Aleksej Naval’nyj e la fine dell’era post-sovietica

Aleksej Naval'nyj è morto in carcere il 16 febbraio 2024. La sua vita e la sua lotta si sono interrotte tragicamente, ma la sua vicenda personale ha un significato storico generale ed è indicativa del destino di tutta la prima generazione post-sovietica.

Il significato storico della vicenda di Naval'nyj

Aleksej Naval'nyj è morto in carcere il 16 febbraio 2024, nella prigione a regime speciale nell'insediamento di Kharp (regione autonoma dello Yamalo-Nenets), uno dei luoghi di detenzione più settentrionali della Russia, al di sopra del Circolo polare artico. La sua vita e la sua lotta si sono interrotti tragicamente, ma la sua vicenda personale ha anche un significato storico generale, perché è indicativa del destino di tutta la prima generazione post-sovietica. Per noi - e io appartengo alla stessa generazione -, le libertà e l'indipendenza individuale, politica, economica e morale erano un prerequisito per l'esistenza. Da adolescenti, abbiamo visto Stati, economie e società distruggersi e rinascere. In età adulta, negli anni Novanta, abbiamo cercato di correggere gli errori commessi dall'ultima generazione sovietica nella costruzione di Stati e nazioni postsovietici. All’inizio del XXI secolo, abbiamo tentato di dare una seconda vita alla democrazia liberale e al progetto di pace paneuropeo. La nostra generazione, che oggi vive in diversi Paesi dell'Europa e dell’Eurasia, ha subito una sconfitta storica con l'inizio della guerra russo-ucraina.

 

L’impegno politico e il problema della corruzione in Russia

Aleksej Naval'nyj era un uomo della Russia periferica, sebbene fosse nato vicino a Mosca, a Butyn, il 4 giugno 1976. Ha studiato legge e finanza nella capitale, ma non in un'università di primo piano. Come molti della nostra generazione, negli anni Novanta studiava e, parallelamente, avviava una piccola impresa. Credevamo infatti che l'indipendenza finanziaria fosse un prerequisito per una libera azione civica e politica.

Naval'nyj ha iniziato il suo impegno politico nel 2000, diventando membro del partito liberale “Yabloko”[1]. Nel 2004 ha dato prova di iniziativa politica creando il “Comitato per la difesa dei moscoviti”, un movimento municipale contro la corruzione nel settore dell'edilizia di Mosca. In questo comitato l’esperienza imprenditoriale e politica di Naval'nyj ha iniziato a confluire in un’unica direzione: la lotta alla “cleptocrazia” e alla corruzione sistemica che andava emergendo sotto la presidenza di Vladimir Putin, eletto per la prima volta nel 2000 e ancora oggi al potere in seguito alle elezioni del marzo 2024.

L’espressione “corruzione sistemica” è scientificamente controversa ma descrive precisamente il modo in cui il potere politico e il capitale finanziario sono organizzati nella maggior parte dei Paesi post-sovietici, compresa la Russia. Questo sistema di relazioni di potere è strutturato come una rete informale di patroni e clienti che permea le istituzioni - governo, parlamento, tribunali, amministrazioni locali, mass media, partiti, e organizzazioni civiche - ma anche gruppi criminali e, naturalmente, grandi aziende. Tale sistema può essere strutturato come un regime di "molte piramidi" o come un regime a "una piramide". Nel primo caso, le relazioni di potere sono costruite intorno agli oligarchi e ai loro clan, che controllano diverse parti dello Stato e dell'economia e competono tra loro per il potere e il denaro (ne sono esempi l'Ucraina e la Georgia, nonché la Russia degli anni Novanta). Il regime a "una piramide" è in realtà una dittatura in cui il gruppo che governa si regge utilizzando le istituzioni formali e le reti informali. Putin ha progressivamente costretto gli oligarchi e i loro clan a entrare nella sua “piramide” di potere, e coloro che hanno opposto resistenza sono stati imprigionati o costretti a lasciare il Paese. Nella Russia di oggi, soltanto i clan che sono completamente fedeli al presidente possono operare e ricavare enormi guadagni dalla piramide statale. All’interno di questa rete, non c'è spazio per la democrazia, i diritti civili, la libertà di espressione e i diritti dei piccoli imprenditori e degli azionisti di minoranza.

