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Quale tutela per il patrimonio culturale italiano?

Scritto da Donatella Cesarini | apr 29, 2023

Il concetto filosofico-giuridico di sovranità

Per sovranità si intende il potere appartenente allo Stato di imporre le leggi, anche con l’uso della forza, entro i confini del proprio territorio. Altrimenti definita potestà d’imperio, si manifesta attraverso l’esercizio delle funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria ed è considerata uno degli elementi costitutivi dello Stato, unitamente al territorio e al popolo.
Il concetto di sovranità è spesso inteso come plena et absoluta potestas dello Stato indipendente.

Il giurista Luigi Ferrajoli propone di aggiornare il concetto di sovranità, evidenziando che la supremazia del singolo Stato sta gradualmente scemando a favore delle organizzazioni sovranazionali (Unione Europea, ONU, NATO), alle quali vengono gradatamente trasferite parte delle funzioni un tempo proprie dei singoli Stati (ad esempio la politica monetaria e il diritto di ricorrere alla guerra). Queste ultime considerazioni superano l’ormai vetusto concetto di sovranità, che ravvisava nello Stato l’ultimo soggetto detentore del potere decisionale originario e indipendente da ogni altra autorità.

Fautore della prima definizione sistematica di sovranità è stato il filosofo francese Jean Bodin (1529-1596). Nella sua opera I Sei Libri della Repubblica (1576) egli sostiene che il concetto di sovranità sia strettamente collegato a quello di potere politico e, pertanto, essa viene concepita come potenza dominante, coercitiva, unica, assoluta e perpetua, non essendo soggetta a nessuno, tranne che alle leggi divine e naturali. Per Bodin la caratteristica fondamentale del potere d’imperio è rappresentata dall’indivisibilità dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, affidati a un unico sovrano1.

Questo concetto di sovranità assoluta viene rielaborato dal filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679): con il patto sociale il popolo viene letteralmente inghiottito dal Leviatano2, ossia dal monarca che si pone al di sopra di tutti i sudditi e che da essi esige totale obbedienza. Il potere del sovrano non ha limiti, né può essere revocato dai contraenti del patto che lo hanno legittimato. Ne consegue l’evidenza per Hobbes del dogma della sovranità come potere originario.

Solo grazie al “secolo dei lumi” viene diffuso l’attuale concetto di sovranità limitata.
La rielaborazione effettuata dal filosofo inglese John Locke (1632-1704) ha influito sul moderno parlamentarismo e sulla tradizione repubblicana federalista americana. La sovranità lockiana è un potere supremo affidato al Parlamento, controllato dal popolo e limitato da una carta costituzionale.

Il concetto di sovranità è slegato dalle diverse forme di governo. Nel corso dei secoli, infatti, si assiste a una moltitudine di forme di esercizio del comando politico, tra cui spiccano per importanza l’assolutismo, la cui sovranità era attribuita a un monarca che poteva delegare o meno il potere a un governo, il principato, ritenuto la migliore forma di governo per l’Italia del Cinquecento da Niccolò Machiavelli (1469-1527), e il moderno stato democratico, in cui la potestà d’imperio appartiene al popolo.

Quest’ultimo concetto di sovranità, elaborato dal filosofo ginevrino Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), fornisce una moderna teoria politica basata sull’idea che il potere d’imperio risieda nella volontà generale espressa dai cittadini, i quali mirano all’interesse collettivo.

Il concetto rousseauiano è stato trasposto nel secondo comma dell’articolo 1 della Costituzione italiana (1948), che testualmente recita: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

Il patrimonio storico-artistico al servizio della sovranità

Da sempre il potere e la sovranità trovano legittimazione nel patrimonio storico-artistico, inteso come (auto)celebrazione delle classi sociali dominanti. Invero, la maggior parte del patrimonio culturale è espressione della sovranità assoluta, tanto che lo scultore barocco Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) soleva affermare «gli edifici sono il ritratto dell’anima dei prìncipi».

