Il problema del “fine vita” è un tema delicatissimo e trasversale che impegna diversi ambiti: giuridico, medico-sanitario, scientifico, etico. A condizionarne la disciplina intervengono anche matrici culturali e religiose diverse, causa di stallo normativo.
Nella disciplina del fine vita, in presenza di una condizione di fragilità fisica e psicologica che caratterizza lo stato di chi decide di porre fine alla propria esistenza a causa di una grave patologia, sono contrapposti il diritto di ogni persona di decidere sulla propria esistenza, di esercitare il diritto all’autodeterminazione, e il corrispondente dovere dello Stato di tutelare la vita umana.
In assenza di una legge parlamentare che disciplini l’intera questione, intervengono decisioni giurisprudenziali e normative regionali che rischiano di creare disparità di trattamento giuridico, anche a livello territoriale.
In Italia è vietata l’eutanasia. È invece consentito il suicidio medicalmente assistito, a determinate condizioni, pur in assenza di una legge a riguardo, come di seguito vedremo.
L’eutanasia consiste nel porre fine alla vita di una persona che ne fa richiesta a causa di una malattia che è fonte di sofferenze fisiche e/o psichiche tali da rendere la prosecuzione di vita intollerabile e priva di ogni forma di dignità. L’eutanasia è vietata nel nostro Paese e costituisce reato, punito ai sensi degli articoli 579 e 580 del Codice penale[1].
Il suicidio medicalmente assistito, pur in presenza delle medesime condizioni relative alla persona malata che chiede di porre fine alla propria vita, non avviene con la somministrazione della sostanza letale da parte di terzi ma attraverso la autosomministrazione da parte del richiedente, che però viene assistito da un medico o da personale sanitario nella preparazione della sostanza letale. Di solito l’accompagnamento alla morte avviene in strutture sanitarie.
Ad oggi, il suicidio medicalmente assistito può essere attuato nei casi singolarmente valutati in base alla sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 25 settembre 2019, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, legittimando il suicidio medicalmente assistito.
È importante fare un richiamo a due importanti leggi in vigore in Italia e alle quali si fa riferimento nella sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 580 del c.p.
La prima è la legge 15 marzo 2010, n. 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, finalizzata ad assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona, il bisogno di salute e l’equità nell’accesso all’assistenza. Dispone che le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore[2] debbano garantire al malato e alla sua famiglia un programma di cura che rispetti i seguenti principi fondamentali:
La seconda è la legge 22 dicembre 2017, n. 219 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” che sancisce – nel rispetto dei Principi costituzionali di cui agli articoli 2 (diritti inviolabili), 13 (libertà personale) e 32 (tutela del diritto alla salute e rispetto della volontà di ognuno di non essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, salvo i casi previsti dalla legge) e degli articoli 1 (dignità umana), 2 (diritto alla vita) e 3 (diritto all’integrità fisica e psichica) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – il diritto all’autodeterminazione di ognuno e stabilisce che ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario (nutrizione e idratazione artificiale mediante dispositivi medici), ancorché necessari per la propria sopravvivenza. Tuttavia essa non consente al medico a cui è richiesto di mettere a disposizione del paziente che versa nelle condizioni suddette trattamenti diretti a determinarne la morte; deve essere comunque garantita un’appropriata terapia del dolore e l’erogazione di cure palliative di cui alla legge n. 38/2010. In caso di prognosi infausta e imminenza di morte è previsto il divieto di ostinazione irragionevole nelle cure, prospettando al paziente il ricorso alla sedazione palliativa profonda[3] continua. La legge individua come oggetto di tutela da parte dello Stato «la dignità nella fase finale della vita».
La stessa legge prevede anche che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere può, attraverso le Disposizioni anticipate di trattamento (DAT), esprimere il proprio consenso o rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche o singoli trattamenti sanitari in caso di un’eventuale futura grave malattia che la renda incapace di esprimere il proprio consenso e di autodeterminarsi; può indicare altresì una persona di fiducia che la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Ad essere investito del problema del fine vita non è solo il Giudice penale, ma anche il Giudice civile e soprattutto il Giudice costituzionale.
