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I settant’anni della Corte costituzionale | Paramond Online Sanoma

Scritto da Donatella Cesarini | nov 4, 2025

Le origini

La Corte costituzionale è l’indiscutibile protagonista del costituzionalismo dell’Italia repubblicana.
La sua sede è il Palazzo della Consulta (Roma), la cui collocazione è emblematica del rapporto con gli attori politici. Condivide il Colle del Quirinale con il Presidente della Repubblica, anch’egli titolare della funzione di garanzia. La piazza quirinalizia diventa simbolicamente l’epicentro dei custodi della Costituzione. La Corte è invece relativamente lontana dai palazzi del potere politico come Montecitorio, Madama, Chigi e da quelli giudiziari come il Palazzaccio, sede della Corte di Cassazione.
La Corte costituzionale è sempre stata consapevole dei confini e degli equilibri istituzionali, sin dalla sua controversa creazione avvenuta abbastanza recentemente.
Diversamente dagli Stati Uniti d’America, dove la Corte Suprema era titolare della funzione di judicial review of legislation (ovvero del potere di dichiarare una legge del Congresso costituzionalmente illegittima) già nel 1803 grazie alla sentenza Marbury contro Madison, in Europa un primo tentativo di istituire un organo che valutasse la costituzionalità delle leggi fu realizzato dall’Austria solo negli anni ’20 del Novecento.
Il motivo della tardività nella realizzazione di organi di giustizia costituzionale risiede in una precisa caratteristica delle carte costituzionali del XIX e dei primi anni del XX secolo: la flessibilità. Questo elemento distintivo consisteva nel poter modificare o abrogare la Costituzione con le stesse procedure previste per le leggi ordinarie, attraverso un iter processuale che non richiedeva particolari maggioranze.
La flessibilità condusse ai totalitarismi del Novecento, che decretarono il fallimento di questo modello costituzionale[1]. Si affermò l’idea che le modifiche alla Costituzione necessitassero del consenso del più vasto schieramento di forze politiche attraverso un procedimento aggravato, un sistema di votazione che avrebbe richiesto maggioranze più ampie rispetto a quelle necessarie per le leggi ordinarie. Nacque la convinzione che la carta costituzionale dovesse essere rigida e dovesse essere istituito un garante per tutelarla.
È in questo contesto che viene ripreso l’acceso dibattito di due importanti teorici del diritto, Hans Kelsen (1881-1973) e Carl Schmitt (1888–1985), relativamente a quale istituzione dovesse avere il ruolo di custode della Costituzione.
Kelsen sosteneva l’importanza di un controllo di costituzionalità affidato a un organo giurisdizionale, la Corte Costituzionale, imparziale e indipendente dal potere politico. Questo strumento avrebbe contemporaneamente garantito il ruolo primario della Costituzione e la separazione dei poteri.
Per converso, Schmitt riteneva che il garante della Costituzione dovesse essere un organo politico, come il Capo dello Stato, istituzione super partes in grado di prendere decisioni neutrali in situazioni di conflitto per preservare l'unità popolare. Schmitt temeva che una Corte costituzionale potesse diventare un organo politico capace di paralizzare l'azione di governo e di interferire con le decisioni del potere legislativo. 