Per tale ragione, nei suoi progetti Naval'nyj ha unito la lotta alla corruzione a livello cittadino, regionale e nazionale a quella per l’affermazione di una politica democratica in Russia. Attraverso l’Unione degli azionisti di minoranza ha posto l’obiettivo di proteggere i diritti dei piccoli investitori privati e di limitare l’arbitrarietà dei monopoli che sono stati il fondamento del regime di Putin. Naval'nyj ha coinvolto i russi apolitici nella politica e nell’azione civica attraverso la difesa dei loro interessi economici. In questo modo, ha dato alla periferia sociale e geografica russa la possibilità di provare a influenzare la politica federale.

 

La fondazione anti-corruzione

Negli anni Duemila, Naval'nyj è stato coinvolto in progetti giornalistici e mediatici che hanno fornito una piattaforma di dibattito alla opinione pubblica democratica russa dell’epoca. Gli interventi mediatici gli hanno permesso di creare una rete di persone provenienti da diversi settori e regioni della Russia che potessero unirsi sui diritti civili ed economici e costituire un’alternativa al sistema politico di Putin. Questo movimento è diventato la base per la creazione, nel 2011, della Fondazione anti-corruzione.

La Fondazione ha condotto molte indagini che hanno inferto un colpo tangibile alla reputazione di Putin e del suo entourage. Utilizzando gli spazi residuali della stampa libera e i nuovi social media, Naval'nyj e i suoi associati sono riusciti a informare i russi sui superprofitti dei loro leader e degli oligarchi. Conosco personalmente molti brillanti avvocati, analisti politici ed attivisti per i diritti umani che si sono uniti al lavoro della Fondazione e hanno visto un’opportunità per far uscire il Paese dall'autocrazia. Le loro indagini sulla corruzione nel governo federale, nelle autorità locali e nelle aziende statali sono state riconosciute non solo dalle società occidentali, ma anche dal regime di Putin: nel 2019, il governo russo ha dichiarato la Fondazione anti-corruzione un “agente straniero” e le sue attività sono state totalmente interrotte entro il 2021. Oggi, la maggior parte degli specialisti coinvolti nei progetti della Fondazione è emigrata in Occidente.

 

Da attivista per i diritti a leader dell’opposizione

Nel 2010 ho avuto l’opportunità di incontrare personalmente Naval'nyj a Boston. All’epoca stavo svolgendo un tirocinio presso l’Università di Harvard e Naval'nyj era a Yale, dove partecipava a un programma di sviluppo della leadership democratica. La nostra conversazione verteva sulle strutture della corruzione sistemica post-sovietica, oggetto della mia ricerca di allora. Da questa discussione ho avuto la sensazione che Naval'nyj fosse impegnato nella lotta alla corruzione non tanto come attivista per i diritti umani, ma come politico e statista, che capiva come rafforzare le istituzioni in modo tale da contrastare l’influenza di clan, oligarchi e potenti. A questo scopo, era pronto ad allearsi con diverse forze russe, non soltanto democratiche e liberali.

Naval'nyj ha accumulato in questo modo il suo capitale politico come candidato alle elezioni parlamentari (2011), a sindaco di Mosca (2013) e a presidente della Russia (2018), e ha saputo trasformare i suoi fallimenti elettorali in un ancor più grande capitale politico, che ha investito nella guida di movimenti di protesta. Negli anni Dieci del Duemila, le proteste a Mosca e nelle regioni russe hanno unito non soltanto attivisti di movimenti liberali, di sinistra e di vari movimenti civici, ma anche nazionalisti e radicali di destra. Aleksej Naval'nyj credeva che un’alleanza così contraddittoria potesse garantire una vittoria su Putin. In effetti io stesso e molti degli amici dell’Euromaidan[2] credevamo, purtroppo, nella liceità di tali alleanze: noi liberali post-sovietici pensavamo di poter controllare i nazionalisti ma, ahimè, ci sbagliavamo.

Allo scoppio della prima guerra contro l’Ucraina nel 2014, Naval'nyj ha assunto una duplice posizione. Da un lato, ha intensificato le critiche a Putin all’interno della Russia e ha esortato i governi occidentali a imporre sanzioni che colpissero i membri della cerchia del regime e limitassero le capacità militari del Paese (a questo proposito, vale la pena notare che le sanzioni non colpiscono soltanto i leader politici ed economici, ma anche la popolazione in generale, spesso aumentando la popolarità di Putin piuttosto che quella dell'opposizione pro-europea). Dall’altro lato, Naval'nyj ha riconosciuto la Crimea come parte della Russia, minando così la sua credibilità in Ucraina e in Europa. Pur avendo egli stesso radici in Ucraina per parte di padre, non è sempre riuscito a mantenere una coerente linea anti-imperialista.

