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Nelle pieghe dell'origami

Scritto da Francesco Decio e Laura Papetti | ott 30, 2024

Con il termine giapponese «origami», che significa letteralmente «piegare la carta», si fa riferimento all’arte giapponese di realizzare modelli bi o tridimensionali raffiguranti oggetti, esseri viventi o forme astratte attraverso la piegatura della carta, secondo schemi e rapporti geometrici precisi. Al convegno Monza matematica, organizzato da Sapyent , ente di formazione accreditato MIUR, ho conosciuto Francesco Decio, un origamista appassionato che si dedica alla diffusione di questa pratica in ogni ambito in cui ci sia bisogno di cura, attenzione e concretezza.

Francesco Decio, lei dice di non essere un docente pur entrando spesso nelle scuole per promuovere l’antica pratica dell’origami. Come è cominciata questa passione e la sua decisione di diffondere questa pratica orientale?
Ho incominciato per caso. Era una domenica e sono andato a visitare una mostra di origami nella mia città, Bergamo. Sono rimasto impressionato dalla quantità di figure tridimensionali o bidimensionali, diversissime tra loro eppure tutte realizzate con la carta, un materiale molto comune, alla portata di tutti. Al termine della mostra una delle signore, origamista, realizzò davanti a me, con straordinaria velocità, una scatolina origami e me la donò. Tornato a casa, provai subito a realizzarne una simile ma rimasi bloccato: non riuscivo a procedere, mi mancavano dei passaggi. Così cercai in biblioteca un manuale di origami per rintracciare le istruzioni e riuscire a terminare la scatolina. In seguito, acquistai molti altri libri di origami. Il salto vero e proprio avvenne però quando incontrai altri origamisti e scoprii diverse pratiche, vari stili e modi di piegare la carta.

 

Come è avvenuto il suo ingresso nel mondo della scuola?
Io non sono un insegnante. L’incontro con alcune maestre, che avevano intuito le potenzialità di questa pratica, mi ha convinto del fatto che l’origami sia, a tutti gli effetti, un ottimo supporto per la didattica. Fare una qualsiasi piega porta a riconoscere nuovi equilibri nel piano, ma non solo.
Si può raccontare una storia con gli origami, emozionare con gli origami. La piegatura della carta inoltre riesce a dare un riscontro pratico a chi spesso fatica a concentrarsi e a imparare attraverso i canali che consideriamo tradizionali. Con l’origami infatti, i bambini e le bambine riescono in breve a diventare addirittura più abili dei loro insegnanti.

L’origami, per chi ne riconosce la valenza didattica, è tradizionalmente associato alla geometria, ma può servire a molto altro. Che ne pensa?  
L’origami può essere proposto a 360 gradi, da 0 a 99 anni, in mille contesti diversi. Personalmente mi è capitato di proporre origami perfino nei supermercati. Mi è capitato di portare origami anche nei reparti di pediatria in ospedale, a bambini che, manipolando la carta, riescono a spostare le mani e la mente verso una pratica piacevole, generatrice di stupore, che riesce a mettere a lato per un momento la loro condizione di sofferenza.
È possibile anche fare origami con i detenuti, in carcere, dove il grande problema è il tempo che sembra immobile, oppure nella sala d’attesa del parlatorio, con i famigliari. Con la carta e attraverso la carta i bambini e le bambine che attendono l’incontro con il parente detenuto maturano l’idea di poter creare qualcosa da donare con tutto il cuore, al di là di quanto saprebbero dire a parole.
L’oggetto concreto dell’origami diventa un veicolo di emozioni.

Esempio di origami tridimensionale a spirale che ricorda la forma di una chiocciola  
© Francesco Decio

Tornando alla scuola, come si può introdurre l’arte dell’origami nella didattica?
Si può pensare di usare l’origami come momento introduttivo oppure come attività laboratoriale, per fissare aspetti teorici affrontati durante le lezioni. Le mani registrano tutto e la mente dei bambini e dei ragazzi è sgombra, libera di capire, indipendentemente dal fatto che conoscano già in via formale l’argomento sollecitato da quell’origami.
Quando un bambino fa origami è davvero un soggetto attivo, accede a una via diretta che va dalla mano al braccio fino al cervello, associando informazioni e sensazioni concrete, legate alla materia che piega e che vede. L’origami offre una concretezza che i libri da soli non possono offrire, perché per natura sono statici e bidimensionali e rischiano di essere veicolo di misconcezioni. Pensiamo alle figure solide: ogni riproduzione su carta è necessariamente un’astrazione. Fare una scatola in tre dimensioni per un bambino vuol dire davvero capire come è fatta quella figura, accorgersi delle diverse dimensioni, scoprire la differenza tra vertice, spigolo, lato e faccia. Possiamo dunque veramente dire che fare origami è prima di tutto un processo, poi un prodotto.

 

Francesco Decio, lei sta preparando un intervento al prossimo Convegno Nazionale del Centro di Diffusione Origami (CDO). Ci saranno tutti esperti di altissimo livello, immagino.
Al Convegno ci saranno altri appassionati come me, che non possono fare a meno di fare origami, e altri che hanno, oltre alla passione, anche molta esperienza: ogni anno ciascuno presenta le proprie novità, ma non viene richiesta una particolare competenza per partecipare. Succede semplicemente, ed è bellissimo, che chi sa fare fa vedere agli altri come si fa.
Una pratica che funziona benissimo anche a scuola.

Referenze iconografiche: Nomad_Soul/Shutterstock