Fin dai tempi del faraone Ramses II (Antico Egitto, 1303 a.C.-1213 a.C.), prodigo nel diffondere templi autocelebrativi lungo il corso del Nilo, Papi, re, principi e aristocratici si sono serviti dell’arte per accrescere il proprio prestigio e potere.

Il fondatore dell’Impero romano, Ottaviano Augusto (63 a.C.-14 d.C.), scelse di basare la propria retorica sul potere delle immagini, autorappresentandosi come un essere divino in statue (ad esempio, il cosiddetto Augusto di Prima Porta) e realizzando maestosi edifici pubblici, tra cui il Foro romano che porta il suo nome.

L’establishment dunque manifestava ai sudditi il proprio prestigio attraverso l’arte figurativa.
Con l’avvento dei regimi totalitari del XX secolo la propaganda pervase gli ambiti della vita privata e pubblica dei cittadini, sia mediante la diffusione mediatica della figura dei dittatori, sia mediante monumentali opere architettoniche. I dittatori del Novecento sfruttarono tutti i canali per legittimare il proprio potere attraverso l’immagine di governanti autorevoli, virtuosi, integri.

Oggi, le opere e i monumenti che hanno legittimato la sovranità del passato legittimano il potere d’imperio del popolo.

Esempi concreti di questa affermazione sono forniti, ad esempio, dalla Meridiana di Augusto a Roma e dalla cupola di vetro del Palazzo del Reichstag a Berlino.

L’orologio solare augusteo oggi stende la propria ombra su Palazzo Montecitorio, sede della Camera dei deputati e massima espressione della volontà popolare. Detta opera, un tempo al servizio del princeps, ora è al servizio della sovranità del popolo.

La cupola di vetro del Palazzo del Reichstag3 è circondata da un passaggio che consente ai cittadini di passeggiare e osservare i lavori parlamentari sottostanti. Questa opera segna idealmente l’ora della sovranità popolare, in quanto la trasparenza del vetro apre simbolicamente l’istituzione ai cittadini.

La sovranità tutrice del patrimonio culturale

Storicamente l’idea lungimirante italiana è sempre stata quella di coniugare la sovranità con la tutela del patrimonio culturale.

Il nostro Paese, infatti, ha sempre avuto la vocazione di curare e proteggere la propria arte, non solo per asservirla alle idee di un princeps, ma per legarla a un’idea di sovranità in continua evoluzione.

Il primo vincolo al patrimonio storico-artistico risale all’anno 1162. Le autorità civili romane dichiararono che uno dei più famosi monumenti dell’Urbe, la Colonna Traiana, avrebbe dovuto essere tutelata e custodita: «la Colonna non dovrà mai essere danneggiata né abbattuta, ma dovrà restare così com’è in eterno, per l’onore del Popolo romano finché il mondo duri. Se qualcuno attenterà alla sua integrità, sia condannato a morte, e i suoi beni incamerati dal fisco».

Nel 1309 la Repubblica di Siena emanò il Costituto, un testo costituzionale, che recitava: «non deve essere tra gli ultimi pensieri di chi governa la città di Siena la bellezza della città». In altri termini, il patrimonio culturale senese veniva trasformato in una sorta di indirizzo politico, cui i governanti, i Nove, dovevano ispirarsi ed attenersi.

Nel 1509, Raffaello Sanzio (1483-1520) rivolse a Papa Leone X de’ Medici (1475-1521) un’invocazione tramite una lettera dettata all’umanista e letterato Baldassarre Castiglione (1478-1529): «Ma perché ci doleremo noi de’ Goti, Vandali e d’altri tali perfidi nemici, se quelli li quali (ossia i Papi, n.d.r.) come padri e tutori dovevano difender queste povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno lungamente atteso a distruggerle?... Non deve adunque, Padre Santissimo, essere tra gli ultimi pensieri di Vostra Santità lo aver cura che quel poco che resta di questa antica madre della gloria e della grandezza italiana».