Nonostante questa ambiguità - o forse proprio grazie ad essa -, durante la svolta repressiva attuata da Putin nel 2013-15, Naval'nyj è diventato uno dei pochi leader dell’opposizione riconosciuti all’interno della Russia. Lo status di leader dell’opposizione nell’ultimo decennio ha avuto anche ricadute esistenziali. Molti esponenti di spicco dell’opposizione sono stati tagliati fuori dalle loro radici e dalla società: sono stati costretti all’esilio o mandati in prigione per motivi volutamente inverosimili, e spesso vergognosi. L’ “attivista anticorruzione” Naval'nyj, ad esempio, è stato condannato, tra le altre cose, per “partecipazione alla corruzione”. Nel 2019 e nel 2020 la sua vita è stata messa a repentaglio: si è tentato di avvelenarlo. Il secondo avvelenamento, con il famigerato “Novichok” (un veleno vietato dalle convenzioni internazionali), lo ha portato in Germania per essere curato.

Dopo la guarigione, nel 2021, Naval'nyj ha deciso di rientrare in Russia, pur consapevole di quanto sarebbe stato rischioso. Probabilmente contava sul fatto che sarebbe stato in grado di continuare la sua lotta e di rafforzare le proteste all’interno del Paese, dove nel frattempo l’inadeguatezza delle autorità durante la pandemia di covid era diventata evidente. Lo stesso calcolo - o lo stesso errore - ha portato al ritorno di Mikhail Saakashvili in Georgia nel 2021, o ha impedito a Maria Kolesnikova di emigrare dalla Bielorussia nel 2020. Tutti e tre erano pronti a combattere e si aspettavano che questa disponibilità fosse sostenuta dai concittadini. Le loro scelte si sono rivelate eroiche ed erronee, e tutti i tre sono finiti in prigione, mentre le proteste sono state stroncate sul nascere dalle autorità dei loro rispettivi Paesi.

Naval'nyj ha risposto alle sfide poste alla sua vita e alla sua libertà con un coraggio ammirevole. Ad ogni nuova condanna e ad ogni nuovo arresto, la sua autorevolezza sembrava crescere. A differenza di molti esponenti dell'opposizione di sinistra imprigionati nelle carceri russe, Aleksej è rimasto sempre visibile, sia tra le élites occidentali sia tra i leader della frammentata emigrazione russa. Ma egli era anche ricordato in Russia, il che rendeva la sua posizione unica. I leader dell’opposizione emigrati hanno avuto sempre meno influenza sulla società russa, e soltanto lui ha tenuto l’ultima barricata all’interno del Paese.

La morte ha stroncato la lotta di Naval'nyj. Ma i cittadini che ha coinvolto in politica stanno continuando il suo lavoro e daranno prova di sé. Chi ha osservato il comportamento dei russi al suo funerale e dopo ha potuto constatare che la libertà in Russia ha un futuro, anche se lontano.

 

IL CONTESTO STORICO

L’era post-sovietica

Senza dubbio, Aleksej Naval'nyj può essere definito un eroe del nostro tempo. E se sopra ho descritto il suo percorso, può essere utile ora descrivere il tempo in cui ha dovuto condurre la sua lotta.

L’era post-sovietica è durata poco, 33 anni, dal 1989 al 2022. Questa è iniziata con la liberalizzazione dell’Urss e del “Blocco orientale”, che ha portato alla fine del sistema sovietico e alla nascita di nuove nazioni, Stati ed economie. La società sovietica era fortemente centralizzata e la caduta delle istituzioni che garantivano questo centralismo - tra cui il Partito comunista e le sue reti globali, il Kgb e l’esercito sovietico con le sue basi in tutta Europa orientale - ha permesso agli individui e alle comunità locali e nazionali di scegliere il proprio destino e di diventare parte di una storia inaspettata. Nel 1991, il marxismo sovietico aveva ormai perso la sua influenza “magica” considerata scientificamente fondata su un futuro prevedibile. Nell’Europa orientale e nell’Eurasia settentrionale, la libertà era arrivata sotto forma di crollo di un futuro comunista inevitabile.

