Il giorno in cui Elisa è entrata in classe con un volantino sugli additivi presenti in vari cibi confezionati – merendine e succhi di frutta soprattutto – la professoressa Covaz ha capito che era un’occasione da non sprecare. Da un lato, il tema: il cibo industriale, con i suoi vantaggi ma anche i rischi sempre adombrati ma in fondo poco chiari. Dall’altro, la consapevolezza che se l’argomento su cui lavorare lo porta un compagno, è molto più facile ottenere l’attenzione del resto della classe rispetto a quando lo propone, o impone, l’insegnante. In effetti, la discussione è stata un successo. Per ciascun prodotto, citato con il nome commerciale e l’azienda produttrice, nel volantino erano indicati additivi che sarebbero stati usati per produrlo e che risulterebbero dannosi per la salute. I ragazzi in partenza sono sembrati convinti che il volantino dicesse la verità. Dopo qualche giro di domande e risposte tra loro, e dopo aver saputo come il volantino fosse finito a casa di Elisa casualmente, durante una vendita a domicilio, l’opinione si è ribaltata.
La professoressa ha introdotto l’argomento dal punto di vista delle nozioni di base di chimica. E questo le è costato comunque un aggiornamento sul tema, per capire meglio che cosa dire agli studenti: «E sì, lavorare in questo modo è più costoso in termini di tempo», ammette Covaz. Ha spostato la lezione di scienze prevista dal programma per fare posto all’apparato digerente, strettamente collegato al tema del compito. E ha cominciato a organizzare e coordinare il lavoro degli studenti, divisi in gruppi. Questi hanno raccolto in pieno la sfida di dimostrare la capacità di acquisire le informazioni, attraverso tecnologie informatiche e strumenti apparentemente più semplici come ricerca sul campo e interviste, di valutarle ed elaborarle.
«La prima difficoltà è che un compito come questo lascia poco spazio per altre cose», riconosce Covaz. Riuscire a proseguire con gli argomenti richiesti dalla programmazione del lavoro annuale come si vorrebbe non è facile.
La lezione frontale è decisamente più economica. Anche perché non sempre è possibile rispettare la scaletta del lavoro che si è immaginata. In questo caso, per esempio, da parte dei ragazzi c’è stata una forte spinta a voler sapere di più anche sui rischi delle sostanze contenute nelle sigarette, dal momento che nel volantino erano citate anche alcune marche di sigarette. Questo ha richiesto di passare a spiegare anche l’apparato respiratorio. E di condurre una seconda indagine parallela a quella sugli additivi alimentari, seppure più breve.
La loro sorpresa è stata grande nello scoprire che alcuni prodotti neppure esistono e che la lista di additivi spesso non corrisponde a quella dichiarata sulla confezione. Ma, soprattutto, hanno organizzato molto bene i risultati della rilevazione, con tabelle e grafici, che sono stati utili sia per trarre le conclusioni, sia per realizzare le presentazioni del proprio lavoro.
Inoltre, hanno deciso di realizzare interviste a persone considerate competenti sull’argomento, come il lattaio, il macellaio e il salumiere e in generale figure che hanno a che fare con l’alimentazione. Le interviste sono state preparate, elaborando una traccia delle domande e organizzando gli incontri. Per i ragazzi un’intervista a un adulto è sempre un’esperienza emozionante, per il ribaltamento dei ruoli che propone rispetto ai rapporti tradizionali. Ma è molto impegnativa anche la fase della sintesi, quando occorre scegliere le parti importanti da utilizzare e il modo di riscriverle. Tutti i colloqui realizzati sono stati rielaborati e discussi. «Certo – sottolinea Covaz – è un peccato che il lavoro sia stato portato avanti come compito legato soltanto all’area di matematica e scienze, perché in realtà sono state coinvolte anche competenze di tecnologia e, ovviamente, molte dell’area lettere, sia durante il lavoro di ricerca che nella fase finale di presentazione dei risultati.»
Giunti alle conclusioni, i gruppi degli studenti hanno dovuto decidere come presentarle. Dal poster all’esposizione orale, sono state esplorate varie possibilità. Più di un gruppo ha scelto di realizzare un video, utilizzando anche filmati girati durante la parte d’indagine sul campo e scegliendo di simulare un servizio giornalistico per un telegiornale. I ragazzi si sono ingegnati a superare anche i problemi pratici: alcuni hanno realizzato un “gobbo” fatto in casa, usato durante le riprese video (e scoperto immediatamente dai compagni durante la visione del filmato). «Anche in questo caso», dice la professoressa, «si sente il divario che esiste in termini di possibilità, anche economiche, tra i ragazzi. Ma ovviamente sta a me come docente dare la stessa dignità al lavoro scritto a penna e al video realizzato con una bella telecamera e montato al computer.»
Infine, è arrivato il momento della valutazione. Gestita soprattutto come autovalutazione da parte degli studenti. «Non fanno tutto da soli: io fornisco una scheda di riflessione che serve a mettere prima in ordine le cose che hanno fatto e come le hanno fatte» precisa Covaz, «in più, c’è anche una valutazione incrociata, in cui tutti sono chiamati a esprimersi sui lavori dei compagni.» Un’esperienza che ha consentito di affinare strumenti di valutazione che diventano utili anche per la professoressa. «Mi ha colpito molto, nella valutazione delle immagini e delle loro didascalie, lo schema che mi hanno proposto, sintetizzato così: guardo-leggo-capisco. Un ottimo modo per spiegare quando il lavoro è riuscito oppure no.» In ogni caso, i ragazzi hanno dimostrato di capire e saper valutare davvero quello che hanno fatto. «E a me come docente l’autovalutazione è servita e serve sempre molto», conclude Covaz «per capire che percezione ha di sé ciascun allievo e lavorare su questo.»
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