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Importanza della didattica esperienziale

Scritto da Ivano Gamelli | apr 10, 2024

Che cosa s’intende per didattica esperienziale?

Il dato essenziale che orienta il bambino nel suo modo d’essere e di conoscere il mondo è il corpo. Agendo con le azioni e i sensi sugli oggetti della realtà, egli rintraccia i significati, strutturandoli in schemi e infine in concetti. Vivere la scuola “in tutti i sensi” significa pensarla come un luogo di relazioni dinamiche e affettive, con una didattica capace di dare corpo al sapere, di incontrare la disponibilità naturale ad apprendere del bambino a livello della sua sensibilità più autentica. Il fatto che gli alunni abbiano l’opportunità di vivere l’apprendimento in maniera piena e globale passa inevitabilmente dalla disponibilità dell’insegnante a coltivare uno “sguardo corporeo” sui processi di cui è facilitatore.

Che cosa dobbiamo intendere con “corpo” e “sensi”?

Grazie alle neuroscienze, sappiamo che i sensi non sono cinque, ma molti di più. Oltre a quelli canonici esistono, tra gli altri, il senso dell’equilibrio, della temperatura, del dolore e, soprattutto, la propriocezione (cioè la consapevolezza del nostro corpo). Sappiamo inoltre che la percezione sensoriale, la conoscenza e l’azione non avvengono in sequenza: le tre funzioni agiscono in modo simultaneo. Quando osserviamo qualcuno compiere qualsiasi azione, si attiva in noi una zona del cervello che normalmente si attiva quando siamo noi a compiere quella medesima azione. Il successo di ogni apprendimento è dunque legato alla compresenza di osservazione e azione.

Perché l’azione, l’esperienza, sono così importanti per l’apprendimento?

Il bambino non organizza intellettualmente il suo progetto prima di realizzarlo. Il suo pensiero si elabora nell’azione stessa. La coscienza nasce dall’azione sulla realtà, la padronanza del gesto dalla padronanza degli oggetti, a cominciare dall’apprendimento dei “gesti” della scrittura e della lettura. Non a caso Piaget ha costruito le sue teorie sullo sviluppo dell’intelligenza dall’osservazione del bambino che gioca, per giungere alla conclusione che l’intelligenza altro non è che la conseguenza di un’esperienza. Nelle sue parole: “un’azione interiorizzata”. Anche Maria Montessori metteva in guardia le sue insegnanti dalla tendenza ad associare, a scuola, ciò che è bene con l’immobilità e ciò che è male con il movimento.

È possibile impostare una didattica esperienziale tra le quattro mura di una classe?

Una sensibilità corporea ha molto a che fare anche con ciò che accade fra i corpi di coloro che abitano la scuola, adulti inclusi. Si educa con la parola, ma non si educa solo con la parola. L’organizzazione rigida o flessibile degli spazi a scuola, l’enfatizzazione della cattedra o la rinuncia a essa, una disposizione dei banchi basata sull’idea del gruppo o dello schieramento, la possibilità o meno di scrivere-leggere-costruire su un supporto che non sia solo il banco, un uso consapevole della voce, delle posture e delle distanze, la gestione del silenzio in rapporto al rumore... Molte delle difficoltà che incontrano i bambini nell’incorporare le conoscenze sono in parte riconducibili alla presenza di ambienti rigidi, poco sensibili alla complessità degli individui. Un ambiente che non si modifica è un ambiente che non “risponde”, ma costringe. Quando invece si adatta in maniera flessibile alle esigenze espressive del bambino e ne regola gli atti senza colpevolizzarne il desiderio, ecco che in lui si dispiegano tutte le potenzialità legate alla presenza di tanti linguaggi.

In concreto, come si può lavorare seguendo i principi di una didattica esperienziale?

Dal punto di vista metodologico, un suggerimento potrebbe essere quello di provare a ribaltare la sequenza con cui generalmente si affronta un qualsiasi apprendimento. Invece di partire dalla sua presentazione e spiegazione da parte dell’insegnante, si può provare a proporlo come un “problema” da risolvere, consentendo ai bambini di esplorare ogni possibile via, comprese quelle “sbagliate”. Sapere perché una soluzione è errata, infatti, non è meno importante del conoscere la risposta giusta. Dopo un momento affidato agli alunni, che consenta all’insegnante di osservare le soluzioni che via via emergeranno, si potranno riprendere alcuni elementi della ricerca dei bambini per suggerire loro di svilupparli. Solo alla fine sarà messo a fuoco l’apprendimento. Il processo naturale di qualunque nuova conoscenza va infatti dal “brancolamento esperienziale” alla “tecnica”, non viceversa. Giocare e conoscere con il proprio corpo non devono quindi essere “insegnati” ai bambini. Quel che conta, almeno all’inizio, è la disponibilità dell’adulto ad accogliere le loro azioni e le loro scoperte.

Referenze iconografiche: wavebreakmedia/Shutterstock