Un anno e mezzo dopo l’inizio della guerra più tragica e sanguinosa della storia del conflitto israelo-palestinese non vi sono segnali che le armi possano tornare a tacere a breve. Al contrario, un fragile accordo di cessate il fuoco e scambio di prigionieri siglato a inizio 2025 è stato interrotto il 18 marzo da un violentissimo attacco dell’aeronautica e della marina militare israeliana a Gaza che ha segnato la riapertura delle ostilità.
Vediamo come si sono svolti i fatti.
Nell’ambito della pausa nei combattimenti durata due mesi, Hamas aveva rilasciato alcune decine dei circa 250 ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre 2023, il giorno dell’offensiva del movimento islamista palestinese che aveva provocato l’inizio della guerra, facendo circa 1200 vittime israeliane. Al termine delle prime sei settimane del cessate il fuoco, il secondo dall’inizio del conflitto dopo quello del novembre 2023, l’accordo avrebbe dovuto allargarsi a questioni critiche come il ritiro completo di Israele da Gaza e lo status della striscia nel dopoguerra.
Ma il governo israeliano di Benjamin Netanyahu, il più conservatore e nazionalista della storia del Paese, si è rifiutato di attenersi ai termini dell’intesa, preferendo rilanciare gli sforzi bellici, con l’appoggio degli Stati Uniti. La proposta rivolta ad Hamas di limitare la seconda fase a una continuazione degli scambi di prigionieri, invece di elaborare una ricomposizione semi-permanente al conflitto, era stata respinta dal gruppo palestinese per cui gli ostaggi rappresentano la principale carta di scambio nella trattativa.
All’interno di Israele, i leader politici più radicali della maggioranza di governo erano pronti a provocare la caduta dell’esecutivo in caso di prosecuzione della tregua, che paragonano a una resa ad Hamas. Netanyahu non vuole per nessun motivo rinunciare alla carica di primo ministro anche perché la considera fondamentale per difendersi in modo efficace in una serie di processi per corruzione a suo carico che sono in corso. In questo modo, vicende politiche e giudiziarie interne hanno avuto profonde conseguenze sulla ripresa della guerra.
Ad oggi, il numero di vittime palestinesi del conflitto ha ormai superato le 50.000 persone.
La ripresa delle ostilità ha provocato una recrudescenza del conflitto anche su altri fronti.
Da marzo 2025 il governo israeliano aveva iniziato a incoraggiare attivamente il ritorno dei circa 80.000 sfollati dal confine settentrionale che avevano abbandonato le proprie case a causa degli attacchi della milizia libanese Hezbollah, entrata in guerra al fianco di Hamas all’indomani dell’attacco del 7 ottobre. Dopo qualche mese dall’accordo di cessate il fuoco del novembre 2024, le scuole avevano già riaperto ed erano stati istituiti aiuti per chi fosse rientrato, ma nuovi scambi di colpi fra gruppi armati nel sud del Libano ed esercito israeliano gettano un’ombra sulle prospettive di calma nelle località frontaliere.
Parallelamente, Israele ha continuato a colpire obiettivi in Siria. Il nuovo governo siriano, formatosi all’indomani della caduta del regime di Assad l’8 dicembre scorso, si sente per ora troppo fragile e vulnerabile per reagire, e subisce limitandosi a rare proteste verbali. Israele, nel frattempo, continua a perseguire politiche molto aggressive in Cisgiordania, dove oltre alle forze regolari dell’esercito operano anche gruppi di coloni armati che compiono attacchi contro civili palestinesi.
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