Facciamo un breve ma significativo excursus storico.
È opportuno partire dall’ordinanza della Corte Costituzionale n. 207 del 16 novembre 2018 e dalla successiva e già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 25 settembre 2019.
L’ordinanza n. 207/2018 è stata emessa dalla Corte Cost. a seguito del giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. promosso dalla Corte di Assise di Milano, che lamentava, da un lato, che la disposizione censurata incrimini anche le condotte di aiuto al suicidio che non abbiano contribuito a determinare o a rafforzare il proposito della vittima; dall’altro, contestava il trattamento sanzionatorio riservato a tali condotte, per il fatto che esse siano punite con la medesima, severa pena prevista per le più gravi condotte di istigazione.
La questione di legittimità costituzionale ha avuto origine dalla vicenda di F.A., che a seguito di incidente stradale il 13 giugno 2014 diventava cieco e tetraplegico, non era autonomo nelle funzioni vitali e le acute sofferenze richiedevano il ricorso non continuativo alla sedazione profonda, però conservava intatte le facoltà intellettive. Di qui la sua decisione di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera[4]; tramite la fidanzata prendeva contatti con organizzazioni svizzere che si occupano di assistenza al suicidio; contattava anche M.C., presidente dell’Associazione Luca Coscioni, che dopo avergli inutilmente prospettato la possibilità di sottoporsi a sedazione profonda, interrompendo i trattamenti di ventilazione e alimentazione artificiale, si offriva di accompagnarlo in Svizzera, presso la struttura prescelta per il suicidio assistito, che si è compiuto il 27 febbraio 2017 ad opera dello stesso F.A., che con la bocca ha azionato lo stantuffo per l’iniezione letale. M.C., di ritorno dalla Svizzera, si era autodenunciato ai carabinieri, di conseguenza era stato tratto a giudizio dinanzi alla Corte di Assise per il reato di cui all’art. 580 c.p. per aver rafforzato il proposito suicidario di A.F.: gli veniva contestato solo il reato di aiuto al suicidio, non anche quello di istigazione al suicidio. La Corte di Assise però sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. dinanzi alla Corte Cost. per i motivi di cui sopra e in riferimento agli artt. 2, 3, 13 primo comma, 25 secondo comma, 27, terzo comma e 117 della Costituzione, e quest’ultimo in riferimento agli artt. 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)[5].
La Corte Cost. emetteva quindi la “storica” ordinanza n. 207 pubblicata in G.U. il 21/11/2018 ritenendo che:
«L’incriminazione dell’aiuto al suicidio non è incompatibile con la Costituzione.
Dal diritto alla vita, riconosciuto implicitamente dall’art. 2 Cost., nonché, esplicitamente, dall’art. 2 CEDU, discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo, non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire; né è possibile desumere la generale inoffensività dell’aiuto al suicidio da un generico diritto all’autodeterminazione individuale, riferibile anche al bene della vita.
Tuttavia, occorre considerare specificamente situazioni rese possibili dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, nelle quali l’assistenza di terzi nel porre fine alla vita può presentarsi al malato come l’unica via d'uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, secondo comma, Cost.
Il riferimento è in particolare alle ipotesi in cui il soggetto agevolato si identifichi in una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
La legge n. 219 del 2017, integrando le previsioni della legge 15 marzo 2010 n. 38, già consente al malato di lasciarsi morire, a mezzo di interruzione del trattamento di sostegno non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare, con effetti vincolanti nei confronti dei terzi [6].
Tuttavia la legge non consente, al medico che ne sia richiesto, di mettere a disposizione del paziente che versa nelle condizioni suddette trattamenti diretti a determinarne la morte, costringendo quest'ultimo a subire un processo più lento, in ipotesi meno corrispondente alla propria visione della dignità nel morire, per cui il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza.
Se il cardinale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari non vi è ragione per la quale il valore della vita debba tradursi in un ostacolo assoluto all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento – considerato come contrario alla propria idea di morte dignitosa – conseguente all’interruzione dei presidi di sostegno vitale e più carico di sofferenze per le persone che gli sono care.
