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L’adroterapia: una collaborazione sinergica tra fisica e medicina | Sanoma

Scritto da Giada Petringa | apr 9, 2024

Oggi la fisica svolge un ruolo fondamentale nel campo della medicina, in quanto può offrire un importante supporto nell’utilizzo di tecnologie avanzate atte al trattamento e alla diagnosi di patologie cliniche. La fisica che si occupa di tutte le applicazioni inerenti all’ambito medico è nota con l’accezione di fisica medica. L'uso della fisica in ambito clinico è intrinseco in quanto molti dei meccanismi che avvengono all'interno del corpo umano, nella sua interazione con dispositivi medici, sono guidati da fenomeni fisici. Inoltre, la fisica gioca spesso un ruolo fondamentale negli studi atti a comprendere i processi che regolano l’interazione dei tessuti biologici con l’ambiente esterno e, in particolar modo, con le radiazioni ionizzanti che possono indurre un danno al livello del DNA cellulare.

Uno dei contributi più evidenti della fisica in ambito clinico è l'imaging medico. La fisica ha rivoluzionato il campo della medicina grazie a importanti scoperte scientifiche. La più nota è forse la scoperta dei raggi X (fotoni di un particolare intervallo di energia) da parte di Wilhelm Conrad Röntgen avvenuta alla fine del XIX secolo. La scoperta di Röntgen è stata un punto di svolta perché, consentendo di ottenere per la prima volta un’immagine della struttura interna del corpo umano in maniera non invasiva, ha contribuito alla nascita dell’imaging diagnostico. I raggi X sono una forma di radiazione elettromagnetica ad alta energia che penetra attraverso i tessuti molli del corpo ma viene assorbita dai tessuti più densi come ossa e calcificazioni. Questa caratteristica ha reso possibile la creazione di immagini radiografiche, che sono diventate uno strumento essenziale nella diagnosi di fratture ossee e altri disturbi clinici fin dai primi del Novecento.

A questo primo strumento – con il progredire della fisica atomica e nucleare da una parte, della medicina dall’altra – si sono aggiunte varie tecniche avanzate di imaging diagnostico quali la tomografia computerizzata, la risonanza magnetica e la tomografia a emissione di positroni. La loro diffusione e il loro ampio utilizzo hanno trasformato la diagnostica, consentendo ai medici di vedere non solo le strutture anatomiche, ma anche la loro funzionalità in modi mai prima d'ora possibili.

Lo stretto rapporto tra la fisica e la medicina ha, inoltre, portato allo sviluppo dell’oncologia moderna e in particolar modo alla diffusione della radioterapia, una metodica clinica non invasiva atta al trattamento di patologie tumorali. Questa tecnica si basa sull’utilizzo di radiazioni cosiddette ionizzanti. Il primo trattamento radioterapico è una pietra miliare nella storia della medicina e avvenne grazie proprio alla scoperta di Röntgen. Infatti, pochi anni più tardi, intuendo la capacità dei raggi X (in quanto radiazione ionizzante) di danneggiare permanentemente le cellule, il fisico Ernest Rutherford propose per la prima volta di utilizzare questi raggi per trattare il cancro.


Apoptosi cellulare nel tumore maligno dei tessuti molli

Con il termine radiazioni ionizzanti ci riferiamo a varie tipologie di radiazioni che condividono la capacità di generare ionizzazioni quando attraversano la materia. Quando l'energia di queste radiazioni è sufficientemente elevata da superare l’energia che lega un elettrone a un atomo o una molecola, si verifica un processo noto come ionizzazione. Quando questo processo avviene nei tessuti biologici, si innescano una serie di reazioni che possono alterare le molecole all'interno delle cellule. Il DNA è la macromolecola più reattiva presente all’interno di una cellula, in quanto essa racchiude le informazioni genetiche grazie alla quali la cellula è in grado di svolgere tutte le funzioni vitali.

 Scopo della radioterapia è, quindi, quello di utilizzare radiazioni ionizzanti per danneggiare efficacemente il DNA delle cellule tumorali inibendone la duplicazione e inducendone la morte (apoptosi o morte programmata).

Uno dei parametri che oggi vengono adottati per stabilire la qualità di un trattamento radioterapico risiede nella selettività, ovvero nella capacità di preservare il più possibile le cellule sane dal danneggiamento indotto dalle radiazioni ionizzanti utilizzate per il trattamento.

