Il Seicento, “secolo d’oro” delle donne

La filosofia di fronte alla questione di genere

Una ricostruzione critica della storia del pensiero come luogo di emancipazione femminile.

Anche in seguito ai dati allarmanti relativi alla violenza sulle donne, la questione della discriminazione femminile si è imposta con forza nel recente dibattito pubblico soprattutto tra le giovani generazioni, che chiedono alla scuola l’introduzione di strumenti efficaci per affrontare questa sfida dei tempi presenti. Qual è il compito che può svolgere l’insegnamento della filosofia a questo riguardo? 

La questione di genere e la storia di filosofia

Accanto a un’educazione psico-affettiva finalizzata allo sviluppo della capacità di instaurare relazioni rispettose e paritarie, la questione di genere, soprattutto nella scuola superiore, non può non chiamare in causa l’aspetto culturale, cioè la ricostruzione critica delle idee del passato e, dunque, esige una rivisitazione dei contenuti e dell’impianto della manualistica filosofica.
Se si escludono alcune pensatrici della seconda metà del Novecento, che hanno trovato spazio negli ultimi anni, sono pochissime le filosofe che compaiono nei manuali di storia della filosofia. La cosa non è del tutto sorprendente, dal momento che soltanto in tempi recenti le donne hanno avuto pieno accesso a istruzione, professioni intellettuali, attività pubbliche e diritti.
Le ragioni dell’esclusione femminile dall’esercizio della filosofia - e in generale della produzione culturale - sono dunque di natura sociale, economica e politica.
Ma non dobbiamo trascurare il fatto che il pensiero filosofico non è stato soltanto il riflesso di una società patriarcale perché ha in parte contribuito a costruirla, sancendo una precisa gerarchia tra uomini e donne. La più coerente ed efficace teorizzazione della subalternità della donna rispetto all’uomo si deve infatti ad Aristotele che ha identificato una presunta “natura maschile” con la ragione, l’ordine e la capacità di comando e la “natura femminile” con l’emotività e l’irrazionalità. Rafforzato dalla filosofia tomista e, attraverso riformulazioni e varianti, dal pensiero moderno, questo paradigma androcentrico ha contribuito a giustificare un assetto della società in cui la parte maschile predomina e quella femminile soggiace.
Una storia della filosofia attenta alla questione di genere, dunque, deve basarsi sulla convinzione che gli assetti sociali e i rapporti di potere (quella che Marx chiamava la «struttura» della storia) non sono sempre e in modo meccanico la causa delle idee filosofiche. Queste si intrecciano in modo complesso con l’assetto socio-economico, di cui sono, ad un tempo, giustificazione teorica e prodotto, causa ed effetto. La discriminazione di genere è dunque nelle cose - le strutture sociali e familiari - ma è anche nelle idee e nelle visioni del mondo, nel modo cioè in cui comprendiamo le cose.

La decostruzione critica del paradigma androcentrico

Per restituire alle donne uno spazio nella storia della filosofia non basta, pertanto, inserire nel testo delle isolate figure femminili che si sono imposte come eccezioni al monopolio maschile del sapere, perché in tal modo non si farebbe che ribadire, anche in un manuale di filosofia, l’esclusione delle donne.
Si tratta piuttosto di decostruire criticamente il paradigma filosofico androcentrico, esplorandone la complessità, le varianti interne, la sua declinazione nel tempo, mostrando come, nei secoli, abbia forgiato mentalità, istituzioni e comportamenti, escludendo le donne dal sapere.
Questo non significa erigere un “tribunale” della storia della filosofia in cui condannare Aristotele come padre del patriarcato e altri pensatori quali, tra gli altri, Tommaso d’Aquino, Rousseau e Schopenhauer come “politicamente scorretti”. Ma non si tratta nemmeno di “assolvere” le idee del passato come se fossero il riflesso inconsapevole di un’epoca del mondo.
Accanto alle battaglie giuridiche, economiche e sociali, la storia del pensiero è uno dei “luoghi” in cui si realizza la progressiva emancipazione della donna e prende corpo un pensiero femminile e femminista. La storia della filosofia è infatti sicuramente la storia dei «dispositivi», per usare un termine di Michel Foucault, simbolici e dei paradigmi culturali con cui i detentori del potere hanno cercato di giustificare la divisione dell’umanità in classi, in razze e in generi. Ma è anche la storia di una battaglia interna alla stessa coscienza filosofica, che ha visto contrapporsi coloro che hanno usato le idee come l’arma del più forte a quanti invece le hanno usate per combattere la manipolazione ideologica e i meccanismi di dominio. Così, quella stessa forza delle idee che era stata usata per diffondere il pregiudizio maschilista ha consentito a donne - e uomini, seppure in numero minore - di pensare l’impossibile, mettere in discussione i paradigmi consolidati e idee diventate luoghi comuni.