Questo dibattito si colloca alle origini della giustizia costituzionale europea.
All’indomani della Seconda guerra mondiale, i Paesi occidentali redigono Costituzioni rigide, con la previsione di un iter legislativo aggravato per la modifica.
È in questo contesto che entra in vigore il 1° gennaio 1948 la Costituzione italiana, definita rigida in senso forte, in quanto prevede sia l’emanazione di leggi di revisione costituzionale attraverso un procedimento aggravato (art. 138 Cost.), sia l’istituzione di una Corte costituzionale custode della primaria fonte del diritto (artt. 134-137 Cost.).
Grazie al carattere innovativo della carta repubblicana del 1948, l’Italia è stata il riferimento per la creazione di Corti, Tribunali e Consigli analoghi. Oggi sono ben pochi gli stati di diritto privi di una simile istituzione[2].
Tuttavia durante i lavori preparatori della Costituzione italiana si manifestarono numerose diffidenze. La politica non voleva che il suo operato fosse sottoposto al controllo di un organo giudiziario. Paventava che tale istituzione si sarebbe sovrapposta al Parlamento democraticamente eletto, generando un suprematismo giudiziario.
Le perplessità in Assemblea costituente furono palesate sia dalla destra liberale nelle figure di Francesco Saverio Nitti (1868–1953) e Vittorio Emanuele Orlando (1860–1952) sia dalla sinistra di Palmiro Togliatti (1893–1964).
Si valutò la possibilità di accogliere un modello diffuso di controllo giurisdizionale delle leggi, tipico dei sistemi di common law, che avrebbe permesso a qualsiasi giudice nel corso di un processo di pronunciare l’incostituzionalità, o di adottare un modello accentrato con la creazione di un organo ad hoc competente a effettuare il confronto tra la Costituzione e la legge, dichiarandone l’incostituzionalità in caso di contrasto.
Grazie all’apporto dei due giuristi Piero Calamandrei (1889–1956) e Giovanni Leone (1908–2001), l’Assemblea costituente decise di affidare il controllo di costituzionalità a un organo giurisdizionale, la Corte costituzionale, il cui ruolo sarebbe stato centrale nei decenni successivi.
Tuttavia i dubbi della politica sul controllo di costituzionalità imperversarono per parecchi anni, ritardando la nascita della Corte. Dal 1948, anno di entrata in vigore della carta repubblicana, si assiste a una serie di passaggi prima dell’avvio dell’attività dell’organo. La legge costituzionale n. 1/1948 stabilisce le procedure per i giudizi di legittimità costituzionale attraverso il giudizio incidentale, le leggi costituzionali nn. 1 e 87 del 1953 disciplinano il funzionamento dell’organo. La Corte costituzionale si è insediata ufficialmente il 15 dicembre 1955, con il giuramento di 15 giudici. La prima udienza pubblica si è tenuta il 23 aprile 1956. La successiva sentenza n. 1/1956 rappresenta un momento fondamentale per l'avvio dell’attività della Corte, in quanto stabilisce la competenza a giudicare sulla legittimità costituzionale di atti normativi anche anteriori all’entrata in vigore della Costituzione. In tal modo l’organo espandeva il proprio ruolo oltre le intenzioni dei Costituenti, acquisendo il potere di depurare l’ordinamento da leggi emanate in epoca prerepubblicana. Nonostante ciò, la Consulta ha adottato nel corso dei decenni una formula di coesistenza con i poteri politici.