I fotoni sono, oggi, le radiazioni ionizzanti maggiormente adottate in ambito terapico. Al fine di migliorarne la selettività sono state sviluppate diverse tecniche nel corso degli anni: la conformal radiation therapy ha permesso di adattare la forma del fascio di radiazioni al tumore, risparmiando i tessuti sani circostanti; la radioterapia a intensità modulata ha ulteriormente affinato questa tecnica, consentendo di variare l'intensità della radiazione durante il trattamento al fine di adattarla alle forme complesse dei tessuti tumorali.

Nel panorama delle tecniche radioterapiche con una specifica selettività gioca un ruolo fondamentale l’adroterapia, che si basa sull’utilizzo di particelle chiamate adroni e in particolare sull’utilizzo di protoni e ioni carbonio. La selettività di tale radiazione risiede nei meccanismi di interazione radiazione-materia intrinsechi di queste particolari particelle. Al fine di comprendere al meglio la loro specificità, in Figura 1 è mostrato un tipico andamento della percentuale di radiazione assorbita da un tessuto biologico in funzione dello spessore di tessuto attraversato.

Figura 1. Andamento della percentuale di radiazione assorbita da un tessuto biologico in funzione
dello spessore di tessuto attraversato per diverse tipologie di radiazioni ionizzanti.

Si può vedere che i fotoni (raggi X) esibiscono un andamento di tipo esponenziale decrescente all’aumentare della profondità. Questo implica che, per trattare efficacemente un tumore posto in profondità, una parte dei tessuti sani sia inevitabilmente soggetta a un danneggiamento. Viceversa, i protoni e gli ioni carbonio attraversano i tessuti biologici senza rilasciare significativi quantitativi di energia, finché, a una determinata profondità, rilasciano tutta la loro energia residua formando il cosiddetto picco di Bragg, la zona ove viene rilasciata gran parte dell’energia dell’adrone. Si può osservare come il picco sia stretto, un dato estremamente importante perché, focalizzando il fascio direttamente sul tumore, si massimizza la quantità di radiazione rilasciata nelle cellule tumorali, minimizzando i danni ai tessuti sani circostanti. Inizialmente suggerita da R.R. Wilson nel 1946[1], ci sono voluti decenni di sviluppi su vari aspetti per far sì che questa tecnica sia oggi uno strumento clinico nelle terapie oncologiche. In effetti, la precisione balistica degli adroni è tale da far sì che l’adroterapia sia considerata un trattamento di elezione per le patologie tumorali poste in profondità nei tessuti e in prossimità di organi a rischio.

Un aspetto importante dell’adroterapia è che la posizione del picco di Bragg può essere adattata alle esigenze specifiche del paziente regolando l’energia iniziale delle particelle: maggiore è l’energia iniziale e più profondo sarà il picco all’interno dei tessuti. Inoltre, data una particolare struttura anatomica, è possibile aumentare l’estensione spaziale del picco di Bragg: modulando opportunamente l’energia del fascio iniziale cosicché da sovrapporre tanti picchi di Bragg differenti è possibile ottenere, infatti, il cosiddetto Spread-Out-Bragg-Peak (SOBP).

Un'applicazione chiave dell'adroterapia è la cura dei tumori in età pediatrica poiché offre una maggiore precisione e una minore esposizione ai tessuti sani riducendo quindi gli effetti collaterali indotti dal trattamento. Oggi sul territorio italiano sono presenti tre centri in cui è possibile trattare i pazienti con fasci di adroni: il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica con sede a Pavia, il Centro di Protonterapia di Trento e il Centro di Adroterapia e Applicazioni Nucleari Avanzate di Catania. Ad oggi, l’adroterapia non è una tecnica adottabile in tutti gli ospedali in quanto, per accelerare gli adroni all’energia necessaria, si deve ricorrere all’ausilio di macchine acceleratrici complesse aventi grandi dimensioni e che richiedono ingenti costi di realizzazione e manutenzione.

La ricerca, infatti, è in parte focalizzata sullo studio di nuove metodiche per accelerare le particelle cosicché da rendere questa tecnica fruibile in tutte le aziende ospedaliere. In tale ambito l’accelerazione laser-plasma è recentemente emersa come metodica innovativa che potrebbe cambiare il paradigma odierno dei trattamenti radioterapici.

[1] R.R. Wilson aveva partecipato al Progetto Manhattan e, come scriverà lui stesso, dopo la guerra si dedicò alle applicazioni mediche della fisica come “espiazione per il suo coinvolgimento nello sviluppo dell’atomica a Los Alamos”.

Referenze iconografiche:  Olha Povozniuk/Shutterstock, create jobs 51/Shutterstock, Pixel-Shot/Shutterstock, Angelina Zhur/Shutterstock