Al posto di un grandioso futuro, la transizione post-sovietica si presentava associata al presente, a una prospettiva neoliberale corta e vicina. In questo contesto, la transizione dalla dittatura comunista alla “normale democrazia capitalista” doveva avvenire lungo quattro direzioni.

  1. La democratizzazione avrebbe dovuto abbattere le strutture del potere unificato tipiche dei regimi comunisti del XX secolo; la separazione dei poteri, il rafforzamento dell’autogoverno locale e la promozione delle libertà individuali avrebbero dovuto stabilire sistemi politici stabili e liberi.
  2. Lo sviluppo dei liberi mercati, connessi all’unico mercato globale, doveva fornire alle nuove nazioni e alle loro popolazioni il reddito necessario a garantire l’indipendenza economica dei cittadini. Nei Paesi post-comunisti il mercato doveva sostenere la democrazia.
  3. Inoltre, la transizione post-comunista richiedeva che la democrazia e il mercato fossero radicati nella cultura locale. A questo proposito, la transizione era legata alla nazionalizzazione dei nuovi Stati ed economie. Idealmente, le nuove società dovevano essere legate da un “nazionalismo civico” che avrebbe garantito la stabilità della vita sociale e la realizzazione delle riforme democratiche ed economiche.
  4. La quarta direzione era l’europeizzazione. Le nuove e le vecchie democrazie avrebbero dovuto creare un’unica regione di pace e cooperazione estesa da Dublino a Vladivostok.

Un’occasione mancata

All’inizio del XXI secolo, la transizione post-sovietica aveva già dimostrato di essere lontana dai risultati attesi. Il processo di democratizzazione è stato molto ridotto nella maggior parte dei Paesi ex comunisti. L’Azerbaigian e gli Stati dell’Asia centrale erano governati da dittature. Dopo una libertà caotica e di breve durata, in Russia, la lunga “autocratizzazione” è iniziata nei primi anni Duemila. I popoli di Georgia, Moldavia e Ucraina sono riusciti a mantenere un minimo di democrazia, ma gli oligarchi e i loro clan hanno abusato della libertà politica, tenendone i frutti per sé. Soltanto gli Stati baltici, fortemente influenzati dall’Unione europea e dalla Nato, hanno creato democrazie stabili e relativamente liberali.

Le economie post-sovietiche si sono orientate per lo più all’esportazione, e anche i capitali emersi sono stati esportati verso banche e giurisdizioni occidentali. Inoltre, la “maledizione” delle risorse in Azerbaigian, Kazakistan e Russia ha sostenuto le tendenze autoritarie: il petrolio e il gas si sono rivelati il fattore che ha posto ulteriori minacce alle libertà politiche ed economiche. Con queste enormi riserve di risorse naturali, infatti, le economie e le società non hanno motivo di sviluppare settori sofisticati e i redditi dei cittadini dipendono dalla ridistribuzione dei petroldollari da parte di "governanti premurosi". Il vero paradosso è stato che più un Paese diveniva libero (a parte gli Stati baltici), meno ricca era la sua popolazione. Nelle autocrazie, infatti, i dittatori, per mantenere il proprio potere personale, hanno sottomesso gli oligarchi e ridistribuito la ricchezza in modo più misurato, mentre nelle fragili democrazie della Georgia e dell’Ucraina, gli oligarchi hanno esportato capitali e contribuito a frenare lo sviluppo economico e ad aumentare l’emigrazione.

La nazionalizzazione non ha rafforzato la democrazia. Al contrario, ha facilitato l’emergere di nuove autocrazie e regimi nazional-conservatori. E l’europeizzazione non ha potuto impedirlo. I conflitti tra le nuove nazioni sono cresciuti, anche approfondendo il conflitto tra la Russia e l’Occidente. Insieme, questi conflitti hanno portato a nuove guerre, prima tra Russia e Georgia nel 2008 e poi tra Russia e Ucraina dal 2014.

 

La fine del periodo post-sovietico

Nel 2022, l’aggressione su larga scala della Russia contro l’Ucraina ha posto fine al periodo post-sovietico. Gli ultimi segni di “transizione” erano finiti, le nazioni che un tempo facevano parte dell’Urss avevano prospettive di sviluppo molto diverse e cominciavano a entrare in nuove aree geopolitiche. L’Europa dell’Est e l’Eurasia settentrionale sono diventate uno spazio di guerra, di non-libertà e di odio.

