blog

L’idea di atomo: quando è la musica a occuparsi di questioni scientifiche | Sanoma

Scritto da Giulia Vannoni | dic 14, 2020

Circa venticinque secoli fa Democrito aveva avuto l’intuizione giusta: la materia è costituita da atomi. La sua idea, ripresa in seguito anche da Epicuro (il cui pensiero si diffuse grazie al De rerum natura del poeta Lucrezio), rimase però lettera morta per numerosi secoli, senza approdare alla formulazione di una teoria, nonostante i tentativi di autorevoli scienziati – da Galileo a Boyle e Newton – per sdoganarla.

Fu soltanto nei primissimi anni dell’Ottocento che si affermò l’ipotesi di atomo come il più piccolo componente della materia: in A New System of Chemical Philosophy (1808) il fisico inglese John Dalton ne definì le caratteristiche senza affidarsi solo a congetture teoriche, ma sulla base di evidenze sperimentali. Il concetto di atomo fu finalmente accettato dagli scienziati e, in poco più di un secolo, venne compresa e definita la sua intima struttura: uno dei più straordinari traguardi mai ottenuti dalla scienza.

Viene da interrogarsi sulle ragioni di un simile ritardo, nonostante Democrito avesse già esposto in modo organico le proprie idee. La sua visione meccanicista della natura aveva incontrato, tuttavia, l’ostilità di autorevoli filosofi, a cominciare da Platone e Aristotele, e l’atomismo rimase a lungo materia scottante, oggetto di vistosi fraintendimenti: basterebbe ricordare il giudizio di Dante, che nel IV canto dell’Inferno, definisce il filosofo come colui «che ’l mondo a caso pone», nonostante quella di Democrito fosse una visione rigorosamente determinista.

La cosa più sorprendente, però, è che l’ipotesi atomica – pur ignorata in ambito scientifico – era comunque penetrata in altri settori culturali: dalla letteratura al teatro d’opera.
Conosciuto solo in modo indiretto (è lo spadaccino dal lunghissimo naso, protagonista della commedia in versi di Edmond Rostand), lo scrittore francese Cyrano de Bergerac è stato forse il massimo divulgatore dell’atomismo nella prima metà del Seicento e, con i suoi scritti, ha influenzato l’attività di commediografi e librettisti.

Non stupisce, pertanto, che sull’onda dei suoi scritti siano nati i melodrammi Le risa di Democrito (1670) e Gl’atomi d’Epicuro (1672).

Entrambi i libretti furono scritti dal poeta veneziano Nicolò Minato e messi in musica da Antonio Draghi: due italiani di talento migrati alla corte degli Asburgo.

Le Risa di Democrito conservato presso
la Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna
(A-Wn, 407381-A. Adl Mus)

 

 

 

 

 

Gl’atomi di Epicuro conservato presso
la Biblioteca Braidense
di Milano
(I-Mb, Racc. Dramm. Corniani Algarotti 2303)

 

 

 

 

 


Nell’illuminato ambiente viennese, dove ferveva un’intensa attività artistica, nessuno si spaventava di fronte ad argomenti impegnativi: anzi, il melodramma svolgeva spesso un compito di ricognizione e divulgazione delle nuove idee. Bisogna tener conto, del resto, che in quegli anni la musica lirica era una forma d’intrattenimento destinata soprattutto all’aristocrazia colta e non era ancora diventata un genere popolare come succederà nei secoli successivi. Protagonisti, almeno nominali, di entrambe le opere sono proprio i due filosofi. Minato ebbe cura di costruire due caratteri stilizzati, per mettere al centro le loro idee, ed espose con chiarezza la dottrina atomistica, avvalendosi anche di efficaci metafore.

Le risa di Democrito andò in scena a Vienna, al teatro di corte, nel 1670 e nel 1673: un segnale di gradimento, tenuto conto che di solito le opere erano eseguite una sola volta, senza repliche. Il successo dei versi di Minato fu tale che li riutilizzò un altro compositore, Francesco Antonio Pistocchi, e le sue Risa di Democrito furono proposte prima a Vienna (1700), poi, nell’arco di pochi anni, a Bologna, Forlì e Ferrara.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ultima rappresentazione, fu ancora a Vienna (1737), questa volta in un teatro pubblico, per cui nel libretto, a fronte dell’originale italiano, si trovava anche la traduzione tedesca: un modo per rendere comprensibili i concetti a un pubblico più ampio. E direttamente in tedesco, quasi nello stesso periodo (1703), fu l’opera – la musica è andata distrutta – che Georg Philipp Telemann fece adattare, per il pubblico di Lipsia, di nuovo dal libretto di Minato.

 

 

 

 

 

 

 


Nelle Risa di Democrito musicate da Draghi, come suggerisce il titolo, il filosofo svolge più che altro un ruolo di mero commentatore: è il saggio che, con distacco verso gli affanni della vita, se la ride delle umane preoccupazioni. Fin dall’introduzione, si precisa che Democrito «ebbe opinione ch’il mondo fosse d’atomi composto»; in seguito, nei versi, vengono toccate questioni scientifiche, in modo da creare un contesto dove la discussione sull’atomismo non sembrasse un episodio isolato. Il filosofo si presenta interrogandosi sulle caratteristiche fisiche del Sole: le sue domande fanno pensare che Draghi e Minato fossero al corrente del dibattito, all’epoca in pieno svolgimento, sulla natura del Sole, né manca un’allusione alla polemica sulle macchie solari fra l’astronomo Christoph Scheiner e Galileo (secondo la corretta interpretazione dello scienziato pisano, si trovavano sulla superficie solare, mentre per il gesuita tedesco erano dovute alle ombre di satelliti del Sole).