La composizione e le funzioni

L’art. 135 Cost. stabilisce che «La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrativa
La normativa sancisce un equilibrio di poteri nella composizione della Corte, che con nomine periodiche e in prevalenza affidate a poteri neutrali evita i rischi di politicizzazione.
I giudici di nomina parlamentare rispondono all’esigenza che siano presenti figure designate dall’istituzione il cui operato potrà essere soggetto alla valutazione di costituzionalità. Per evitare gli eccessi di potere della maggioranza politica e coinvolgere anche l’opposizione, i giudici costituzionali sono nominati a scrutinio segreto, con il voto di 2/3 dei componenti del Parlamento per i primi tre scrutini, di 3/5 dal quarto. I giudici nominati dalle supreme magistrature, ovvero la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, hanno una chiara valenza tecnica, mentre la nomina presidenziale garantisce un bilanciamento tra le diverse componenti istituzionali e riflette la varietà del contesto sociale e politico italiano.
Tra i quindici giudici viene eletto un Presidente[3] che rimane in carica tre anni. I membri della Corte vengono scelti tra magistrati, professori universitari e avvocati con almeno vent’anni di esercizio della professione forense. Rimangono in carica per nove anni e non sono rieleggibili. Sono autonomi, indipendenti, imparziali e neutrali. Per conservare queste caratteristiche è sancita l’incompatibilità dell’ufficio di giudice costituzionale con lo svolgimento di attività pubbliche e private ed è disposta l’insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni.
La Corte costituzionale è un giudice con requisiti particolari rispetto alle altre magistrature ordinarie e amministrative. È un organo collegiale, in quanto le deliberazioni sono decretate in camera di consiglio a maggioranza assoluta, non essendo ammessa la dissenting opinion[4]. Decide sulla base di principi molto elastici in un unico grado, pertanto le sentenze non sono impugnabili ai sensi del comma 3 dell’art. 137 Cost.. Il provvedimento di annullamento ha efficacia erga omnes, con la conseguenza che la legge o l’atto avente forza di legge in contrasto con la Costituzione viene disapplicato dall’ordinamento italiano. La Corte ha autonomia sia finanziaria (poiché amministra il proprio bilancio) sia normativa (essendo dotata di propri regolamenti). Gode di autodichia, ossia del potere esclusivo di giudicare le controversie relative ai propri dipendenti.
L’art. 134 Cost. elenca le funzioni della Corte, tra cui emerge il giudizio di legittimità costituzionale, la sua principale competenza. Si tratta di un giudizio comparativo in cui viene valutata la costituzionalità degli atti normativi primari quali leggi ordinarie, leggi regionali, leggi delle province autonome di Trento e Bolzano, decreti-legge e decreti legislativi. L’atto normativo può essere affetto da:

  • vizio formale, quando sono violate le norme costituzionali che riguardano il procedimento di formazione dell’atto;
  • vizio sostanziale, quando il contenuto del provvedimento impugnato è in contrasto con i principi contenuti nella carta repubblicana.

I giudizi di legittimità costituzionale non possono essere proposti tramite ricorsi diretti dei cittadini, ma solo in via incidentale. Solo lo Stato e le Regioni hanno il potere di rivolgersi direttamente (in via principale) alla Corte mediante ricorsi deliberati dal Consiglio dei ministri o dalla Giunta regionale entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge (art. 127 Cost.).
Questi due tipi di giudizi sono limitativi del potere della Consulta, in quanto escludono la possibilità per il giudice costituzionale di pronunciarsi autonomamente senza che sia stata intrapresa l’azione legale.
Il giudizio in via incidentale è presentato alla Corte quando nel corso di un processo una delle parti ritiene che una norma, che dovrebbe essere applicata al procedimento in itinere, non sia conforme ai principi della Costituzione. La parte solleva la questione di legittimità costituzionale chiedendo al giudice a quo[5] di sospendere il giudizio e rivolgersi alla Corte, oppure il giudice stesso solleva la questione d’ufficio. Il magistrato a quo rimette gli atti alla Consulta se ritiene la questione rilevante, cioè indispensabile per la corretta conclusione del processo, e non manifestamente infondata, ossia ritiene che il dubbio sollevato sia fondato.
A norma dell’art. 134 Cost. la Corte costituzionale è competente a giudicare anche i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni o tra Regioni stesse. La prima funzione riguarda quei conflitti che sorgono tra poteri diversi, come Parlamento, Governo, Magistratura. I conflitti tra Stato e Regioni o tra Regioni possono avere ad oggetto solo atti non legislativi, come regolamenti, decreti ministeriali o atti giudiziari emanati da organi statali.
L’art. 134 Cost. prevede inoltre che la Corte possa giudicare il Presidente della Repubblica per reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione, se posto in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune. In questo caso l’organo legislativo nomina ulteriori 16 giudici sorteggiati da un elenco redatto ogni nove anni.
La legge costituzionale n. 1/1953 ha attribuito alla Corte la funzione di dichiarare l’ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo per accertare il rispetto dell’art. 75 Cost., il quale non ammette l’istituto di democrazia diretta per leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e indulto e di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali. La funzione di ammissibilità referendaria si esplica altresì quando la Corte acclara che dall’abrogazione dell’atto normativo non derivi un vuoto legislativo o quando ritiene corretto e omogeneo il quesito da sottoporre ai cittadini.