La Russia ha svolto un ruolo particolare nella diffusione della non-libertà e delle guerre. Il programma autoritario di Putin ha prima spento tutti gli impulsi democratici all’interno del Paese, poi è entrato in conflitto con il progetto paneuropeo. L’anti-occidentalismo e il sovranismo sono diventati una parte importante del disegno ideologico del regime e, in più, questo mix ideologico ha trovato sostenitori in Eurasia, nella stessa Europa e in molte altre parti del mondo.

Negli anni Venti, il “leader perenne” della Russia è riuscito a creare una cintura autoritaria nell’Europa orientale, estesa da Ankara a Baku, ad Astana, a Minsk e a Mosca. Dopo l’attacco russo all’Ucraina nel 2022, i regimi e le economie di questa “cintura” sono diventati per il Cremlino un’importante fonte di rifornimento di risorse. Questi stessi regimi hanno inoltre contribuito al tramonto del sogno irrealizzato di un’Europa unita, rendendo il Consiglio d’Europa, che un tempo armonizzava i sistemi giuridici e politici della nostra macroregione, un’organizzazione inutile.

La generazione di Naval’nyj ha partecipato a tutti questi processi. Nei Paesi post-sovietici abbiamo cercato di correggere gli errori di coloro che hanno attuato la transizione negli anni Novanta, permettendo l’impoverimento di massa, la rivoluzione criminale, l’emergere dell’oligarchia e la crescita della nostalgia per gli autocrati di stampo sovietico. Siamo andati alle proteste, abbiamo partecipato alle “rivoluzioni colorate”, abbiamo combattuto la corruzione e introdotto riforme. Ma l’opportunità data dalla storia ai Paesi post-sovietici nel 1991 è stata persa. Per i russi, questa occasione mancata è diventata, all’inizio del XXI secolo, la base per una scelta a favore del conservatorismo sociale di Putin. E poi, già privi di scelta e di elezioni libere, i russi hanno seguito il loro leader in guerre e repressioni sempre più frequenti.

Naval'nyj ha rappresentato un’alternativa a Putin per il futuro della Russia. Il suo progetto prometteva più diritti civili, un freno alla corruzione e un dialogo non facile con l’Occidente e i vicini dell’Europa orientale. Questo progetto era realistico e non-utopico, e come tale era particolarmente pericoloso per il Cremlino.

La morte di Aleksej Naval'nyj non ha messo fine a questo progetto, ma ha fatto slittare di diversi decenni la prospettiva di un futuro libero per la Russia e per tutta l’Eurasia settentrionale. Nel frattempo, una nuova era si sta dispiegando davanti ai nostri occhi, cambiando i contorni del sistema-mondo e dell’Europa. Siamo entrati in un mondo di guerra, militarismo, povertà e odio crescenti. Il nostro futuro dipende ora da nuovi eroi che, si spera, saranno più saggi e creativi di noi.

 

[1] Il termine significa la “mela”, se tradotto letteralmente; ma il nome in russo è composto dalle prime lettere dei cognomi dei leader del partito - Javlinskyj, Belov ed altri.

[2] Movimento di protesta sviluppatosi in Ucraina nel 2013, nella piazza Maidan di Kyïv, contro la decisione del presidente Janukovyč di non sottoscrivere il trattato di associazione con l’Unione europea.

Referenze iconografiche: Omaggio a Naval'nyj, (c) Michele Ursi / Alamy Stock Photo

Mikhail Minakov

Mikhail (Mykhailo) Minakov è consulente senior presso il Woodrow Wilson Center for International Scholars (Washington, DC) e caporedattore del blog "Ukraine Focus" del Kennan Institute. Tra i suoi libri recenti: Philosophy Unchained. The Philosphical Development in post-Soviet Societies (2023); Inventing Majorities. Ideological Creativity in Post-Soviet Societies (2022); Dialettica della modernità nell'Europa orientale (2022); From "The Ukraine" to Ukraine (con Georgii Kasianov e Matthew Rojansky (2021). Collabora inoltre con le riviste “Russian Politics and Law”, “Protest”, “Southeastern Europe”, “Transit”, “Studi slavistici”, “Mondo economico”, “Ukraina moderna” e “Filosofesca dumka”.