 

Un esempio di didattica storico-filosofica sulla questione di genere: il Seicento come “secolo delle donne”


Razionalismo e “femminismo cartesiano”

Indagare il paradigma androcentrico nel suo svolgimento storico consente di scoprire che, prima del Novecento, il “secolo d’oro” delle donne è il Seicento. Con la sua fiducia nella ragione e in una conoscenza «chiara e distinta», infatti, il razionalismo cartesiano offre un efficace strumento per liberare la cultura del XVII secolo dall’oscurantismo, dai pregiudizi e dai luoghi comuni, compreso quello dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo. E non è un caso, dunque, che in questo periodo si mettano in luce delle vere filosofe assenti nella manualistica tradizionale, che non soltanto indagano i motivi della discriminazione femminile, ma offrono anche un contributo originale alla riflessione filosofica in generale.
A dare avvio a quello che è stato definito “femminismo cartesiano” è François Poullain de la Barre (1647-1723), un teologo cattolico convertito al calvinismo.
Nel suo trattato Sull’uguaglianza dei sessi (1673), Poullain introduce una sorta di slogan che comincia a circolare diffusamente: «la mente non è il corpo, la mente non ha sesso». Secondo Poullain, la netta separazione operata da Cartesio fra la «sostanza pensante» e la «sostanza estesa» consente di svincolare la ragione del singolo individuo dal suo corpo, e dunque da fattori anatomici e fisiologici come il sesso. L’ontologia dualistica cartesiana consente insomma di dedurre l’uguaglianza dei sessi e l’assurdità logica della discriminazione delle donne, dal momento che «la mente è uguale e della medesima natura in tutti».
Il dualismo cartesiano rappresenta il superamento della teoria umorale elaborata nell’antichità da Galeno, che, ispirandosi ad Aristotele, attribuiva alla prevalenza di uno degli umori organici (bile, sangue e flegma), un corrispondente modo di essere della mente e una diversa condizione psicologica. Secondo questa prospettiva il corpo sessuato della donna, più freddo di quello maschile, era alla base delle sue diverse inclinazioni e capacità.
Sulla questione della donna il Settecento, che pure è il secolo della Ragione, rappresenta una battuta d’arresto. Separata dalla materia corporea, la ragione, secondo Cartesio, prescinde da ogni qualificazione corporea e sessuale ed è un patrimonio neutro e universale, che supera la distinzione di genere. La cultura illuministica, soprattutto quella diffusa dall’Encyclopédie di Diderot, ha, invece, un’impostazione sensista e materialista che induce medici e filosofi a concentrarsi sugli aspetti fisiologici della conoscenza, sull’importanza del corpo, sulla sessualità quale criterio di distinzione tra l’uomo e la donna. Ed è per questo che, pur sostenendo l’uguaglianza umana, i philosophes non riusciranno a liberarsi dal pregiudizio misogino, essendo convinti che il legame della donna con la funzione riproduttiva ne faccia un essere legato indissolubilmente alla natura e, di conseguenza, sottratto alla storia. In tal modo la donna appare impossibilitata ad evolvere e a realizzare quel progresso di cui proprio l’Illuminismo si fa convinto promotore.

 

Poullain e la critica del pregiudizio maschilista

Rispetto alla questione femminile Poullain assume una posizione decisamente controcorrente: «Tutto ciò che è stato scritto dagli uomini sulle donne – egli afferma – deve essere sospetto, in quanto gli uomini sono allo stesso tempo giudici e imputati». Questa dichiarazione, che non a caso nel 1949 sarà scelta da Simone de Beauvoir come epigrafe per Il secondo sesso, ossia per l’opera che darà avvio al movimento femminista contemporaneo, svela il presupposto e l’intento della riflessione del teologo francese: smascherare quei pregiudizi sulla donna che nel corso dei secoli sono stati diffusi dagli uomini «per confondere lo spirito e non istruirlo», a partire dalla falsa idea aristotelica che le donne, in virtù del loro sangue più freddo di quello maschile, siano volubili, incostanti e incapaci di decidere. In realtà, una conoscenza adeguata mostra che «le donne sono altrettanto nobili, perfette e capaci quanto gli uomini», e che tutti i difetti comunemente attribuiti al sesso femminile sono da imputare esclusivamente alla mancanza di educazione.


