La lingua inuit vanta un lessico ricco e descrittivo per il ghiaccio marino e la neve, che ben si adatta alle esigenze di una regione dove le temperature vanno da meno 40 °C in inverno a 30 °C in estate e dove la perfetta conoscenza dei sistemi climatici è essenziale per la sopravvivenza. Pur comprendendo solo il 4% della popolazione mondiale (tra 250 e 300 milioni di persone), dalle comunità indigene dipende l’80% della biodiversità del pianeta o, in altri termini, l’85% delle aree protette del mondo.
Nel distretto del Laramate, in Perù, l’attività delle donne indigene ha permesso di migliorare la resilienza agricola: ruotare i raccolti, far riposare la terra e selezionare semi di qualità superiore hanno consentito di ottenere un rendimento più elevato e diversificato del raccolto, con maggiore resistenza alle intemperie.
Eppure, nonostante anche l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC ) abbia riconosciuto che la conoscenza indigena o tradizionale possa rivelarsi utile per comprendere il potenziale di certe strategie di adattamento economicamente efficaci, partecipative e sostenibili, essa rimane ancora solo parzialmente valorizzata. “Possiamo fidarci della conoscenza indigena? Non è forse aneddotica? Sono domande che mi vengono poste spesso dai miei colleghi”, spiega James Ford, professore in Climate Adaptation all’Università di Leeds, che da anni si occupa del tema.
“Il sistema di conoscenze indigene è costituito da un corpus di conoscenze complesse e dettagliate acquisite attraverso ripetute osservazioni, esperienze e riflessioni accumulate nel corso di generazioni”. Lo scambio tra due mondi apparentemente opposti, tribale e accademico, sta migliorando, molti nella comunità scientifica iniziano a realizzare sempre più la portata teorica che la conoscenza indigena è in grado di fornire. “Anche l’IPCC, un bastione del conservatorismo scientifico, sta cercando di capire in che modo le diverse fonti di conoscenza tribale possano rafforzare i suoi rapporti di valutazione”.
Gli sforzi per colmare il divario tra scienza e cultura indigena, tuttavia, tendono a essere diretti dai termini della scienza, concentrandosi sulla documentazione di fatti e osservazioni per colmare le lacune nella comprensione scientifica laddove vi è scarsità di dati. “Gli aspetti più complessi della conoscenza indigena radicata nelle visioni del mondo e nei sistemi di credenze sono spesso trascurati e, dove la scienza e la conoscenza indigena si contraddicono a vicenda, si presume spesso che sia la scienza a essere corretta. La ricerca nell'Artico incarna queste sfide e, sebbene l’importanza della conoscenza indigena sia probabilmente riconosciuta qui più di ogni altra regione a livello globale, il conflitto è ancora abbondante”, spiega Ford.
Questa è una sfida più che mai aperta perché i due domini di conoscenza non hanno un linguaggio comune e questo rimane un nodo fondamentale da risolvere per avviare un vero scambio e la vera inclusione di questo dominio di conoscenza nella comunicazione del cambiamento climatico (Fernández-Llamazares et al., 2015).
Sarebbe infatti auspicabile considerare i due sistemi di conoscenza come non distinti (Rudiak-Gould, 2014), anche se a livello concreto e funzionale la loro collaborazione è una sfida aperta. In un esperimento in cui i sistemi di conoscenza indigena e la western science sono stati utilizzati nello stesso contesto, tutti i partecipanti allo studio hanno sottolineato l’importanza della conoscenza indigena per comprendere il cambiamento climatico (Gislason 2021). Uno degli approcci più utilizzati dall'accademia per conciliare l’uso del metodo e della teoria occidentali con la conoscenza indigena è il Marshall’s Two-Eyed Seeing: “Vedere da un occhio con i punti di forza dei modi di conoscere indigeni e vedere dall’altro occhio con i punti di forza dei modi occidentali di conoscere, e usare entrambi questi occhi insieme”. (Wright et al., 2004).
Tra questi aspetti più complessi della lingua indigena, in cui si radicano visioni del mondo e sistemi di credenze, figurano anche le lingue indigene, che contribuiscono a creare un legame profondo tra l’uomo e il suo ambiente. Lingue indigene ed ecosistemi costituiscono circoli virtuosi di conoscenza che si alimentano e che contribuiscono a rafforzare il legame uomo-ambiente.
Ciò è emerso anche in alcuni studi relativi a come il rapido cambiamento ambientale influenzi le pratiche linguistiche del patrimonio indigeno in Alaska, e come i divari generazionali nei livelli di fluidità della lingua del patrimonio indigeno influenzino la sicurezza e l’efficacia delle attività consuete e di uso del suolo tradizionali.
Anche in questo caso, i risultati hanno dimostrato come le scelte e gli atteggiamenti della comunità locale riflettano e costruiscano ecologie dinamiche di lingua, cultura e ambiente (Reo et al., 2019). Le lingue Iñupiaq e Yupik forniscono importanti forme di resilienza socio-culturale perché incorporano il passato, ma sono intrinsecamente dinamiche. Le pratiche sociali guidate dalla comunità che promuovono un maggiore uso della lingua del patrimonio locale possono portare a nuovi domini linguistici creativi, nuove espressioni della cultura indigena e nuove scelte indigene compatibili con un ambiente in cambiamento (Reo et al., 2019).
Referenze iconografiche: ©sirtravelalot/Shutterstock; ©Alsu940/Shutterstock;©Alberto Seminario/Shutterstock, ©gailhampshire from Cradley, Malvern, U.K; ©Sue Cunningham Photographic / Alamy Stock Photo