A chi insegna capita spesso di riflettere sul proprio ruolo, sulle proprie modalità di insegnamento paragonandole a quelle degli insegnanti che ha incontrato, anche in un tempo molto lontano.
Confronti, critiche, ripensamenti, proposte che si contaminano e si modificano.
Il mestiere dell’insegnante è un lavoro complesso, fatto di un altissimo tasso di relazionalità umana: bambini, adolescenti, famiglie, adulti di riferimento, colleghi, personale della scuola, dirigenti, uniti al mondo articolato che interagisce quotidianamente con l’istituzione scolastica. Tutti insieme, in quella che è a tutti gli effetti una costruzione collettiva.
Quello della scuola è, infatti, un vero e proprio organismo vivente che, nonostante tutte le critiche che possono essere mosse, è ancora il luogo principe dell’alfabetizzazione, della formazione, della crescita e della condivisione. Un mosaico articolato e differente che si compie giorno per giorno, fatto di realizzazioni collegiali, ma anche di fratture, spaccature e ricomposizioni. In questo percorso professionale la strada non è mai tracciata in modo definitivo, anzi gli incontri, alle volte anche fortuiti, creano dei legami e dei modi differenti di intendere la scuola e di vivere l’insegnamento.
Al di là dello studio dei pedagogisti, dei grandi maestri, che viene fatto quasi sempre in un momento precedente al lavoro, in una fase preparatoria alla professione, quando si entra e si sta a scuola si sente crescere il bisogno non solo di confermare quanto ormai è pratica acquisita, certezza che rassicura nell’agire, ma di sperimentare altre possibilità, di attivare nuovi scambi, di incontrare differenti proposte.
E allora il dialogo con un nuovo insegnante appena arrivato, il confronto con un docente dall’enorme esperienza, la lettura di un libro, la scoperta di un materiale innovativo, l’esplorazione su internet, o nelle librerie di settore, ma anche un’esposizione appena inaugurata, un film che ci appassiona, una frase di un bambino, le riflessioni dei ragazzi, lo stesso lavoro in classe, tutte queste cose e molte altre ancora forniscono occasioni di cambiamento e spinte per percorrere nuove rotte. Questo mestiere si costruisce così, passo dopo passo, in una sapienza artigiana che sa scegliere gli oggetti e gli strumenti adeguati proprio per quella classe, con quei bambini e quelle bambine. Talvolta la scelta non funziona, il risultato sperato non si ottiene, il materiale innovativo non dà frutti, ma è così: il mestiere insegnante è un lavoro che cresce giorno dopo giorno, si modella e si trasforma, e ha quasi sempre una nuova possibilità per ricominciare.
Sicuramente, come afferma Mario Castoldi «la didattica è una disciplina antica che negli ultimi decenni ha subito una profonda trasformazione sul piano dei significati e delle procedure operative» (Castoldi, 2010, p. 5) e quindi nuove proposte si affacciano costantemente; importante è vagliarle, sperimentarle e verificarle.
In questo panorama è interessante parlare del maestro anche come bricoleur, figura che è stata proposta da Elio Damiano nell’introduzione del suo testo L’azione didattica. Per una teoria dell’insegnamento, riprendendola da Claude Lévi-Strauss ne Il pensiero selvaggio. Il bricoleur è una professionalità che sa raccogliere e utilizzare quello che serve, usando le proprie mani e utilizzando l’equipaggiamento che ha a disposizione, dosandolo, armonizzandolo, rendendolo proficuo nel contesto in cui si trova a operare. Rispetto alle proposte di Lévi-Strauss possiamo dire che il docente assume in sé non solo la figura del bricoleur, rivolto quasi sempre al passato, ma anche quello dello scienziato, proteso verso la sperimentazione e il futuro.
Ogni bricoleur ha la sua cassetta degli attrezzi, fatta di tutti gli strumenti necessari, per costruire. Così ogni insegnante ha i suoi cavalli di battaglia, le proposte che sa che sono perfette per lui o per lei. Nel crescere della professionalità molto spesso ci si accosta anche a metodi codificati, modelli, approcci accogliendoli sovente non nella loro completezza, ma trasformandoli in base anche alla propria esperienza. Una cassetta che è importante condividere con le nuove generazioni di insegnanti, permettendo un confronto e una riflessione.
A volte mi ritrovo a pensare ai molti gruppi di lavoro dei docenti, alcuni legati a specifiche azioni didattiche, altri più liberi nelle loro scelte, che dedicano il loro tempo a un confronto serrato su taluni aspetti, che sperimentano e poi verificano insieme il successo o la necessità di miglioramento delle proposte. Un aspetto da non tralasciare rispetto alla cassetta degli attrezzi è quello legato alla materialità dell’insegnamento. Nel passato e anche nel presente tanti strumenti sono stati costruiti, per favorire l’insegnamento di molte discipline, o anche per la gestione della vita in classe.
Dai semplici cartelloni, a strumenti più raffinati, talvolta messi a punto dagli stessi bambini. Fra tutti mi piace ricordare un libro dedicato a un docente dal titolo Le macchine del maestro Paolini, insegnante che, arrivato tardi alla professione, attraverso mille mestieri, realizzati per necessità economica, si contraddistinse per la capacità di costruzione di vere e proprie macchine, pensate per facilitare l’apprendimento dei bambini, come pure di quaderni speciali progettati con i suoi alunni. Se potessimo entrare, ancora oggi, in molte classi, soprattutto di alunne e alunni più piccoli, certamente troveremmo molte “macchine”, oggetti e strumenti, portati dai docenti, raccolti dagli stessi bambini e bambine, pensati per favorire la scoperta e la costruzione delle conoscenze. Macchine che sanno dosare quell’equilibrio necessario tra reale e digitale, che spesso non vengono documentate, ma semplicemente usate e di cui sarebbe bello tenere traccia.
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