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L'IA a scuola: se la conosci la pratichi (ma con moderazione…) | Sanoma Italia

Scritto da Gabriella Fenocchio | set 29, 2025

L’IA: dalle conoscenze alle competenze di scrittura

Dopo avere scandagliato in lungo e in largo, soprattutto nel corso dell’ultimo decennio, le risorse del web, anche per la scuola è iniziato il tempo dell’Intelligenza Artificiale. E, come non ci si può esimere dal conoscerne le straordinarie potenzialità, così non può essere elusa la complessità delle questioni a cui questa “rivoluzione” mette di fronte.

Semplificando, si potrebbe dire che il passaggio dalla libera navigazione nel web al sistema di domande e risposte inaugurato dall’IA potrebbe essere visto come il passaggio dalla facilità di reperire informazioni in tempi rapidissimi a quella di trovare un sistema di competenze già messe in atto. Opportunamente interrogato, questo strumento può costruire un saggio, tradurre un passo da lingue antiche e moderne, risolvere esercizi, confezionare un testo rispettando il registro linguistico e stilistico richiesto. Pur ragionando soltanto con criteri statistici, vale a dire con associazioni che legano le parole ad altre parole in base alla probabilità della loro occorrenza in un contesto, l’IA mette in relazione le informazioni e le organizza secondo, almeno apparenti, nessi logici. Competenze, queste, di cui i giovani appaiono progressivamente più sprovvisti e rispetto alle quali la nuova Intelligenza esercita una provvidenziale supplenza.

Certo, non vanno affatto sottovalutati i vantaggi che gli studenti possono trarre da uno strumento che può rendere i testi più facilmente leggibili, soprattutto per chi non è madrelingua, costruire mappe concettuali, redigere sunti di materiale vario e disperso: il tutto con una velocità non paragonabile al tempo necessario a un cervello umano per compiere le medesime operazioni.

L’IA e l’insegnamento

Nel mese di agosto 2025 sono state pubblicate dal Ministero dell’Istruzione e del Merito le Linee guida per l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nelle Istituzioni scolastiche che definiscono un quadro normativo per un uso consapevole dell’IA nell’insegnamento. 

Per parte loro, i docenti stanno iniziando a fare uso dell’IA nei diversi aspetti del proprio insegnamento. Sono in atto sperimentazioni che stanno rivelando a chi le pratica una notevole efficacia, per esempio, nella creazione di unità didattiche, nella compilazione di schede di lavoro, nella personalizzazione dei percorsi da offrire agli alunni, nella preparazione e correzione di verifiche e rubriche valutative (ma quanto hanno sempre imparato gli insegnanti dalla preparazione dei compiti!). Al tempo stesso, tuttavia, i docenti lamentano la grande difficoltà oramai di far svolgere i compiti, soprattutto scritti, a casa.

Vero è, d’altro canto, che l’impiego dell’IA, soprattutto nella fruizione da parte degli studenti, è più orientata sulla realizzazione di un prodotto che sull’acquisizione del processo per ottenerlo. E in questo senso gli insegnanti potrebbero trovare nuovi stimoli e opportunità proprio per indicare, approfondire, mettere in discussione i possibili itinerari da seguire per arrivare a un determinato risultato. Ma percorsi di questo genere otterrebbero di certo frutti migliori se fossero svolti in classe, attraverso pratiche condivise e laboratoriali, sorvegliate dal docente e magari assistite dalla stessa IA. 

Dubbi e prospettive

Essendo l’IA un sistema dialogico, quando si affronta il tema del suo impiego, non soltanto a scuola, si insiste molto, e a ragione, sull’importanza di saper porre domande (prompt) pertinenti e quanto più circostanziate possibile. Ma le domande pertinenti, viene da obiettare, possono essere poste da chi possieda sull’argomento conoscenze già acquisite. Un articolo pubblicato su un recente numero della rivista americana “The New Yorker” (14 luglio 2025) riferisce il caso di un professore universitario che, in un compito assegnato agli studenti del suo corso, ha inserito una domanda destinata a una prova di dottorato. Le risposte, egli osserva, sono state un fallimento completo proprio perché la preparazione di quegli studenti non consentiva loro di porre all’IA domande che prevedevano un livello superiore di studi.

Ma non è questo soltanto. Di là dai modi sempre garbati con i quali l’IA può dichiarare la propria difficoltà a rispondere, invitando comunque ogni volta l’interlocutore a circoscrivere meglio la domanda, alla fine una risposta verrà comunque pronunciata. E qualcuno guarda con apprensione al rischio che non ci si accorga più di non sapere. Ma un sapere “umano” non consiste proprio nel dubbio, nell’incertezza, nel fallimento?

Il filosofo Byung-Chul Han ha più volte ricordato, con convinzione condivisibile, non solo che l’aspetto emotivo, necessariamente estraneo al rapporto con l’IA, è essenziale per il pensiero umano, ma soprattutto che, mentre questa impara necessariamente dal passato, un pensiero nuovo si crea soltanto prendendo congedo dalle formulazioni oramai acquisite e percorrendo un terreno ancora vergine.

Mentre Massimo Recalcati, in un recente volumetto (La luce e l’onda. Cosa significa insegnare?, Einaudi, Torino 2025), ammonisce che l’uso «compulsivo dell’intelligenza artificiale» contribuisce non poco a potenziare «il rifiuto della pratica di lettura fornendo scorciatoie inimmaginabili fino a poco tempo fa alla fatica necessaria della ricerca» e che, a scuola, il valore umano della relazione non può mai essere subordinato alla programmazione didattica. E aggiunge, che l’incertezza e il dubbio sono indispensabili per educare lo spirito critico e che la disponibilità di risposte immediate spegne quel desiderio di sapere che, al contrario, non dovrebbe mai essere appagato e che gli insegnanti dovrebbero sempre tenere acceso.

Di tutto questo, un uso, auspicabilmente tutt’altro che pervasivo, dell’IA a scuola dovrà pur tenere conto. 

 

Referenze iconografiche: Juan Ci/Shutterstock