Il procedimento

L’ordinanza con cui il giudice a quo sospende il processo e rimette la questione di legittimità costituzionale alla Corte è trasmessa, con modalità telematica, insieme con gli atti di causa. Questa ordinanza viene pubblicata dalla cancelleria della Consulta nella Gazzetta Ufficiale ed eventualmente nel Bollettino ufficiale della Regione interessata. Dalla pubblicazione decorrono i termini per la costituzione delle parti.
Dal 2020 è stata introdotta, nel procedimento, una figura giuridica di matrice anglosassone, l’amicus curiae. Si tratta di soggetti diversi dalle parti del giudizio, come enti senza scopo di lucro o soggetti istituzionali, autorizzati dalla Corte a presentare opinioni scritte non vincolanti, definite brief, per fornire elementi utili alla conoscenza della questione.
Gli atti vengono trasmessi dalla cancelleria all’Ufficio Ruolo che descrive la questione nei suoi punti essenziali al Presidente della Corte, il quale li esamina, nomina un giudice relatore e fissa la data dell’udienza.
Inizia la fase istruttoria incentrata sulla figura del relatore coadiuvato dallo staff, composto da tre assistenti di studio scelti personalmente dal giudice tra magistrati e docenti universitari. Questa nomina è emblematica della garanzia di indipendenza di ciascun magistrato.
Il relatore assegna la questione a uno o più dei suoi assistenti per lo studio preliminare, che consiste nella ricerca di precedenti giuridici, materiale normativo e dottrinale. L’assistente è utile al relatore per effettuare un confronto dialettico sulle questioni sottoposte. Nell’ambito di una riunione periodica con gli altri 45 colleghi[6], l’assistente espone la questione e raccoglie tutte le osservazioni. All’esito della riunione l’assistente redige uno studio da sottoporre ai giudici.
La Corte si riunisce in udienza pubblica o in camera di consiglio.
Alla prima partecipano anche le parti che hanno facoltà di intervenire sia con atti scritti, sia rispondendo alle domande poste loro dai magistrati della Corte, come avviene nel procedimento innanzi alla Corte Suprema americana. Rispetto al passato, l’attuale udienza è quindi più partecipata, essendo maggiore l’ambito di applicazione del principio del contraddittorio.
A seguito della discussione in udienza, i giudici si riuniscono in camera di consiglio per esaminare la questione di costituzionalità sottoposta ed assumere la decisione. In seguito la sentenza, redatta dal relatore, viene letta in una successiva camera di consiglio. In virtù del principio di riservatezza dell’organo, i componenti hanno il divieto di rivelare quanto avvenuto e discusso in camera di consiglio.

Garante della Costituzione o attore politico?

Secondo Thomas Jefferson (1743–1826) il potere giudiziario si era rivelato “il più pericoloso” dei poteri[7], osteggiando quello politico. Il politico francese Alexis de Tocqueville (1805– 1859) riteneva che il controllo di costituzionalità fosse “una delle più potenti barriere che siano mai state elevate contro la tirannia delle assemblee politiche”.
Oggi come allora i costituzionalisti si interrogano sulla natura politica o giudiziaria della giustizia costituzionale e, conseguentemente, sulle dinamiche dei rapporti tra la Corte costituzionale e gli attori politici, sollevando preoccupazioni relative all’indipendenza dei giudici.
È indubbio che la Consulta partecipi a un’attività creativa del diritto, soprattutto quando svolge la funzione di judicial review of legislation, eventualmente caducando l’atto normativo.
Tramite questa funzione la Corte entra costantemente in contatto diretto con le istituzioni politiche, collocandosi accanto al Governo e al Parlamento, spesso spronando il legislatore a favore di iniziative[8].
A titolo esemplificativo, le sentenze della Corte nn. 45 e n. 88 del 1965 hanno contribuito a definire la protezione dei lavoratori, sia in termini di tutela dei rapporti di lavoro sia di diritti sindacali. Queste decisioni sono state il preludio dello Statuto dei Lavoratori approvato con la legge n. 300/1970.
La sentenza n. 27/1975, che stabiliva l’illegittimità parziale del reato di aborto, ha sollecitato il Parlamento a emanare la legge n. 194/1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Da ultimo è interessante leggere il comunicato stampa della Corte a seguito dell’emanazione della sentenza n. 66/2025 sul suicidio medicalmente assistito: “la Corte conferma che il requisito del trattamento di sostegno vitale non è in contrasto con la Costituzione e rinnova i propri appelli al legislatore”.
L’esistenza di una Corte costituzionale è testimonianza della forza e della maturità del sistema democratico italiano, in quanto da sempre assicura che il potere sia esercitato nel rispetto della Costituzione e dei diritti da essa garantiti.