Raffaello evidenzia l’esistenza di una responsabilità collettiva del patrimonio storico-artistico, correndo l’obbligo per i governanti di aver cura, difendere e tutelare l’arte senza distruggerla.

I concetti contenuti nella lettera di Raffaello, nonché nei documenti precedentemente citati, sono traslati nei primi due alinea dell’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

L’Italia è stata la prima nazione a collocare nella Costituzione la tutela del patrimonio culturale tra i Principi Fondamentali, ossia quelle norme che fissano l’identità statale.

La valorizzazione dell’arte e dell’ambiente assurge così a valore costituzionale primario e assoluto.
L’architettura del citato articolo 9 è frutto del lavoro di illustri accademici e politici quali Concetto Marchesi (1878-1957), Aldo Moro (1916-1978) e Piero Calamandrei (1889-1956). A quest’ultimo viene attribuita l’introduzione del termine cultura nel disposto normativo di cui trattasi.

Dall’interpretazione sistematica e integrata dell’articolo 9 e del secondo comma dell’articolo 1 della Costituzione deriva che il patrimonio culturale appartiene all’umanità, che ne diventa depositaria, con il compito di preservare detti beni per le generazioni future.

Ne consegue che la consapevolezza dei cittadini della dimensione nazionale e pubblica del patrimonio, e quindi dell’importanza di tutelarlo, rappresenta una leva per la promozione della cultura di tutti, senza distinzione alcuna (cfr. art. 3 Cost. e art. 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio4).

In altri termini, i beni pubblici e l’ambiente, rappresentando l’identità e la storia di un paese, ne trasformano i membri in cittadini, in comunità, facendo sentire tutti indistintamente eredi morali del patrimonio nazionale.

Il patrimonio culturale diventa quindi uno strumento di uguaglianza sociale e di inclusione, ossia un mezzo per raggiungere l’unità nazionale.

La tutela del patrimonio culturale italiano

Il termine Repubblica di cui all’art. 9 Cost. deve essere inteso nell’accezione ampia di Stato-ordinamento.

A chiarirne il concetto è il successivo articolo 117 della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva della tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, mentre la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali è materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni.

Anche il Codice dei beni culturali e del paesaggio è stato adattato a questo assetto costituzionale, prevedendo la cooperazione in materia tra il Ministero della Cultura (MIC) e le autonomie territoriali.

Il termine tutela di cui agli articoli 9 e 117 indica la vigilanza e la protezione del patrimonio culturale tramite una legislazione statale.

La comprensione del concetto di valorizzazione, di cui all’articolo 117, impone di effettuare un distinguo.

Una delle interpretazioni prevede una spinta verso la mercificazione dei beni artistici e paesaggistici in quanto «solo nella misura in cui il bene culturale viene concepito come convenienza economica, diventa possibile concepire un’operazione le cui risorse possono essere destinate alla sua conservazione»5.

Dagli anni Ottanta del secolo scorso si è assistito allo snaturamento della funzione identitaria e civica del patrimonio storico-artistico-paesaggistico in favore della sua subordinazione all’interesse turistico, finalizzata al percepimento di una rendita economica. Si è cercato di sottoporre i beni culturali alle leggi del marketing con il rischio, paventato dagli intellettuali, di veder sottrarre il patrimonio alla publica utilitas.

In altri termini, alcune posizioni hanno preferito un banale intrattenimento culturale a scopo di lucro a discapito del sostegno alla ricerca scientifica e tecnica, di cui all’art. 9 Cost., con conseguente perdita del concetto di patrimonio culturale come importante mezzo di produzione di conoscenza6.

