A proposito dell'Orlando Furioso, è interessante sapere che il labirinto è ed è stato uno dei simboli preferiti dalla critica letteraria per rappresentare la trama del poema di Ariosto. L’opera infatti intreccia una serie di trame e sottotrame popolate da moltitudini di personaggi che si smarriscono in continuazione in quel labirinto che è la “selva” – metafora della vita. I personaggi dell’Orlando furioso si trovano di fronte a bivi concreti o morali tra i quali devono continuamente scegliere: si tratta di un «modello narrativo aperto dove a ogni angolo di strada si possono spalancare nuove prospettive» (come si legge nell’introduzione a un’altra delle sale della mostra di Ferrara dedicata al Labirinto dell’intreccio).
I labirinti sono sempre stati guardati come oggetti ricchi di fascino non solo dal punto di vista artistico e letterario ma anche da quello matematico e scientifico.
Agli occhi dei matematici dunque, i labirinti sono oggetti molto interessanti e sono studiati, in particolare, dalla teoria dei grafi, una branca della topologia che studia determinate rappresentazioni grafiche (dette appunto “grafi”) utili per analizzare molti problemi pratici, come per esempio quando si vuole evitare che i cavi elettrici si sovrappongano, cioè non si incrocino mai, oppure quando bisogna regolare il funzionamento di certi circuiti in elettronica (dove il segnale elettrico in entrata e quello in uscita formano un “anello di reazione”). Fa parte della teoria dei grafi anche il famoso “problema dei quattro colori” che consiste nel chiedersi se è sufficiente usare solo quattro colori per colorare una qualsiasi mappa geografica costituita da regioni confinanti, in modo tale che le regioni adiacenti non abbiano lo stesso colore.
La lettera y compare nei testi pitagorici a indicare la scelta fra le strade alternative del bene e del male. Nei quadri medievali, per esempio, Adamo ed Eva sono separati da un albero a forma di y. Il dotto carolingio Remigio Auxerre (841-910 d.C.), in un commento a Marziano Capella, spiega come la y «esprime la differenza morale della biforcazione dei sentieri […] in pieno accordo con gli insegnamenti di Pitagora» ed essa «inizia con un tronco che si divide in un bivio». Questa immagine può essere fatta risalire a un commento all’Eneide di Virgilio, scritto da Servio, un autore del IV secolo. Servio infatti parla di un albero, trovato da Enea all’entrata dell’Ade, che aveva la forma di una y. Un labirinto può essere visto inoltre come una serie di scelte e di bivi successivi, che sembrano così disegnare una specie di “albero delle scelte”. Quanti legami fra matematica e arte e filosofia! In matematica e in informatica, la struttura ad albero (o ad alberi decisionali) è alla base degli algoritmi di risoluzione dei problemi e ne rappresenta graficamente la strategia. Gli alberi decisionali individuano visivamente le scelte possibili e permettono di prevederne i diversi risultati. Per esempio, se vogliamo capire se è la giornata ideale per giocare a tennis oppure no, possiamo schematizzare il problema con un albero, che si ramifica a seconda delle condizioni climatiche (sole/pioggia, vento forte/debole, valori di umidità normale/alta) e che alla fine del percorso dà la risposta “sì” oppure “no”.
L’approccio grafico – come nell’esempio degli alberi decisionali – ha il vantaggio, rispetto a un testo scritto, di mettere subito sotto agli occhi lo schema del problema e della sua possibile soluzione. Leonardo da Vinci si spinse oltre lungo questo ragionamento, sostenendo la superiorità della pittura rispetto alla poesia: quest’ultima infatti, secondo Leonardo, è costretta a riportare le azioni una di seguito all’altra, a differenza di un quadro, dove gli avvenimenti si possono rappresentare simultaneamente. Il critico Marco Praloran sostiene che Ariosto abbia cercato di rispondere a Leonardo con la sua particolare narrazione delle numerose battaglie del suo poema, cambiando di continuo i piani di inquadratura, in modo da dimostrare come anche la poesia possa esprimere la contemporaneità delle azioni della vita e rappresentare il mondo al pari della pittura.
Visto che stiamo parlando di scienziati che sono stati anche artisti e scrittori, vale la pena di citare Galileo Galilei. Forse è poco noto che Galileo stesso era pittore, oltre che scrittore. A scuola lo si studia in italiano, ma potrebbe essere oggetto anche dei libri di Storia dell’arte: nel 2007 sono stati infatti ritrovati sei acquerelli rappresentanti la Luna, che secondo il professor Horst Bredekamp, direttore dell’Istituto di storia dell’arte della Humboldt Universität di Berlino, sono vere e proprie opere d’arte. Ecco quindi un legame fra Galileo e Ariosto: la Luna.
Un altro amante della Luna è infatti Ariosto – come vedremo fra poco – ma la curiosità interessante è che Galileo aveva letto e amato egli stesso l’Orlando furioso, fino al punto di saperlo a memoria e di citarlo spesso nei suoi scritti, preferendolo al Tasso. Galileo definisce il furioso «magnifico, ricco, mirabile» e «abbondantissimo di parole, frasi, locuzioni e concetti», nel suo testo intitolato Considerazioni al Tasso.
L’acciaio, per Ariosto, è sinonimo di brillantezza e robustezza; il vetro, invece, di trasparenza e fragilità. È evidente come nelle prime due edizioni il poeta emiliano voglia dare alla Luna l’immagine di un pianeta che è insieme robusto e fragile, una combinazione di opposti in antitesi. Successivamente, invece, si rende conto che questa immagine non è coerente con le descrizioni e i versi successivi, dove la Luna appare come la Terra, con valli e montagne.»
Da notare che la versione finale del satellite terrestre concorda con l’immagine riportata da Leonardo da Vinci, che la descriveva simile alle «palle dorate poste sulla sommità degli alti edifizi». Il primo a descrivere la Luna dal punto di vista scientifico fu – altra coincidenza? – proprio Galileo, nel 1609 nel suo famoso testo Sidereus Nuncius.
Il viaggio di Astolfo sulla Luna rispecchia la concezione delle scienze celesti del Cinquecento e in particolare della cultura della Corte rinascimentale. Nel saggio La luna di Ariosto di Lucia Dell’Aia (Schifanoia, 2016) si ricorda come la cultura della corte ferrarese, di tipo platonico, integrasse le divinità pagane e le filosofie della natura insieme ai miti antichi, oltre a manifestare interesse verso le indagini astronomiche, come quelle delle opere di Plutarco.
Per esempio, nel dialogo Il volto della luna (pubblicato nei Moralia), Plutarco sostiene la natura terrestre della Luna e, ricorda Dell’Aia, proprio come Ariosto «ha creato una corrispondenza e una specularità fra Terra e Luna che risponde al bisogno poetico di descrivere gli oggetti di lassù per rappresentare i fatti degli uomini».
Lo sguardo di Ariosto non è di evasione rispetto alla realtà ma, al contrario, è rivolto a interpretare il mondo che lo circonda. Come ricorda Antonio Piromalli nella sua Storia della letteratura italiana, «la scienza e l’osservazione sono gli elementi naturalizzanti dell’arte del poeta, che si dispiega con una scientifica coerenza di invenzioni e di disegno» propri della cultura rinascimentale, che vede «artisticamente la realtà secondo uno stampo naturalistico e scientifico».
La visione del mondo dell’Ariosto e la sua voce poetica continuano a portare un messaggio valido anche per il nostro tempo.
Referenze iconografiche: vitmore/Shutterstock, Wikimedia Commons/ CCBY 3.0.,
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