Il divieto previsto dalla norma in parola conserva una propria evidente ragion d’essere anche, se non soprattutto, nei confronti delle persone malate, depresse, psicologicamente fragili, ovvero anziane e in solitudine, le quali potrebbero essere facilmente indotte a congedarsi prematuramente dalla vita, qualora l’ordinamento consentisse a chiunque di cooperare anche soltanto all’esecuzione di una loro scelta suicida, magari per ragioni di personale tornaconto.
D’altra parte, una disciplina delle condizioni di attuazione della decisione di taluni pazienti di liberarsi delle proprie sofferenze non solo attraverso una sedazione profonda continua e correlativo rifiuto dei trattamenti di sostegno vitale, ma anche attraverso la somministrazione di un farmaco atto a provocare rapidamente la morte, potrebbe essere introdotta anziché mediante una mera modifica della disposizione penale di cui all’art. 580 cod. pen., in questa sede censurata, inserendo la disciplina stessa nel contesto della legge n. 219 del 2017 e del suo spirito, in modo da inscrivere anche questa opzione nel quadro della «relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico», valorizzata dall’art. 1 della legge medesima.
La Corte Cost. rinviava, quindi, all’udienza pubblica del 24 settembre 2019, con conseguente sospensione del giudizio a quo, la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. sollevate dalla Corte d'assise di Milano, per lasciare al Parlamento la possibilità di assumere le necessarie decisioni normative».
All’ordinanza di cui sopra ha fatto seguito la sentenza n. 242 pubblicata in G.U. il 27/11/2019, con cui la Corte Cost., preso atto che nessuna normativa in materia era stata emanata fino all’udienza del 24 settembre 2019, né si prospettava un intervento legislativo imminente, si vede costretta a pronunciarsi sul merito della questione, per cui recepisce in toto i rilievi e le conclusioni espresse con l’ordinanza n. 207/2018 e dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi:
La Consulta, quindi, affida al Servizio sanitario nazionale il compito di verificare le condizioni e le modalità di esecuzione che rendono legittimo l’aiuto al suicidio; che dovranno essere tali da evitare abusi in danno delle persone vulnerabili, garantire la dignità al paziente ed evitare sofferenze, previo parere necessario del Comitato Etico territorialmente competente che ciascuna Regione è chiamata ad istituire[7]; un organo collegiale terzo, con funzione consultiva, al quale è attribuito il compito di garantire omogeneità nell’applicazione delle procedure e tutela alle situazioni di particolare vulnerabilità.
Con il Comunicato del 20 maggio 2025 la Corte Costituzionale ha ulteriormente chiarito e ribadito che non è costituzionalmente illegittimo subordinare la non punibilità dell’aiuto al suicidio al requisito, unitamente agli altri requisiti sostanziali previsti dalla sentenza n. 242/2019, che il paziente necessiti, secondo valutazione medica, di un trattamento di sostegno vitale, la cui omissione o interruzione determinerebbe la morte entro un breve lasso di tempo. In assenza di tale condizione verrebbe meno uno dei requisiti procedurali per la non punibilità dell’aiuto al suicidio, funzionale a prevenire il pericolo di abusi a danno di persone vulnerabili che possono essere indotte a scelte suicide quando invece potrebbero, con adeguate forme di sostegno sociale, di assistenza sanitaria e sociosanitaria domiciliare continuativa, trovare ragioni per continuare a vivere.
Tale chiarimento è giunto dopo la sentenza della stessa Corte Cost. n. 66 del 20 maggio 2025 e la precedente sentenza n.135 del 18 luglio 2024 con le quali la Consulta ha rigettato le eccezioni di incostituzionalità dell’art. 580 c.p. sollevate rispettivamente dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Firenze su casi di pazienti non sottoposti a trattamenti di sostegno vitale.
