si dovette attendere la quarta Olimpiade, che si tenne a Londra nel 1908, perché la manifestazione ottenesse effettivamente piena risonanza internazionale, grazie soprattutto alla profonda cultura sportiva del paese ospitante. Grazie a una significativa sponsorizzazione, fu costruito nel quartiere londinese di Shepherd’s Bush uno stadio capace di ospitare 100 000 spettatori e dotato, al centro, di una piscina lunga 100 metri. Parteciparono oltre 2000 atleti di 22 nazioni - con una presenza di 68 italiani - e per la prima volta ci fu una partecipazione femminile nelle discipline del tennis e del pattinaggio.

Le Olimpiadi europee

Nel 1912 le Olimpiadi si tennero a Stoccolma, dove raggiunsero livelli di popolarità precedentemente sconosciuti, con la presenza di 28 nazioni e più di 3000 atleti. L’edizione successiva si sarebbe dovuta svolgere a Berlino, ma lo scoppio della Prima guerra mondiale ne impose la sospensione.
Le prime Olimpiadi del dopoguerra, nel 1920, furono assegnate ad Anversa come riparazione dei danni al Belgio provocati dai tedeschi durante il conflitto; alla Germania fu vietato partecipare, e con ciò fu inaugurato un criterio di esclusione che in più occasioni avrebbe fatto discutere sul principio dell’“universale fratellanza olimpica”.
Il primo trentennio olimpico si svolse quasi interamente in Europa, sia perché la traversata atlantica rappresentava un ostacolo alla partecipazione degli atleti, sia perché nel Vecchio continente, a differenza che negli Stati Uniti, non si tenevano altre regolari manifestazioni sportive di alto livello e di dimensione internazionale.

Uno spettacolo universale

Fra la Prima e la Seconda guerra mondiale, le Olimpiadi divennero l’appuntamento sportivo più prestigioso sul piano internazionale. Le innovazioni introdotte nei servizi telegrafici, che consentirono di inviare istantaneamente le fotografie degli atleti, lo spazio crescente che la cronaca sportiva trovava sui giornali e, soprattutto, il ruolo della radio, che stava in quegli anni diventando un mezzo di comunicazione di massa, trasformarono i Giochi in uno spettacolo universale.

La ritualità olimpica

La ritualità olimpica si è profondamente trasformata negli anni, divenendo una cartina di tornasole dell’evoluzione dello sport. A Stoccolma, nel 1912, si svolse per la prima volta la sfilata per nazioni. Ad Anversa, nel 1920, esordì la bandiera con i cinque cerchi concatenati, che rappresentano i cinque continenti. Nel 1932,a Los Angeles, fece la prima comparsa la fiamma olimpica e soltanto nel 1936, a Berlino, si inaugurò la tradizione della corsa della fiaccola da Olimpia (in Grecia) allo stadio in cui si svolge la manifestazione.
In anni più recenti, le cerimonie inaugurali hanno assunto quella forma di spettacolarizzazione che, in controtendenza all’originario spirito austero, è divenuta una delle caratteristiche dello sport contemporaneo.

Referenze iconografiche: Eye Ubiquitous/Alamy Stock Photo

Stefano Pivato

Ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Urbino, dove ha anche ricoperto la carica di rettore. Studioso delle culture popolari, è stato tra i primi storici a occuparsi del fenomeno sportivo, delle sue radici e delle sue implicazioni sociali e politiche. Tra le sue recenti pubblicazioni: L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata (con Marco Pivato), 2021; Tifo. La passione sportiva in Italia, 2022; Andare per colonie estive, 2023.