 

[1] Negli anni Venti, Mussolini instaurò un regime totalitario sfruttando la possibilità dello Statuto Albertino (1848) di essere modificato con leggi ordinarie. Emanò quindi le cosiddette leggi fascistissime del 1925 che abolirono la libertà di stampa, di associazione, di riunione e soppressero i partiti politici diversi da quello fascista. In Germania, la Costituzione di Weimar (1919) conteneva alcune debolezze che facilitarono la presa di potere da parte di Hitler e del partito nazista negli anni Trenta. In particolare, l'art. 48 permetteva al Presidente di emanare decreti di emergenza e fu usato da Hitler per promulgare decreti-legge senza il controllo del Parlamento, consolidando in tal modo il suo potere.
[2] Nel 1949 è stato istituito il Tribunale costituzionale federale nella Repubblica Federale tedesca; la Costituzione francese del 1958 ha previsto un Consiglio costituzionale; nel 1974 il Portogallo si dota di un Tribunale costituzionale, entrato in funzione anche in Spagna nel 1978. Dopo la caduta del muro di Berlino tutti i paesi dell’est Europa istituiscono organi simili. Sono privi di un giudice costituzionale Olanda, Paesi scandinavi e Regno Unito.
[3] Il Presidente della Corte Costituzionale rappresenta una delle cinque cariche più importanti dello Stato italiano insieme con il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente del Senato e il Presidente della Camera dei Deputati. L’11 dicembre 2019 è stata nominata la prima donna che ha ricoperto la carica di Presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia.
[4] Dissenting opinion :è il disaccordo espresso da uno o più giudici nei confronti della decisione giudiziale adottata a maggioranza dai componenti dell’organo collegiale. 
[5] A quo è la locuzione latina che significa “dal quale”. Il giudice a quo è l'autorità giudiziaria che, nel corso di un processo, solleva una questione di legittimità costituzionale e la rimette alla Corte”.
[6] Oltre ai quarantacinque assistenti di studio nominati dai membri dell’organo collegiale, il Presidente della Corte costituzionale ha la facoltà di nominarne uno in più. Le funzioni del quarto assistente del Presidente sono: gestione dell'agenda e della corrispondenza, coordinamento con gli uffici della Corte, studio di materiale normativo, giurisprudenziale e dottrinale per la preparazione di questioni di costituzionalità, contatti con altri organi dello Stato, istituzioni, rappresentanti della società civile, partecipazione all'organizzazione di convegni, seminari e altre iniziative promosse dalla Corte.
[7] Nel 1789 per contrastare l’ascesa dell’ala repubblicana, di cui lo stesso Jefferson faceva parte, fu adottato l’Alien and Sedition Act, che i giudici federalisti applicarono contro gli avversari politici.
[8] A volte il legislatore ignora i moniti rivolti dalla Corte, che si è quindi ingegnata a inventare formule manipolative. Le cosiddette “sentenze manipolative” sono caratterizzate da uno scopo “ricostruttivo”, che implica la modifica della norma. Questo tipo di sentenza può assumere tre forme: accoglimento parziale, decisioni additive e sentenze sostitutive. 

 

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