Non poche polemiche hanno suscitato iniziative normative ad opera di alcune Regioni, non andate a buon fine, alimentando il dibattito sul rischio di difformità territoriali nell’organizzazione del suicidio medicalmente assistito e sul limite tra competenza statale e competenza regionale nell’ambito della legislazione concorrente costituzionalmente prevista, pur in presenza dei limiti e delle condizioni stabiliti dalla giurisprudenza Costituzionale.
In Italia la prima legge regionale sul suicidio medicalmente assistito è stata emanata dalla Regione Toscana: L.R. 14 marzo 2025, n. 16 “Modalità organizzative per l’attuazione delle sentenze della Corte Costituzionale 242/2019 e 135/2024” che disciplina le modalità organizzative per l’attuazione di quanto disposto dalla Corte Costituzionale con le sentenze 242/2019 e 135/2024, i cui requisiti vengono richiamati nella legge unitamente alle competenze multidisciplinari dei componenti, su base volontaria, della Commissione permanente che le Asl regionali hanno l’obbligo di istituire, con il compito di verifica dei requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito. Vengono altresì definite le modalità di accesso al suicidio medicalmente assistito e le modalità di attuazione. Alle Asl è affidato il supporto tecnico e farmacologico, nonché l’assistenza sanitaria, su base volontaria, da parte del personale medico, per la preparazione e l’autosomministrazione del farmaco; viene garantita la gratuità delle prestazioni, a carico del Servizio sanitario regionale.
Dopo la Toscana, anche la Sardegna ha approvato una legge sul fine vita (L.R. 18 settembre 2025 n. 26) per definire procedure e tempi per l’assistenza regionale al suicidio medicalmente assistito, così come previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019.
Il 2 luglio 2025 le Commissioni Giustizia e Sanità del Senato hanno approvato il disegno di legge sul fine vita: “Disposizioni in materia di morte medicalmente assistita”.
L’iter parlamentare non sarà breve; l’obiettivo è quello di poter arrivare ad una legge che metta d’accordo i diversi orientamenti, ponendo fine ad un vuoto legislativo con ricadute fortemente penalizzanti.
Il disegno di legge si compone di quattro articoli che prevedono:
[1] Art. 579 c.p. Omicidio del consenziente
Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.
Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61.
Si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto è commesso:
1° contro una persona minore degli anni diciotto;
2° contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;
3° contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.
Art. 580 c.p. Istigazione o aiuto al suicidio (articolo dichiarato parzialmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza 25 settembre 2019, n. 242 in G.U. 1ª s.s. 27/11/2019, n. 48).
Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1° e 2° dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio.
[2] Cure palliative: insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici.
Terapia del dolore: l'insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore.
[3] Sedazione palliativa profonda: è un trattamento farmacologico temporaneo o continuo che riduce parzialmente o totalmente la coscienza del soggetto a fine vita, allo scopo di fronteggiare sofferenze provocate da malattia inguaribile che non risponde ad alcuna terapia. La finalità, diversa dal suicidio medicalmente assistito, non è quella di porre fine alla vita del paziente, ma di alleviarne la sofferenza, anche fino al termine della vita.
[4] In Svizzera il suicidio assistito, che trova il suo fondamento negli artt. 114 e 115 c.p. svizzero, è da sempre l'unica pratica di fine vita considerata lecita, subordinata solo all'assenza in capo all'agente di motivi egoistici, per tali intendendosi non solo i motivi di lucro, ma anche vantaggi di altra natura.
[5] Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), firmata dal Consiglio d'Europa a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848; la Convenzione è un trattato internazionale volto a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali in Europa.
[6] La legge 22 dicembre 2017, n. 219 recepisce e sviluppa, nella sostanza, le conclusioni alle quali era già pervenuta all’epoca la giurisprudenza ordinaria a seguito delle sentenze sui casi Welby (Tribunale ordinario di Roma, sentenza 23 luglio-17 ottobre 2007, n. 2049) ed Englaro (Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 16 ottobre 2007, n. 21748).
[7] Art. 12 comma 10 lettera c, DL 158/2012, “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”
Art. 1 co. 2, D.M. 8 febbraio 2013, “Criteri per la composizione e il funzionamento dei comitati etici”.
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