Ci si addentra nel vivo della questione atomica quando Democrito, rivolgendosi al sovrano, ribadisce i principi della sua dottrina:

Vedi: d’atomi ’l tutto
qui giù è composto e noi medesmi ancora
atomi siam: ...
Or che sei più di me? Perché ne vai
d’alteriggia ripieno?
Tu più atomi hai, e io n’ho meno.

È evidente l’intenzione di sottolineare l’eguaglianza tra gli uomini; tuttavia, il ricorso alla metafora scientifica rende la polemica egualitaria più sfumata, senza correre il rischio di scandalizzare la corte asburgica.

Potrebbe poi lasciar perplessi, nel libretto, un’apparente svista come il riferimento al furto di un orologio, strumento non certo in uso all’epoca di Democrito (un prototipo con bilanciere venne realizzato nel 1656 da Christian Huygens). L’incongruenza storica risulta però funzionale a ottenere un effetto comico legato all’attualità, dato che la parola orologio viene qui storpiata in vari modi: orologlio, gorgoroglio, goroglioglio, orgolioglio…

Non ha riscosso fortuna pari a Le risa di Democrito l’altra opera di Draghi, sempre su libretto di Minato, nata ancora a Vienna appena due anni dopo: Gl’atomi d’Epicuro (1672) non attirerà altri compositori. La contestualizzazione scientifica è ancora più accurata e, fin dal suo esordio, Epicuro ribadisce che:

È d’atomi composto
quanto qua giù rimiri in varie forme,
quivi sono più rari, ivi più densi.

Che tutti atomi son, città e formiche.

Anche qui vengono affrontate questioni di ampio respiro scientifico, come la natura della luce: tema dibattuto sin dall’antichità e che proprio nel XVII secolo sfociò nel dualismo che contrappone teoria corpuscolare (sostenuta da Newton) e ondulatoria (di cui era fautore Huygens). Sembrerebbe, poi, che Minato, per interposto Epicuro, propenda per la seconda interpretazione:

La luce, a chi ben scorge,
è un incorporeo ente,
e pur anima gl’occhi,
colorisce gl’oggetti,
d’un atomo ell’è men;
perch’egl’ha corpo,
ell’è senza figura:
e pur per tutto si dilata, e spande.

Nella scena conclusiva, ancora una volta, l’atomismo esce dall’ambito naturalistico-scientifico per assumere implicazioni sociali. Canta infatti Epicuro:

Mira meglio i mortali;
nascono tutti nudi, e tutti eguali:

E noi forse pensiam di cangiar stato
per un vano decoro?
Atomi siam, benché coperti d’oro.

Il soggetto atomistico nel melodramma è dunque andato ben oltre l’effimera curiosità. Minato era riuscito a far accettare a Vienna riflessioni su un tema controverso. Senza esporsi troppo, in anni in cui bisognava comunque fare i conti con la censura, si era servito di una chiave comica, utile a mantenere una distanza di sicurezza da argomenti scabrosi. Prova ne è che Gl’atomi d’Epicuro non hanno avuto la medesima fortuna delle Risa di Democrito: da un lato, probabilmente esisteva nei confronti del filosofo di Samo un pregiudizio religioso più forte che verso quello di Abdera, accettato con minori riserve, tanto più se concepito come il saggio ridente; dall’altro, la maggior complessità del secondo libretto, insieme alla minor presenza di spunti comici, lo rendeva forse di più difficile comprensione e meno accattivante in palcoscenico. Tanto è vero che i librettisti successivi si orienteranno sempre più sul versante umoristico.

Il clima culturale, d’altronde, era cambiato. Nel 1787, a Vienna, andò in scena l’opera giocosa Democrito corretto di Carl Ditters von Dittersdorf, dove rimangono solo tenui tracce dell’atomismo. Il librettista Gaetano Brunati si era infatti ispirato a Démocrite amoureux, una commedia di Jean-François Regnard (1700), dove era evidente la polemica verso il filosofo francese Gassendi, galileiano convinto e sostenitore dell’atomismo.

Pochi anni dopo, nel 1795, un compositore all’epoca di grande fama come Antonio Salieri (oggi ricordato soprattutto come rivale di Mozart) musicò l’opera Eraclito e Democrito, su libretto di Giovanni De Gamerra, rappresentata ancora a Vienna. L’accostamento fra i due filosofi non era insolito – anche in ambito figurativo venivano talvolta ritratti insieme, nonostante fossero nati a distanza di circa un secolo – ed era finalizzato a mettere in contrapposizione i loro due diversi temperamenti: l’ilare Democrito e il malinconico Eraclito.

Nell’opera di Salieri, però, i riferimenti scientifici appaiono abbastanza tenui e le poche riflessioni sull’atomo sono state notevolmente semplificate a fini comici. Secondo la moda dell’epoca di ridicolizzare i filosofi, si assiste al confronto tra i protagonisti, dove il ridente Democrito è destinato – sia pure al prezzo di un’inevitabile banalizzazione del suo pensiero – a riscuotere più successo del triste Eraclito.

Profonde trasformazioni erano avvenute rispetto ai libretti di Minato, nonostante il lavoro di Salieri preceda solo di pochi anni la pubblicazione della teoria di Dalton. Il sipario poteva ormai calare su quelle opere che avevano tenuto viva l’idea di “atomo”: il termine stava entrando a far parte del lessico corrente e, di lì a poco, ci avrebbero pensato gli scienziati a riappropriarsi di quel che era di loro competenza.

Referenze iconografiche: koya979/Shutterstock, Wikimedia Commons