Le pensatrici “cartesiane”

Al dibattito sollecitato da Cartesio partecipano anche alcune donne la cui attenzione è attirata soprattutto dalla questione, centrale nel cartesianesimo, della relazione tra mente e corpo su cui elaborano idee originali spesso in dissenso con il grande filosofo francese.
La filosofa Anna Maria van Schurman (1607-1678), amica e discepola di Cartesio, una delle donne più colte del XVII secolo, tanto da essere soprannominata dai suoi contemporanei “la Minerva olandese”, nel 1639 pubblica una Dissertazione sull’attitudine della mente femminile nel campo delle scienze e della letteratura, in cui sostiene una tesi coraggiosa e sovversiva per i tempi: che alle donne deve essere concesso di dedicarsi a tempo pieno alla carriera intellettuale, avendone i mezzi e la disponibilità dal momento che le loro facoltà cognitive sono pari a quelle degli uomini.
Legata a questa sorta di “femminismo cartesiano” è anche Elisabetta del Palatinato (1618-1680), figlia di Federico V, re di Boemia. Nota per la sua vasta cultura e per la voracità con cui studiava e leggeva, Elisabetta intrattiene con il filosofo francese un profondo legame di amicizia e un lungo scambio epistolare di cui ci sono rimaste 26 lettere della principessa e 33 di Cartesio. Lo studio degli scritti di Elisabetta svela una raffinata competenza filosofica che le consente di discutere “alla pari” con il massimo filosofo del tempo.
Elisabetta concorda con Cartesio nel separare la mente dal corpo, ossia l’identità razionale di un individuo dai suoi elementi somatici, ma, ai suoi occhi, il razionalismo cartesiano appare come un’arma a doppio taglio per le donne: da una parte offre un argomento per l’uguaglianza dei sessi, ma dall’altra, affermando che la mente è disincarnata, asessuata e identica per uomini e donne, rischia di annullare la specificità femminile: «Il mio corpo è imbevuto da una gran parte delle debolezze del mio sesso, per cui risente molto facilmente delle afflizioni dell’anima. (Lettera del 24 maggio 1645, in R. Descartes, Tutte le lettere. 1619-1650, a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Milano 2003, cit., p. 2015)
Anticipando il cosiddetto “femminismo della differenza” del Novecento, Elisabetta difende l’idea che l’identità del soggetto passi anche attraverso il rapporto con il corpo, ma non nel senso aristotelico per cui la donna è un maschio mancato, anatomicamente difettoso, ma nel senso che il corpo della donna ha una specificità che la rende differente dal maschio.

Testi consigliati
  • Cavarero, F. Restaino, Le filosofie femministe, Bruno Mondadori, Milano 2002 
  • Facchi, O. Giolo, Una storia dei diritti delle donne, Il Mulino, Bologna 2023
  • Sissa, L'errore di Aristotele. Donne potenti, donne possibili, dai Greci a noi, Carocci, Roma 2023
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L’avventura del pensiero
È tempo di filosofia

Il punto di vista espresso in questo articolo è stato adottato nei nuovi manuali di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero (con la collaborazione di Giancarlo Burghi) L’avventura del pensiero e È tempo di filosofia, Paravia 2025.

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Referenze iconografiche:  Jan Lievens, Ritratto di Anna Maria van Schurman,1649, olio su tela, Londra, The National Gallery
© National Gallery, London/Wikimedia Commons

Giancarlo Burghi

È docente di storia e filosofia nella Scuola secondaria di secondo grado. Nella sua collaborazione con Rai Educational, è stato curatore dell’ Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche e autore di prodotti multimediali e di programmi televisivi. Si è occupato in particolare dell’applicazione delle nuove tecnologie alla didattica della filosofia.
Per Sanoma, collabora da molti anni alla realizzazione dei manuali di Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero fino ai recenti L'avventura del pensiero e È tempo di filosofia, Paravia 2025.