Ulteriormente, l’alienazione a privati di edifici e/o beni pubblici, sottraendoli dalla disponibilità di tutti, trasforma il patrimonio in uno strumento di disuguaglianza sociale, fruibile da un’élite, in violazione del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, il quale prevede quale compito fondamentale della Repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

I cultori della materia identificano nel patrimonio storico-artistico-paesaggistico il mezzo attraverso cui dare attuazione al predetto disposto normativo: assicurando a tutti l’accesso materiale a tali beni, si garantisce a tutti l’accesso al capitale culturale.

Tra i primi oppositori della politica di mercificazione del patrimonio culturale è da annoverare la Corte Costituzionale, il cui orientamento evidenzia che la tutela del patrimonio (nella specie, paesaggistico) non può essere subordinata ai valori economici7.

Anche l’articolo 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ha cercato di porre fine all’interpretazione favorevole alla mercificazione, stabilendo che l’obiettivo dell’azione di valorizzazione è esclusivamente la promozione dello sviluppo della cultura. Pertanto, grazie a questa accezione, scopo del patrimonio culturale è (almeno sulla carta) favorire la conoscenza e quindi l’identità nazionale; in altri termini, la cittadinanza attiva.

Tra tante ombre è di chiara comprensione il secondo comma dell’art. 9 Cost., che individua i beni giuridicamente tutelati nel “paesaggio e patrimonio storico e artistico della Nazione”.

L’art. 2 del Codice dei beni culturali definisce dettagliatamente il patrimonio culturale costituito da:

  • i beni culturali (cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11 del Codice, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà come: raccolte di musei, pinacoteche, archivi, librerie e biblioteche dello Stato, oggetti di interesse paleontologico, preistorico, numismatico, manoscritti, carte geografiche, spartiti musicali aventi carattere di rarità e pregio, fotografie, pellicole cinematografiche, ville, parchi, piazze, strade, di interesse storico-artistico);
  • i beni paesaggistici (immobili e aree indicati all’art. 134 del Codice, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge).

Il patrimonio culturale è pertanto la perfetta combinazione tra arte e ambiente, soggetto a tutela in base a «una concezione unitaria, comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali»8.

L’interpretazione di patrimonio culturale non attiene a una concezione meramente antropomorfica, ma biocentrica, in cui il territorio è forgiato sia dall’uomo con le proprie opere, sia dalla natura, in un unicum inscindibile, che costituisce l’identità culturale e nazionale di tutti e per questo suscettibile di protezione.

La Corte costituzionale ha da sempre evidenziato il valore costituzionale anche del bene paesaggistico grazie a numerose pronunce9.

Tuttavia, il principio ambientalista è stato esplicitamente introdotto in Costituzione solo di recente con la legge costituzionale n. 1/2022, la quale, novellando il terzo comma dell’articolo 9, testualmente recita: «[la Repubblica] Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».

Per quanto attiene ai soggetti preposti alla tutela del patrimonio culturale oltre al già citato Ministero, istituito nel 1974, esistono le Soprintendenze, in qualità di organi periferici ministeriali, le cui competenze sono attribuite dal citato Codice e le associazioni private quali, a mero titolo esemplificativo: Italia Nostra, FAI, Legambiente.

In sintesi, il potere politico dell’arte è sempre servito ai vari princeps che, celebrandosi, dovevano apparire al popolo forti, autorevoli e influenti.

L’arte figurativa ha quindi giocato un ruolo preponderante nelle diverse manifestazioni di sovranità sin dai tempi dell’ancien régime inaugurato dall’assolutismo monarchico.

Attualmente il patrimonio culturale continua a servire la sovranità che, in virtù dei principi costituzionali, appartiene al popolo. Quest’ultimo ha quindi il dovere morale e giuridico di proteggere i beni pubblici.

Nell’epoca moderna “tutelare, valorizzare e curare” significa rendere il patrimonio culturale accessibile a tutti, promuovendo lo sviluppo della cittadinanza attiva di ciascuno.

In questo modo vengono forniti ai cittadini gli strumenti per preservare la democrazia.

Referenze iconografiche: duchy/Shutterstock